PROSTATA

Vecchie e corrotte: ecco
le cellule immunitarie
che favoriscono i tumori

Lunedì 14 agosto 2023 circa 4 minuti di lettura In deutscher Sprache
Ricostruzione al computer dei granulociti neutrofili, le cellule del sistema immunitario che, in alcuni casi, favoriscono la crescita del tumore della prostata, invece di bloccarla (foto Shutterstock)
Ricostruzione al computer dei granulociti neutrofili, le cellule del sistema immunitario che, in alcuni casi, favoriscono la crescita del tumore della prostata, invece di bloccarla (foto Shutterstock)

Individuate dall’équipe dell’Istituto Oncologico di Ricerca guidata da Andrea Alimonti, potrebbero aprire la strada a nuove terapie contro il cancro e altre malattie dell’invecchiamento come Alzheimer e Parkinson
di Elisa Buson

Come nei gialli classici, anche nel sistema immunitario ci sono dei “poliziotti” vecchi e corrotti che vengono meno al loro dovere per favorire il malaffare, cioè la crescita dei tumori. Li hanno smascherati i ricercatori dell’Istituto Oncologico di Ricerca di Bellinzona (IOR, affiliato all’Università della Svizzera Italiana e membro dell’associazione Bios+), guidati dal fiuto investigativo di Andrea Alimonti, direttore del gruppo di ricerca di oncologia molecolare, nonché docente all’USI e al Politecnico federale di Zurigo. Lo studio, pubblicato sulla rivista Cancer Cell in collaborazione con l’Università di Padova, potrebbe aprire nuovi scenari non solo per la lotta al cancro, ma perfino contro altre malattie legate all’invecchiamento come Parkinson e Alzheimer.

A dare il via al filone d’indagine, nel 2018, è stata un’idea della giovane Arianna Calcinotto, al tempo collaboratrice di Alimonti e ora a capo del gruppo di ricerca dello IOR specializzato nel campo dell’immuno-oncologia. Le sue ricerche avevano portato a segnare nella lista degli “indiziati” i neutrofili, guardiani del sistema immunitario che lavorano nella prima linea di difesa (quella dell’immunità innata) contro gli agenti patogeni. Alcuni di questi “poliziotti” erano stati sorpresi ad aggirarsi in maniera sospetta tra le cellule tumorali della prostata, richiamati da messaggi in codice (chemochine) rinvenuti nelle loro “tasche” (o meglio, nei loro recettori). In presenza di questi misteriosi neutrofili, il tumore prolifera invece che essere represso, fino a diventare resistente alle terapie e perfino alla castrazione farmacologica, l’extrema ratio a cui si ricorre negli stadi di malattia più avanzati, per inibire la produzione del testosterone che alimenta il cancro.

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Per pedinare meglio questi poliziotti infedeli, il gruppo di Alimonti si è affidato a un giovane "detective" italiano, il dottorando Nicolò Bancaro: laureato in biologia molecolare all’Università di Padova, dopo un’esperienza di quasi un anno al Karolinska Institutet di Stoccolma, Bancaro ha incontrato Alimonti durante una conferenza internazionale e ha deciso di fare armi e bagagli per trasferirsi in Ticino e conseguire il suo dottorato allo IOR, dedicandosi proprio ai neutrofili.

Per prima cosa, Bancaro ha provato a bloccare i messaggi inviati dal tumore per richiamare e corrompere nuovi poliziotti immunitari. «Siccome i neutrofili hanno una vita breve, che dura al massimo un giorno, ci aspettavamo che una volta inibito il loro reclutamento sarebbero andati via via sparendo dal tumore e invece, a sorpresa, non è successo questo», racconta il ricercatore. Anche a distanza di giorni, infatti, nel “covo” tumorale rimanevano rintanati diversi neutrofili “highlander” dall’inaspettata longevità, che portavano avanti imperterriti la loro azione immunosoppressiva. I ricercatori hanno allora provato a tracciarne un identikit molecolare, sia nei modelli murini della malattia (come si dice in termine tecnico, cioè nei topi di laboratorio) che nelle cellule prelevate da pazienti, per capire se questi neutrofili presentassero i caratteri tipici delle cellule “anziane” (senescenti).

Studiando attentamente i traffici metabolici, «abbiamo scoperto che è il tumore stesso a produrre un fattore, l’Apolipoproteina E, che si lega al recettore TREM-2 del neutrofilo attivando la senescenza», spiega Bancaro. «Il neutrofilo diventa così molto più longevo e aggressivo nella sua azione pro-tumorale».

Questi risultati delineano dunque un nuovo meccanismo che permette al tumore di sottrarsi alle difese immunitarie e fanno intravedere la possibilità di sviluppare nuove terapie antitumorali basate su farmaci (detti “senolitici”) in grado di colpire i neutrofili senescenti. «Noi ci abbiamo provato con un farmaco, un inibitore dell’enzima istone deacetilasi chiamato romidepsin, che è già stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) americana per uso umano in campo oncologico», sottolinea il ricercatore. «Nei primi esperimenti sui topi si è dimostrato in grado di modificare il profilo molecolare dei neutrofili rallentando la crescita del tumore della prostata anche del 50% rispetto alla tradizionale terapia standard».

Questo primo successo lascia ben sperare per la lotta alle forme tumorali più resistenti alle terapie, ma non solo. «Diversi studi hanno recentemente dimostrato che oltre ai neutrofili ci sono anche altre cellule immunitarie che diventano senescenti e questo fenomeno è correlato all’invecchiamento», osserva Bancaro. «Prendendo di mira specifici meccanismi di senescenza del sistema immunitario con gli immuno-senolitici – conclude Andrea Alimonti - potrebbe diventare possibile prevenire o ritardare malattie legate all’età come il cancro, ma anche l’Alzheimer e il Parkinson».