SPERIMENTAZIONE

Immunoterapia dei tumori
più efficace (a volte)
grazie ai batteri dell’intestino

Martedì 19 aprile 2022 circa 5 minuti di lettura In deutscher Sprache

Studi dell’équipe diretta da Fabio Grassi all’IRB. Focalizzata su questo filone anche la  MV BioTherapeutics, spin-off dell’istituto bellinzonese. Potenti le interazioni fra il microbiota e il nostro sistema difensivo
di Michela Perrone

Da tempo si sa che l’intestino svolge un ruolo fondamentale per la nostra esistenza, tanto da essere definito il nostro secondo cervello. Alla sua fama contribuisce il microbiota, l’insieme di batteri e microrganismi che popola questo organo e che influenza la nostra salute. Più è varia la nostra flora intestinale, meglio stiamo.
Il microbiota intestinale, inoltre, si sviluppa insieme al sistema immunitario, fin dalla nascita. I batteri, infatti, producono sostanze che stimolano il sistema immunitario, tenendolo in allenamento. Per questo il loro equilibrio all’interno dell’intestino è fondamentale per stare alla larga dalle malattie. 

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I garanti di questo equilibrio sono le immunoglobuline A (IgA) secretorie: possiamo immaginarle come dei poliziotti che vigilano su un quartiere impedendo che qualche banda prenda il sopravvento. Esistono vari gruppi di ricerca che si occupano di capire come mantenere questo equilibrio e come intervenire laddove sia necessario. Uno di questi - diretto da Fabio Grassi - si trova in Ticino: è il laboratorio di Immunologia mucosale dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina (IRB) di Bellinzona, affiliato all’Università della Svizzera italiana. 

IL RUOLO DEI BATTERI - Da una decina d’anni l’équipe di Grassi si occupa in particolare dell’ATP, una molecola energetica ben nota agli sportivi, oltre che agli addetti ai lavori. Si tratta infatti di una “benzina” per la cellula: è la molecola che garantisce ai muscoli l’energia necessaria per una corsa, ad esempio. In questo caso l’ATP è dentro alla cellula. Può però trovarsi anche all’esterno. Ed è proprio questo il caso seguito dal gruppo di Grassi. «In particolare - spiega l’esperto - studiamo la responsività dei linfociti T all’ATP extracellulare». I linfociti T, lo ricordiamo, sono un tipo di globuli bianchi che si sviluppano nel timo, un organo posizionato all’altezza dello sterno. In condizioni normali, l’ATP si trova soltanto dentro alle cellule. Nei tessuti dell’organismo, la sua fuoriuscita segnala la presenza di un danno tissutale: di qualcosa, cioè, che non funziona a dovere nel nostro corpo e innesca una serie di risposte protettive mirate a mantenere l’integrità degli organi.

Nell’intestino, invece, l’ATP extracellulare trae origine dal microbiota e costituisce un importante elemento di comunicazione tra batteri e linfociti. Si può immaginare che i linfociti T (o, meglio, un sottotipo, le cellule T follicular helper o Tfh) abbiano delle antenne che possono captare l’ATP derivato dai batteri. Quando questo avviene, si inibisce la produzione di IgA (i poliziotti, come dicevamo, che devono tenere sotto controllo la proliferazione dei batteri. Così questi ultimi (soprattutto quelli definiti buoni) possono crescere indisturbati. Quando, però, un particolare batterio prende il sopravvento, e mette quindi in pericolo la diversità del microbiota, ecco che l’antenna dei linfociti T smette di captare l’ATP, permettendo dunque la produzione delle IgA, che controllano l’alterazione intestinale e rimettono ordine tra i vari tipi di batteri. La comunicazione tra batteri e linfociti mediante l’ATP funge quindi da “bilancia”, perché regola l’equilibrio del microbiota stesso.  

«Questa, in verità, è una versione semplificata del meccanismo che avviene negli individui sani - precisa Grassi. - In una situazione di malattia, abbiamo batteri che crescono molto in fretta e questo meccanismo di controllo può essere difettoso. La prima soluzione che abbiamo provato a sviluppare, per porre un argine, è stata quella di un vaccino che riducesse l’ATP intestinale. In questo modo la molecola sarebbe stata più difficilmente captata dai linfociti T e di conseguenza le IgA avrebbero potuto tenere a bada i batteri».
La strada sembrava così promettente che l’IRB ha brevettato la scoperta e spinto il team di Grassi a fondare uno spin off: «Pubblicare sulle riviste scientifiche è importante, ma il nostro fine ultimo è curare le persone – ricorda l’immunologo. – Ecco quindi che con la MV BioTherapeutics avremmo dovuto testare la nostra scoperta, svolgendo tutta la parte pre-clinica: solo a quel punto sarebbe potuto emergere un interesse da parte dell’industria». Nel frattempo, però, si è affacciato un filone di ricerca ancora più promettente: «È stato scoperto - spiega Grassi - che il microbiota è fondamentale anche nell’immunoterapia del cancro: in particolare, è cruciale nella risposta ai farmaci biologici nel melanoma, nel cancro al polmone o in quello al rene».

LE NUOVE STRATEGIE - L’immunoterapia consiste nel potenziare il nostro sistema immunitario invece che bersagliare direttamente il tumore. I farmaci immunoterapici attualmente a disposizione, tuttavia, sono efficaci in meno della metà dei casi. Diversi studi hanno permesso di determinare che alcuni consorzi di batteri possono essere importanti nel migliorare l’efficacia della terapia nei tumori solidi. Poiché i batteri tengono in allenamento il sistema immunitario, la loro presenza fa sì che questo sia più reattivo. Alcuni consorzi di batteri, quindi, possono allearsi con l’immunoterapia, aumentandone gli effetti.
«Noi abbiamo provato a introdurre in alcuni topi un enzima che riduce l’ATP – spiega Grassi. – In questo modo il sistema immunitario locale produce più IgA secretorie, che hanno un ruolo benefico nel conformare il microbiota. Quello che abbiamo visto è che questi topolini rispondono molto meglio all’immunoterapia dei tumori».

L’obiettivo è il medesimo di un vaccino: colpire l’ATP per permettere ai “poliziotti” IgA di crescere e controllare la proliferazione di batteri. I risultati si sono rivelati molto efficaci: la percentuale di topi che hanno risposto bene alla terapia è passata dal 30 al 70%. «Adesso è questa la nostra priorità con lo spin off!» - conclude Grassi.
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(Nella foto in alto, dell’agenzia Shutterstock, una ricostruzione al computer dei villi intestinali e dei batteri che vivono come "ospiti" nell’apparato digerente)

  


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