Campus Est

Gong, organizzazione perfetta
e tempi rigidi: così saranno
gli esami federali per i neomedici

Sabato 8 aprile 2023 circa 9 minuti di lettura In deutscher Sprache

In corso all’USI la preparazione e le simulazioni delle prove cliniche e pratiche di abilitazione alla professione medica, previste il 4 settembre. Uguali in tutta la Svizzera, si svolgeranno con pazienti-attori
di Paolo Rossi Castelli

(Foto di Alfio Tommasini)
(Foto di Alfio Tommasini)

Un grosso fischietto arancione spunta dalle tasche dell’équipe che, al Campus Est di Lugano, è al lavoro da mesi per organizzare in modo perfetto l’esame federale per gli studenti di medicina, in programma il 4 settembre. Sarà un giorno storico per l’Università della Svizzera italiana e, possiamo dire, per il Ticino, perché per la prima volta verranno abilitati alla professione medica studenti - soprattutto della Svizzera tedesca - che hanno studiato qui, nel nostro Cantone, invertendo una prassi che si protraeva da sempre (l’emigrazione dei ragazzi ticinesi verso le facoltà di medicina della Svizzera interna). Ma cosa c’entra il fischietto arancione? C’entra, perché il 4 settembre gli esami clinici-pratici federali (in termine tecnico, esami OSCE: Objective Structured Clinical Examination, che seguono quelli teorici) per i 47 laureati in medicina all’USI dovranno svolgersi in perfetta sincronia con le prove identiche organizzate anche in tutte le altre facoltà di medicina svizzere, lo stesso giorno, alla stessa ora. E se si bloccherà, per qualche motivo, il sistema informatico che governa il gong destinato a scandire i vari momenti delle prove OSCE (ogni studente dovrà visitare 12 pazienti), il fischietto potrà scandire in modo inflessibile il tempo.

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«L’assoluta contemporaneità di questi esami nell’intera Svizzera, con gli studenti che dovranno occuparsi di casi clinici stabiliti da un’apposita commissione federale e uguali per tutti, è un elemento fondamentale per il buon esito e l’imparzialità degli esami stessi - spiega Fabrizio Barazzoni, responsabile degli esami OSCE per l’Università della Svizzera italiana. - Il sistema OSCE è stato attivato una decina  di anni fa proprio per fare in modo che gli studenti di medicina, terminato il corso di studio, potessero affrontare in modo uguale, con le stesse chance, gli esami clinici pratici che, unitamente a quelli teorici, abilitano poi alla professione. Prima, invece, ogni università procedeva per conto suo, pur seguendo linee guida simili. Così allo studente di un determinato ateneo poteva capitare un esaminatore più severo di altri, o un paziente più difficile da decifrare. Con il sistema OSCE, invece - continua Barazzoni - viene garantita un’assoluta imparzialità: esami identici per tutti, nello stesso momento, con gli esaminatori che non "interrogano", ma devono limitarsi a controllare (inserendo i dati su un iPad ) che gli studenti facciano le domande giuste ai pazienti, eseguano le previste manovre diagnostiche, decidano di prescrivere le analisi e gli esami strumentali giusti, e naturalmente cerchino anche di identificare la diagnosi più probabile (che è uno dei criteri richiesti)». 

L’idea è molto buona, ma anche molto complessa da mettere in pratica. Com’è possibile, in particolare, raccogliere decine, anzi, centinaia di pazienti che abbiano tutti la stessa patologia, allo stesso grado, nello stesso momento, da sottoporre a 1’200 studenti in città diverse (questo sarà il numero complessivo di ragazzi e ragazze che sosterranno gli esami all’inizio di settembre)? La risposta è semplice: negli esami OSCE gli studenti non hanno a che fare con pazienti veri (dunque, mutevolissimi, per definizione), ma con persone che simulano le malattie: persone (in pratica, attori, anche se non professionisti) che vengono selezionate e preparate per questo, con una vera e propria sceneggiatura, truccatori, registi e un team  di esperti che li istruisce. Una tale impostazione garantisce che gli studenti di medicina, indipendentemente dall’università in cui studiano, abbiano di fronte persone che si comportano allo stesso modo.

Ingaggiare e istruire queste persone richiede un grandissimo sforzo organizzativo, e anche un forte esborso di denaro, da parte della Confederazione per gli esami OSCE federali. Con un problema in più, nel nostro Cantone. «Abbiamo un ampio archivio di aspiranti attori (o, meglio, pazienti simulanti) - spiega Fabrizio Pestilli, uno dei quattro “trainer” attivi in Ticino per gli esami OSCE - ma pochi di loro parlano fluentemente anche il tedesco. Dunque non vanno bene per l’esame finale che, in settembre, verrà proposto in due lingue, a scelta dello studente (italiano o tedesco, appunto), visto che la maggior parte dei neo-medici arriva dal Politecnico di Zurigo e dall’Università di Basilea (dove hanno frequentato i primi tre anni di bachelor, mentre a Lugano hanno seguito il quarto, quinto e sesto anno del corso di laurea, cioè il Master, ndr)». Diversi casting sono stati organizzati, per ovviare a queste difficoltà: l’ultimo, il 1° aprile, presso la SUPSI di Locarno.

Siamo sicuri, però, che funzioni bene il sistema dei pazienti simulati? «Sì, assolutamente - continua Pestilli. - La Svizzera ha importato questo sistema dal Nordamerica (Stati Uniti e Canada), dove i pazienti simulati vengono utilizzati non solo per gli esami finali, ma anche per molti tipi di lezioni, o per i corsi degli infermieri e di altre professioni sanitarie. È così efficace e utile questo modo di insegnare (e di esaminare...), che negli USA quella del paziente simulato è diventata una vera e propria professione. In altre parole, ci sono attori, o aspiranti attori, che fanno questo per tutta la vita e sono anche molto richiesti. In Ticino non siamo ancora arrivati a questo punto, ma qualcosa comincia a muoversi (oltre agli esami OSCE). La SUPSI, per esempio, ha deciso di utilizzare la simulazione in un corso per infermieri che inizierà fra poco».

Dunque, torniamo al fischietto arancione o, meglio, al gong elettronico. Suonerà il 4 settembre esattamente alle 9, nelle aule che verranno attrezzate appositamente all’interno del Campus Est USI di Lugano, e negli edifici di tutte le altre facoltà di medicina svizzere, come dicevamo. I 47 studenti dell’Università della Svizzera italiana verranno divisi in due gruppi: uno la mattina e un altro il pomeriggio (sempre in contemporanea con gli altri atenei svizzeri). I due gruppi non potranno mai venire a contatto, quel giorno. Nel Campus Est lo staff organizzativo, molto numeroso e ricco di specialisti, allestirà 12 finti ambulatori, ognuno con un lettino per le visite, più tutte le altre attrezzature mediche necessarie. In ogni ambulatorio, naturalmente, lo studente troverà un paziente (o, meglio, un paziente simulato), più un esaminatore. Altri  pazienti ed esaminatori di riserva saranno comunque presenti nel Campus, pronti a sostituire eventuali colleghi in défaillance.

Gli studenti avranno esattamente 13 minuti per ogni paziente, più 2 minuti iniziali per leggere  il “compito” (una descrizione del problema), all’ingresso dell’ambulatorio, in un’apposita teca. Ogni quarto d’ora il gong suonerà e gli studenti dovranno passare nella postazione  successiva, anche se non saranno stati in grado di ultimare la visita. L’esaminatore OSCE, in ciascun “ambulatorio”, osserverà - senza intervenire o porre domande - quello che lo studente farà, e segnerà i vari passaggi sull’iPad, verificando (senza dirlo allo studente) se coincidono con quelli di una scaletta ideale predefinita. Ultimati gli esami - a Lugano ma anche nel resto della Svizzera - i dati verranno poi rielaborati tutti insieme a Berna e, sulla base dei risultati complessivi di tutte le facoltà, verrà deciso il limite minimo di risposte giuste che permetterà di ottenere l’agognata autorizzazione a esercitare la professione.
«In altre parole - spiega Barazzoni - se l’insieme degli studenti di quest’anno si rivelerà particolarmente brillante, l’asticella per superare l’esame potrebbe essere più alta. Oppure potrà avvenire anche il contrario, se gli esiti globali delle prove non saranno di livello particolarmente elevato. Ma si tratterà, comunque, di differenze minime».

In verità agli studenti non verrà chiesto solo di arrivare a una diagnosi, seguendo l’iter clinico giusto. «Questo è il caso tipico che gli studenti si troveranno ad affrontare con i pazienti (simulati), ma esistono anche altre possibiltià - dice Pestilli. - Alcune volte, per esempio, lo studente scoprirà, nel compito iniziale, di dover comunicare, invece, una notizia molto brutta al paziente, come l’esito infausto di un esame diagnostico (una grave forma di tumore). In questo caso, la prova d’esame consisterà nel trovare il modo giusto, dal punto di vista comunicativo, psicologico ed etico, per affrontare temi così pesanti. Oppure, mentre è in corso una visita classica, il paziente potrà avere un aggravamento improvviso, o comunque andare incontro a un’emergenza, come un infarto fulminante. E lo studente, come d’altronde avviene davvero al pronto soccorso, dovrà sapere come intervenire». Gli esami OSCE, insomma, vogliono “testare” le diverse situazioni che i giovani medici dovranno certamente affrontare, prima o poi, nella loro attività.

Ma non è un messaggio sbagliato questa enfasi sui 15 minuti, che vanno rispettati in modo così rigido, scandito addirittura dal gong? In altre parole, non sarebbe meglio inserire negli esami anche la parte più olistica, cioè anche quell’ambito che riguarda la storia familiare del paziente e tutti gli altri elementi, anche non strettamente medici, che possono influire fortemente, a volte, sul decorso di molte malattie? «Il ritmo dei 15 minuti segue esigenze organizzative - spiega Giovanni Pedrazzini, decano della Facoltà di scienze biomediche dell’USI - visto che i pazienti simulati da visitare sono 12, e dunque già con questi tempi stretti (un quarto d’ora per ogni paziente) l’intera sessione arriva a durare 3 ore per lo studente: un tempo comunque lungo e impegnativo. Andare oltre sarebbe probabilmente troppo, come fonte di stress e anche come impegno per chi organizza gli esami. Ma voglio precisare - aggiunge Pedrazzini - che la parte legata all’ascolto del paziente e all’empatia conta moltissimo nella valutazione. Insomma, se uno studente si dimostra bravo a fare le diagnosi, ma incapace di parlare ai pazienti e di trattarli con la necessaria attenzione, rischia di venire bocciato. Nella tradizione svizzera, il rispetto delle persone, dentro gli ambulatori e gli ospedali, è sacra. Quando gli studenti si troveranno, poi, a esercitare realmente la professione, avranno comunque la possibilità, dopo la prima visita, di convocare nuovamente i pazienti, se necessario, per approfondire i temi più ampi legati alla loro malattia e al loro ambiente. Lo facciamo sempre, nei nostri ospedali. Un po’ più difficile realizzarlo durante un esame...».

(Questo articolo è stato scritto per la rubrica Ticino Scienza pubblicata sul quotidiano LaRegione di Bellinzona)