I primi esami federali
per gli studenti di medicina:
un giorno storico per l’USI
Esame di abilitazione alla professione medica il 4 settembre a Lugano per 47 studenti che hanno appena concluso il Master. La maggior parte arriva dalla Svizzera tedesca. Intervista alla Rettrice Luisa Lambertini di Paolo Rossi Castelli
Lunedì 4 settembre sarà un giorno storico per l’Università della Svizzera italiana e, possiamo dire, anche per il Ticino, perché al Campus Est di Lugano si svolgerà (non era mai avvenuto) l’esame clinico-pratico federale di medicina (OSCE), in contemporanea con gli altri atenei svizzeri. E per la prima volta verranno abilitati alla professione medica - se supereranno la prova, naturalmente - ragazze e ragazzi che hanno studiato medicina nel nostro cantone (47 in totale). Molti di loro provengono dalla Svizzera tedesca, dove hanno frequentato i tre anni iniziali del corso di medicina, cioè il Bachelor, soprattutto al Politecnico di Zurigo e all’Università di Basilea. All’Università della Svizzera italiana hanno poi seguito il Master, ossia gli ultimi tre anni, concludendo il ciclo di studi. Così saranno loro i primi medici “targati USI”, invertendo una prassi che si protraeva da sempre (l’emigrazione degli studenti ticinesi verso le facoltà di medicina della Svizzera interna).
Questo appuntamento così importante e ricco di simboli arriva a poche settimane dall’insediamento della nuova rettrice Luisa Lambertini, entrata in carica il 1° luglio, dopo una lunga esperienza al Politecnico federale di Losanna (EPFL), dove era vicepresidente associata, docente di finanza internazionale, e responsabile della scuola dottorale e della formazione continua. All’EPFL la professoressa Lambertini ha anche presieduto la Fondazione WISH (Women in Sciences and the Humanities), inaugurando strumenti innovativi, finanziati da donazioni private, per promuovere le carriere femminili nella ricerca, un obiettivo prioritario anche per l’USI. A lei abbiamo chiesto di fare il punto sugli sviluppi degli studi e delle ricerche in Medicina, ma non solo, all’interno dell’Università. L’occasione non poteva essere più propizia.
Luisa Lambertini Ingrandisci la foto
Dunque il 4 settembre sarà un giorno storico, e anche un riconoscimento, in verità, per la tenacia di chi ha voluto fortemente la Facoltà di Scienze biomediche all’USI negli anni passati, superando mille difficoltà. Possiamo considerarlo come una sorta di invito a completare il ciclo di studi, attivando in futuro anche il Bachelor a Lugano?
«I primi esami federali OSCE - risponde Luisa Lambertini - sono una pietra miliare, dopo la nascita della facoltà e la creazione del Master, sia per l’Università della Svizzera italiana, sia per il Canton Ticino. Da Rettrice dell’USI raggiungo questo traguardo consapevole che devo ringraziare chi è venuto prima di me e ha posto le basi per questo ambizioso progetto, come anche chi ha lavorato con dedizione per raggiungerlo. Come ogni pietra miliare, anche questa si incastona in un percorso che richiede i suoi tempi per svilupparsi. La via è ben tracciata, si sta definendo un polo di eccellenza e ricerca in biomedicina a Sud delle Alpi. In questo settore gli sforzi dell’USI per il prossimo futuro si concentreranno sul perimetrare meglio la prospettiva di costituire un ospedale universitario e sull’estendere i collegamenti partendo dalla didattica e coinvolgendo sempre più la ricerca. Pensare di aggiungere oggi un Bachelor in medicina è prematuro: non lo escludo per il futuro, ma ancora mancano alcuni tasselli per poter proporre un insegnamento universitario in alcune materie, come ad esempio fisica e chimica, necessarie al conseguimento di un Bachelor in medicina».
La Facoltà di Scienze biomediche ha (necessariamente) un numero ridotto di studenti, ma il più alto numero di professori all’USI. In più, contribuisce in modo determinante - grazie anche agli istituti affiliati, IRB e IOR - a tenere alto il ranking internazionale dell’Università. Come si può gestire in modo virtuoso questo “squilibrio”?
«Non parlerei di squilibrio. Nella nostra Facoltà, la vicinanza con i professori e le professoresse crea un ambiente al contempo motivante e familiare soprattutto nelle attività cliniche, molto apprezzato dagli studenti e dalle studentesse. Ovviamente, come succede nelle altre Facoltà di medicina svizzere, per la maggior parte si tratta di Professori che lavorano come medici in ospedali o cliniche, l’insegnamento per l’USI non è la loro attività principale. Il discorso del rapporto con gli Istituti affiliati è diverso. Si tratta di centri di ricerca che sono nati autonomamente nel territorio, di successo, che con la nascita della Facoltà di scienze biomediche, alla quale si sono poi affiliati, hanno creato un polo di ricerca in biomedicina molto rilevante. Grazie all’affiliazione per loro si sono aperte nuove prospettive di crescita, che stanno perseguendo con successo. L’opportunità è ottima per entrambe le parti: per gli istituti che diventano realtà accademiche e per l’USI che, federando questi istituti, vede accrescersi la propria reputazione internazionale. Un’unione “win-win”, da cui tutte le parti coinvolte vengono rinforzate».
L’ottima collaborazione con il Politecnico federale di Zurigo ha consentito di far partire il Master in medicina e sta dando buoni frutti anche per quanto riguarda la Scuola di dottorato. Molti sperano che l’ETH possa anche aprire nuovi laboratori a Bellinzona, nei prossimi anni, all’interno dello Switzerland Innovation Park Ticino. È un’ipotesi plausibile? Comunque sia, in quali direzioni potrà estendersi la partnership USI-Politecnico?
«La collaborazione con ETH Zürich è molto buona, non possiamo che essere grati al Politecnico poiché da sempre sostiene con grande convinzione e determinazione i progetti dell’USI nel settore della biomedicina. Non è un segreto che il Master in Medicina dell’USI è nato anche grazie alla collaborazione con l’ETH Zürich. Esistono già alcune doppie cattedre e un accordo quadro per programmi congiunti di dottorato è in fase di approvazione. Sull’apertura di nuovi laboratori ETH Zürich a Bellinzona non saprei risponderle, non conosco la loro strategia di espansione. Da quello che ho potuto notare finora, piuttosto che aprire loro nuovi istituti in Ticino, ETH Zürich sta appoggiando con grande convinzione le nostre iniziative sul territorio della Svizzera italiana, un approccio che anche per il Ticino è particolarmente interessante. Entrambi i Politecnici federali, a Zurigo e Losanna, sono partner con cui intendo presto mettermi al tavolo per discutere i vari temi e le proposte per il futuro».
Secondo voci giornalistiche, l’EOC si appresta a chiudere, o comunque ad abbandonare, i Laboratori di ricerca traslazionale che attualmente gestisce nell’edificio di Bios + a Bellinzona. Il problema sono i finanziamenti, molto difficili da reperire per l’Ente ospedaliero, anche (e soprattutto) in seguito alle norme di legge che non prevedono l’attività di ricerca per l’EOC. Sarebbe veramente un danno per l’attività scientifica ticinese, se questo accadesse. È possibile che intervenga l’USI, acquisendo i laboratori dell’EOC e dando il via, di fatto, all’iter che porterà (si auspica) alla nascita di un ospedale universitario anche in Ticino?
«Non commento voci giornalistiche su presunte intenzioni dell’EOC. Confermo che questi Laboratori sono importanti nell’ecosistema della ricerca scientifica ticinese e che, come fatto su molti altri fronti, USI lavorerà con EOC, fianco a fianco, affinché essi abbiano il giusto contesto per continuare la propria attività».
L’USI è una università gestita molto bene, dinamica, apprezzata dagli studenti, che possono disporre di un alto numero di docenti “pro capite”, con un’alta qualificazione. È stata quindi una sorpresa vedere che nel QS World University Rankings 2024 l’USI ha perso molte posizioni, passando dalla numero 240 dell’edizione 2022 alla 328. Che cosa ha determinato questo calo, dopo anni di crescita continua?
«Sapevamo che questa 20ma edizione del QS Ranking avrebbe applicato delle modifiche alla metodologia della classifica aggiungendo nuovi indicatori e cambiando in maniera sostanziale il peso di altri. Fare un confronto con l’edizione precedente di questa stessa graduatoria è quindi difficile. Un’interpretazione plausibile è che questa modifica nella metodologia non abbia premiato il sistema delle università elvetico: quasi tutte hanno avuto la stessa tendenza a calare, con l’eccezione di ETH Zürich e poche altre. Per l’USI, una giovane università di dimensioni contenute, restano risultati positivi. Viceversa la nuova edizione di un’altra graduatoria molto nota, Times Higher Education Young University Rankings, pubblicata qualche giorno dopo, vede l’Università della Svizzera italiana attestarsi al 32º posto a livello globale guadagnando 25 posizioni rispetto allo scorso anno. Credo che questi indicatori debbano essere considerati in modo complessivo: mostrano che siamo decisamente sulla buona strada e che, nonostante la giovane età, nel confronto svizzero e internazionale la nostra Università si difende molto bene e si sta dimostrando all’altezza della fiducia di chi decide di studiare nella Svizzera italiana e di chi la sceglie come partner di ricerca».
Lei è in carica dal 1° luglio, dunque esattamente da due mesi. Quali sono le Sue prime impressioni?
«Sono stati mesi molto intensi, che mi hanno dato la possibilità di conoscere l’università. Sono stata accolta in modo molto caloroso e ho visto diverse cose su cui credo si possa lavorare insieme per far progredire l’USI».
In che modo la Sua esperienza al Politecnico federale di Losanna si esprimerà in Ticino?
«L’USI è un’università giovane, dinamica e con tantissimo potenziale. Mi ricorda molto l’EPFL di un quindicennio fa. Nei miei anni all’EPFL ho visto il Politenico crescere, ancorarsi al territorio e conosco molto bene i dettagli di questa progressione, avendola vissuta in prima persona. L’idea di poter dare l’impulso per un contributo simile, che sia tangibile anche in Ticino, mi motiva molto. I dettagli su come intendiamo procedere saranno precisati nella Pianificazione 25-28 dell’USI, sulla quale sto già lavorando insieme a diverse colleghe e colleghi».
Il nostro Cantone è uno degli ultimi in Svizzera come entità dei finanziamenti pubblici per l’Università (rapportati alle dimensioni, naturalmente). Da più parti si chiede di aumentare questo impegno. Avete un tavolo aperto di discussione?
«I canali di comunicazione con il Cantone sono sempre aperti, sono positivi e le risorse vengono definite ogni quadriennio nell’ambito del contratto di prestazione. Ovviamente noi chiediamo di poter avere maggiori risorse, al pari di altri Cantoni. Ma al contempo conosciamo la congiuntura economica generale e cerchiamo anche di diversificare le nostre fonti di finanziamento. Credo che sia particolarmente positivo che man mano che il tempo passa venga sempre più riconosciuto il nostro ruolo, cruciale, nel plasmare il futuro del territorio. Quando seguiranno anche maggiori risorse, per raggiungere il livello di altri Cantoni, non sta a me deciderlo».
L’USI e anche altri istituti di studio e di ricerca (IRB e IOR in particolare) hanno ottenuto aiuti finanziari importanti da famiglie di benefattori e da Fondazioni, che ancora contribuiscono generosamente. È un aspetto decisivo, in Ticino. Ha già avuto modo di conoscere queste persone? Avete nuovi progetti da sviluppare?
«Lo accennavo nella mia risposta precedente: l’USI cerca di differenziare e ampliare le sue fonti di finanziamento. Oltre al sostegno di Cantone e Confederazione, ai fondi competitivi che regolarmente vinciamo e alle tasse universitarie, cresce anche l’importante sostegno di privati e filantropi. In diversi casi abbiamo potuto godere del sostegno di persone, fondazioni e aziende lungimiranti che vedono nell’università un investimento per il futuro. Ho avuto modo di conoscere alcune di queste persone e di ringraziarle personalmente: sostenendo progetti, iniziative, cattedre e borse di studio, contribuiscono in maniera fondamentale allo sviluppo dell’USI e dei suoi affiliati. Ciò ha un impatto positivo sul territorio, a favore di tutti. Si tratta di persone, fondazioni e aziende che condividono con noi i valori della qualità e della responsabilità e che hanno deciso di reinvestire parte del loro successo facendo qualcosa per la collettività. Li ammiro molto per questo e li ringrazio. A proposito di nuovi progetti, se si trovano le risorse per svilupparli le idee in Università non mancano di certo».