Errori da prevenire

La cattiva comunicazione
fra medico e paziente? A volte
fa più danni della malattia

Domenica 14 maggio 2023 circa 7 minuti di lettura In deutscher Sprache
Foto Shutterstock
Foto Shutterstock

Il tema è importante, ma non se ne parla a sufficienza. Spesso le informazioni vengono scambiate in modo incompleto anche fra gli stessi operatori sanitari. Il parere di Annegret Hannawa, docente USI
di Valeria Camia

Le ricette mediche, da qualche anno, vengono compilate quasi sempre al computer e dunque sono chiare, ma quante volte succedeva, in passato, che fossero pressoché illeggibili, quando erano scritte a mano? Solo la pazienza dei farmacisti, che dovevano letteralmente tradurre calligrafie difficili da decifrare, permetteva di evitare il peggio... Raccontata così, forse, la questione fa sorridere, ma in realtà il tema della comunicazione medica “non sicura” è piuttosto vasto e pieno di implicazioni. Parliamo di vastità perché il problema riguarda numerose pratiche mediche, dalla somministrazione erronea delle terapie, al dialogo imperfetto in sala operatoria, ai trattamenti sanitari scorretti, ritardi, errori di dosaggio o omissioni. È un tema molto serio, che non può essere ignorato, poiché coinvolge troppi malati (in certi casi, con gravi conseguenze), e ha anche una forte rilevanza economica per le consguenze che gli errori nella comunicazione fra medici e pazienti, ma anche fra gli stessi operatori sanitari, portano con sé (necessità di nuove terapie o interventi chirurgici, degenze allungate, e così via). Eppure di tutto questo si parla poco.

In verità il fatto che la comunicazione interpersonale medica costituisca una notevole sfida alla sicurezza nell’assistenza sanitaria è noto da tempo e compare nella letteratura accademica già a partire dagli anni ’80 e ’90, ma non è mai balzato davvero alla ribalta. La Svizzera, in ogni caso, è uno dei Paesi che si impegnano di più a livello nazionale e internazionale a sostegno della sicurezza dei pazienti in contesti medici (ricordiamo, per esempio, che a Montreux, il 23 e 24 febbraio scorsi, si è tenuto il 5° vertice ministeriale sulla sicurezza dei pazienti – Global Ministerial Summit on Patient Safety). E diversi modelli comunicativi sono stati proposti per standardizzare il contenuto dei messaggi nelle interazioni in ambito sanitario, sia allo scopo di prevenire i danni, sia per ottimizzare la comunicazione in risposta a eventi dannosi.
In questo ambito (la comunicazione nel caso di danni che si verificano all’interno degli ambulatori o degli ospedali) una ricerca è stata eseguita alcuni anni fa anche dall’Università della Svizzera italiana (USI), grazie a un finanziamento del Fondo Nazionale Svizzero, coinvolgendo un campione significativo di persone e portando poi alla proposta di linee guida per la comunicazione degli errori medici (Medical Error Disclosure Competence). Si è visto, in particolare, che i pazienti si aspettano, tra le altre cose, una dichiarazione di responsabilità e di scuse da parte del personale medico dopo il danno, un resoconto chiaro e onesto degli eventi e una discussione sulle possibilità di riparazione. Il tutto condotto con compostezza, coordinazione, efficacia ed empatia.

Un altro esempio di comunicazione post-danno è contenuto all’interno del programma nazionale Speak-up, lanciato nel 2017, attraverso il quale si invitano non solo i pazienti, ma anche i curanti, a denunciare situazioni percepite come poco sicure per il malato, perché povere nella comunicazione. Sull’utilità di questo approccio in termini di sicurezza della cura, le evidenze empiriche sono però contrastanti. In particolare uno studio canadese sull’efficacia della "vigilanza collettiva" (che è il processo attraverso il quale gli operatori sanitari rilevano potenziali errori commessi dai colleghi, e li segnalano) sottolinea il rischio che l’affidamento ad altri per individuare e correggere gli errori possa erodere la responsabilità professionale dei singoli.

La maggior parte degli studi e dei programmi per cercare di prevenire il più possibile i danni segue, in effetti, altre strade. Una delle più note è quella definita TeamSTEPPS, sviluppata negli Stati Uniti dall’Agency for Healthcare Research and Quality (AHRQ). Questo progetto si concentra su quattro aspetti principali, per ottimizzare le prestazioni del team medico: leadership, monitoraggio della situazione, supporto reciproco e una comunicazione che sia attenta allo scambio di informazioni durante le transizioni di cura (“handoff”). Una comunicazione mirata soprattutto ai contenuti di importanza critica, che richiedono una risposta immediata, e organizzata in modo tale da coinvolgere tutte le parti interessante, sia il personale medico che il paziente. Ad oggi, però, poche analisi hanno verificato "sul campo" gli effetti della comunicazione proposta nel quadro TeamSTEPPS. Lo studio di maggior successo, comunque, pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha evidenziato una riduzione del 30% del tasso di eventi avversi prevenibili.

Ingrandisci la foto Ingrandisci la foto Annegret Hannawa Ingrandisci la foto

In Ticino sono diversi i ricercatori e le ricercatrici che si occupano di questi temi. Una delle più impegnate è Annegret Hannawa, professore straordinario (questa la qualifica tecnica) di comunicazione sanitaria presso la Facoltà di comunicazione, cultura e società dell’USI, e presidente dell’ISCOME (Global Institute for the Advancement of Communication Science in Healthcare). I suoi studi riguardano, in particolare, la "comunicazione sicura” basata su cinque competenze fondamentali riassunte nell’acronimo SACCIA (Sufficiency, Accuracy, Clarity, Contextualization e Interpersonal Adaptation, cioè quantità sufficiente, precisione, chiarezza, contestualizzazione e adattamento interpersonale). «Queste competenze - spiega Hannawa a Ticino Scienza - comprendono tutti i comportamenti verbali e non verbali che, attraverso un’adeguata quantità e qualità, aiutano a ottimizzare la probabilità di ottenere i risultati di cura più appropriati ed efficaci». Insomma, possono servire per ridurre gli errori medici di natura comunicativa. Uno studio del 2022 realizzato dalla stessa Hannawa ha mostrato che sia i pazienti, sia gli operatori del sistema sanitario ticinese, percepiscono la comunicazione interpersonale sicura come un elemento centrale della “qualità delle cure”. Lo studio ha coinvolto un campione di medici, infermieri e pazienti selezionati dai registri delle presenze ambulatoriali, durante il 2018, negli otto ospedali regionali della Svizzera italiana.

Quella della prevenzione dei danni al paziente e della promozione ulteriore della sicurezza medica rimane, comunque, una sfida ancora tutta da giocare. Per Hannawa, prevenire gli errori medici richiede non solo la capacità di elaborare in modo sicuro e linguisticamente corretto le notizie da trasmettere (in un ambiente spesso disturbato da rumori che distraggono, con una privacy limitata, la “pressione” del tempo e il peso psicologico di agire letteralmente sulla vita e la morte degli altri), ma deve andare oltre il semplice scambio di informazioni e diventare comunicazione a tutto campo: una comunicazione che avviene tra persone, con le loro complessità e la loro storia. La capacità di comunicare e di entrare in empatia con gli altri, però, va coltivata. «Siamo nati per comunicare - spiega Hannawa - ma non con la capacità innata di farlo bene».

In campo medico, la buona comunicazione è the elephant in the room, l’elefante nella stanza, ovvero una tema che, per quanto ovvio e appariscente, viene ancora troppo ignorato o minimizzato. 

È ottimista, comunque, Hannawa, e sottolinea come una comunicazione sicura possa avere effetti positivi sulla salute che sono sostanziali quanto quasi tutto ciò che la medicina moderna può offrire in termini di estensione della durata della vita delle persone. Ma la ricercatrice è anche realista: «Affinché la “comunicazione sicura" sia riconosciuta come un criterio fondamentale di “pratica sicura” per la prevenzione dei danni - chiarisce - i modelli teorici che la ricerca scientifica propone non sono, da soli, sufficienti. Sono auspicabili ulteriori sforzi per fare in modo che la scienza e le politiche di governo vadano a braccetto».
La distribuzione al personale sanitario di chiare linee guida, formalizzate sulla base degli studi più recenti in questo settore, potrebbe rappresentare un buon contributo.