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Il mondo ricreato dai computer
e dagli smartphone? Non deve essere più reale della realtà...

Domenica 25 febbraio 2024 circa 7 minuti di lettura
Piotr Didyk, docente alla Facoltà di scienze informatiche dell’Università della Svizzera italiana, è affiliato all’IDSIA USI SUPSI (foto di Eugenio Celesti)
Piotr Didyk, docente alla Facoltà di scienze informatiche dell’Università della Svizzera italiana, è affiliato all’IDSIA USI SUPSI (foto di Eugenio Celesti)

Il gruppo di ricerca guidato da Piotr Didyk (Facoltà di scienze informatiche USI) studia l’influsso delle tecnologie sulla percezione naturale della vista e del tatto. Il ruolo dell’Intelligenza Artificiale
di Simone Pengue

I sensi dell’uomo a un’estremità, la tecnologia informatica dall’altra. In mezzo, a ridurre la distanza, ci sono esperimenti sulla percezione, algoritmi di grafica e innovativi metodi di stampa tridimensionale, ma anche, naturalmente, l’intelligenza artificiale. Questi, in brevissimo, sono gli interessi del professor Piotr Didyk, docente alla Facoltà di scienze informatiche dell’Università della Svizzera italiana e affiliato all’Istituto Dalle Molle di studi sull’intelligenza artificiale - IDSIA USI SUPSI. Il suo laboratorio copre una gamma così ampia di attività che è difficile dargli un’etichetta, ma si riesce senza fatica a individuarne il perno centrale: l’uomo. In particolare, le sensazioni tattili e visive trasmesse da un oggetto o da una macchina. 

Il problema di fondo su cui lavora il gruppo di ricerca di Didyk in ambito grafico è riconducibile a qualcosa di cui tutti abbiamo esperienza. Quando scattiamo delle foto col cellulare, ad esempio in condizioni di bassa luminosità, abbiamo spesso la frustrante sensazione che quello rappresentato sullo schermo non sia equivalente a quello che vediamo coi nostri occhi. Non è solo un problema di fotocamera, ma anche di riproduzione dell’immagine sullo schermo, che tra intensità di colore e luminosità è tutt’altro che semplice da regolare. La percezione del nostro occhio, e con essa l’esperienza visiva globale, dipendono infatti da moltissimi fattori. Il rischio, per gli smartphone, è quello di ricreare paesaggi e atmosfere che il cervello non interpreterà più come reali. Succede, come dicevamo, soprattutto di notte: gli smartphone più avanzati riescono a “estrarre” immagini anche in situazioni di quasi buio. Un iPhone o un Samsung di ultima generazione ricreano la notte, con effetti che non sempre la nostra elaborazione cerebrale riesce ad accettare. Un esempio di cui si è discusso molto sui media alcuni mesi fa riguarda una foto della Luna: l’ha volutamente sfuocata, e rifotografata con il suo Samsung, un utente, ma l’immagine che lo smartphone ha poi restituito è apparsa completamente diversa. Non più sfuocata, ma nitida, con i rilievi della superficie lunare ben “posizionati”. Tutto questo era stato aggiunto dall’intelligenza artificiale.

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Piotr Didyk spiega che «non si tratta di avere le migliori immagini, ma quelle meglio visibili secondo l’utente, considerando anche come vengono mostrate su un dispositivo specifico. È una questione davvero olistica». Per affrontare il problema, Didyk parte dall’uomo, attraverso la sperimentazione con volontari a cui sono sottoposte le immagini da confrontare. Però, i ricercatori stanno cercando di snellire il processo, modellando la percezione umana con l’intelligenza artificiale. «I sensi - continua Didyk - sono dei sistemi davvero complessi: ci sono moltissimi fattori da considerare e credo che l’intelligenza artificiale riuscirà a simulare il risultato globale». Una prospettiva all’esatto opposto rispetto all’uso dell’intelligenza artificiale che siamo stati abituati a considerare nell’ultimo anno, durante il quale abbiamo tutti visto foto e video creati dalle macchine. Gli studi di Didyk, invece, partono da immagini e cercano di capire, o meglio predire, come l’occhio umano le percepirà: questo grafico si vede chiaramente? E questo video, trasmesso online con questo sistema molto veloce, perde qualità in modo percettibile? O ancora, questo dispositivo riproduce le fotografie in modo più o meno soddisfacente rispetto a quest’altro?

LA REALTÀ VIRTUALE - Il problema assume una dimensione ancora più vasta nel complesso mondo dei visori per la realtà virtuale. Questi sono dei dispositivi in grado di isolare l’utente dalla realtà che ha intorno, mostrandone un’altra, che cambia seguendo il movimento della testa e del corpo dell’utente stesso. In altre parole, danno un’esperienza completamente immersiva creando, appunto, una realtà virtuale. Per il loro funzionamento, l’immagine di alta qualità deve essere generata rapidamente per adattarsi ai movimenti dell’utente e risultare un’esperienza immersiva e gradevole. Questo processo richiede grosse capacità computazionali al fine di non far risultare le grafiche sgranate o “a scatti”.

Didyk spiega che «comincia tutto dalla scelta di quale segnale è importante. Ad esempio, possiamo ridurre la qualità nella regione dove il nostro occhio è meno sensibile». Infatti, anche leggendo questo articolo ci si rende conto che mentre si presta attenzione a queste parole, non si noterebbe affatto se la restante parte dello schermo fosse sgranata. Così, i visori di realtà virtuale includono dei rilevatori di movimento dell’occhio per capire dove stiamo guardando e aumentare la risoluzione in quel punto, diminuendola tutto intorno. L’intelligenza artificiale si sta rapidamente facendo strada anche in questo settore, generando o migliorando le immagini mostrate all’utente. Ad esempio, nella simulazione della luce nella scena rappresentata, per renderla profondamente realistica.
Oggi i visori per la realtà virtuale non sono ancora pervasivi nella nostra società e restano poco più che un costoso giocattolo nelle mani di pochi appassionati. «Ci mancano ancora delle vere applicazioni - spiega Didyk - ma i visori per la realtà virtuale stanno iniziando a dare un contributo nel campo della medicina e dell’insegnamento. Se devo essere sincero, però, credo di più nei visori per la realtà aumentata», ovvero occhiali trasparenti simili a quelli da vista che “inseriscono” nel nostro campo visivo interfacce grafiche. Ad esempio, potranno mostrarci le indicazioni stradali davanti a noi come se fossero proiettate nella strada, o farci leggere la storia di un monumento mentre lo osserviamo, come un cartello visibile solo a noi. 

In questa direzione, il gruppo dell’USI ha sviluppato assieme all’azienda americana Nvidia e all’Università della Carolina del Nord un prototipo di visore che, diversamente da quelli attualmente in commercio, regola automaticamente la profondità alla quale vengono “create” le immagini. Questo accorgimento permette di facilitare il corretto funzionamento della messa a fuoco dell’occhio umano e quindi di prevenire eventuali malesseri, o nausee (simili al classico mal di mare).

IL SENSO DEL TATTO - Gli interessi del laboratorio di Didyk non si fermano alla visione, ma includono anche il senso del tatto, in applicazioni per ora slegate da grafica e visori. Lo strumento principe con il quale viene seguita questa linea di ricerca è la "manifattura additiva" (chiamata anche stampa tridimensionale). In un progetto sviluppato con il colosso informatico Adobe, i ricercatori luganesi hanno sviluppato dei pennini per disegnare sui tablet che forniscono le sensazioni tattili del materiale “vero”, come un pastello su carta. «È una sfida davvero molto difficile, ma ci sono moltissime persone interessate a questi prodotti» - commenta Didyk. Per riuscire nell’impresa, i metodi di stampa e il design sono stati costantemente verificati con modelli computazionali sulla risposta dell’uomo alle sollecitazioni meccaniche microscopiche, come se fossero delle “simulazioni” della sensazione percepita (anche se, in questo caso, senza l’ausilio dell’intelligenza artificiale).
Attraverso molti tentativi, le "proprietà" degli strumenti di disegno reali vengono codificate all’interno di forme e irregolarità degli strumenti stampati. Come risultato, questi pennini riproducono fedelmente l’attrito e le vibrazioni della matita sulla carta, ricreando la disomogenea naturalezza che appaga la nostra mano.

In altri contesti, la manifattura additiva ha già beneficiato dell’intelligenza artificiale, come in un progetto sviluppato in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology (MIT) e l’Institute of Science and Technology Austria (ISTA). Di cosa si tratta? Nel processo di stampa tridimensionale un filamento caldo di un materiale apposito viene depositato strato sopra strato, per formare gradualmente la struttura, come nella costruzione di un grattacielo. Spesso, però, si verificano piccoli errori o sbavature, ed è fondamentale correggerli istantaneamente, prima che la struttura venga deformata irrimediabilmente. Il gruppo di Didyk ha insegnato all’intelligenza artificiale a riconoscere le imperfezioni “osservando” con diverse telecamere molte esecuzioni, per poi essere in grado di correggere in tempo reale la stampa tridimensionale. Anche questo, a pensarci bene, è un modo di “umanizzare” una macchina. Non è forse vero che gli artigiani delle costruzioni, i muratori e anche gli scultori imparano le opportune consistenze dei materiali e le appropriate esecuzioni dei gesti guardando e riguardando i propri maestri fino a sapersi correggere, anche loro, “in tempo reale”?