Così cambia il cervello
delle mamme
durante la gravidanza
di Valentina Rotondi
Economista comportamentale - SUPSI
Economista comportamentale - SUPSI
“Ho il cervello in pappa”. Quante volte abbiamo sentito questa frase pronunciata da neogenitori alle prese con una vita completamente diversa da prima? È un’espressione che, in poche parole, cattura l’intensità delle trasformazioni fisiche, emotive e mentali che accompagnano l’arrivo di un figlio.
In effetti, c’è una cosa che i genitori sanno intuitivamente dal momento in cui scoprono di aspettare una nuova vita: niente sarà più lo stesso. I ritmi cambiano, così come le priorità, gli spazi e persino le percezioni di sé. Le mamme, in particolare, vivono trasformazioni fisiche ed emotive profonde che spesso le fanno sentire vulnerabili e al tempo stesso straordinariamente forti. Ma cosa accade a livello cerebrale? La scienza, e in particolare le neuroscienze, ci aiutano a gettare luce su come il cervello si adatti per affrontare questa nuova e intensa fase della vita.
Studi neuroscientifici recenti dimostrano che la maternità porta con sé cambiamenti significativi nella struttura cerebrale. Durante la gravidanza e il periodo post-partum, le mamme sperimentano variazioni nella densità della materia grigia, in particolare in aree legate all’empatia e alla cognizione sociale, come la corteccia prefrontale e il sistema limbico. Questi cambiamenti sono estremamente importanti perché aiutano le madri a rispondere ai bisogni emotivi e fisici dei neonati velocemente e in maniera quasi intuitiva. È come se il cervello si “specializzasse” per affrontare le sfide della genitorialità, potenziando abilità come l’empatia, la regolazione emotiva e la capacità di interpretare segnali non verbali.
Quello che sorprende, però, è che alcune di queste modifiche possono durare decenni. Il nostro studio, infatti, utilizzando i dati della UK Biobank, ha rivelato che le donne che sono state madri mostrano una densità di materia grigia significativamente maggiore in alcune regioni del cervello rispetto alle donne senza figli, persino a distanza di 20-30 anni dal parto. Questi cambiamenti non solo mitigano il normale declino cerebrale legato all’età, ma suggeriscono anche un effetto protettivo a lungo termine. È una scoperta che apre nuove strade per comprendere i benefici neurobiologici della genitorialità.
E i papà? Sebbene studi precedenti indicassero che anche i padri vivono trasformazioni, ma in modo meno pronunciato rispetto alle madri, la nostra ricerca non ha trovato nessun impatto significativo della genitorialità sul loro cervello. Ricerche precedenti indicano che il cervello paterno risponde alla genitorialità attraverso cambiamenti nelle aree legate alla motivazione e al caregiving (cioè al "prendersi cura", ndr). Il nostro risultato nullo potrebbe quindi dipendere dal diverso coinvolgimento nel caregiving, una variabile che sta cambiando nelle generazioni più giovani, dove i padri sono sempre più presenti nella cura quotidiana dei figli.
Questo non significa che i papà non abbiano un ruolo fondamentale o che non subiscano cambiamenti significativi. È possibile che la loro trasformazione sia meno evidente a livello strutturale ma più legata a fattori comportamentali o ormonali. Ad esempio, alcuni studi suggeriscono che i livelli di ossitocina – il cosiddetto “ormone dell’amore” – aumentano anche nei padri coinvolti attivamente nella cura dei figli, promuovendo il legame con il bambino.
La genitorialità non è solo una trasformazione biologica: è anche un viaggio emotivo e psicologico. Secondo il nostro studio, la maternità è associata a un senso di significato nella vita marcatamente più alto rispetto a chi non ha figli. La percezione che la propria vita abbia uno scopo chiaro e profondo è un aspetto del benessere che spesso emerge con forza nei genitori, alimentato dal ruolo centrale che un figlio assume nella propria esistenza.
Tuttavia, questo non si traduce automaticamente in una felicità maggiore: gli effetti sull’umore e sul benessere emotivo sono complessi e variano da persona a persona. L’essere genitori comporta infatti sfide significative, che possono includere stress, mancanza di sonno e preoccupazioni legate al benessere dei figli. Questi fattori possono avere un impatto negativo sul benessere emotivo, rendendo l’esperienza genitoriale una sorta di “montagna russa” emozionale.
Curiosamente, i cambiamenti cerebrali che abbiamo osservato non sembrano essere la causa diretta del miglioramento nel senso di significato. Questo suggerisce che altri fattori, come il supporto sociale, le esperienze relazionali o il contesto culturale, potrebbero giocare un ruolo cruciale nel modellare l’esperienza emotiva della genitorialità.
I nostri risultati sembrano suggerire che le modifiche che l’esperienza della genitorialità apporta al nostro cervello potrebbero seguire una traiettoria a forma di "U". Durante la gravidanza e il primo periodo post-partum, si verifica una riduzione iniziale della materia grigia in alcune aree, forse come parte di un processo di “potatura” neuronale che rende il cervello più efficiente. Successivamente, si osserva un aumento graduale e diffuso della densità della materia grigia, che supera il livello iniziale nel tempo. Queste modificazioni potrebbero riflettere le molteplici fasi della genitorialità: dall’adattamento intenso dei primi anni all’effetto protettivo a lungo termine contro il declino cognitivo.
Capire i cambiamenti cerebrali legati alla genitorialità non è solo una questione di curiosità scientifica. Questi studi possono aiutare a sviluppare interventi mirati per sostenere i genitori, migliorare il benessere mentale e promuovere politiche che riconoscano il valore del caregiving. Ad esempio, investire in programmi di supporto per i neogenitori potrebbe non solo migliorare la loro qualità di vita, ma anche avere un impatto positivo sullo sviluppo dei bambini e, in ultima analisi, sulla società.
In un mondo sempre più frenetico, queste scoperte ci ricordano l’importanza della genitorialità come esperienza unica e trasformativa, capace di lasciare segni indelebili non solo nei cuori, ma anche nei cervelli dei genitori.