Sperimentazione animale:
«Vogliamo abbandonarla,
ma il percorso sarà lungo»
Incontro pubbllico il 18 settembre al Campus Est di Lugano, organizzato dall’USI, su un tema che divide l’opinione pubblica. Si parlerà del progetto "3R" per ridurre progressivamente l’uso degli animalidi Paolo Rossi Castelli
Nel 2021 (ultimi dati disponibili) sono stati utilizzati, in Svizzera, ben 574’673 animali da laboratorio (la maggior parte dei quali è stata poi soppressa), con un aumento del 3,3 per cento rispetto all’anno precente, ma con un calo marcato rispetto al 2015, quando erano stati addirittura più di 700’000. È aumentato notevolmente, però, il numero degli animali sottoposti a un forte aggravio di sofferenze (il cosiddetto livello tre, su una scala da zero a tre, appunto): 25’752, rispetto ai 19’712 del 2020, il che corrisponde a un incremento del 30,6 per cento.
Non sono, questi, i dati di un’associazione animalista, ma quelli ufficiali del Rapporto sulla statistica della sperimentazione animale nel 2021, pubblicato nel settembre dell’anno scorso dall’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria. Sono numeri molto crudi, che parlano di una pratica considerata necessaria dal mondo scientifico, ma che incontra una crescente ostilità in una parte ampia della popolazione.
Il tema è delicatissimo, vista l’importanza che la ricerca biomedica ha per l’impatto sulla salute (e, in Svizzera, anche sull’economia), e verrà affrontato lunedì 18 settembre alle 9 nella Sala polivalente del Campus Est di Lugano, durante un incontro organizzato dall’Università della Svizzera italiana. L’ingresso sarà libero. Bisognerà solo iscriversi, attraverso un apposito modulo disponibile online. Interverranno numerosi addetti ai lavori, tra i quali Valentina Mercaldo (Dipartimento di neuroscienze dell’Università di Losanna), Giuseppe Bertoni (presidente della Commissione cantonale per gli esperimenti sugli animali, Canton Ticino) e Santiago F. González, group leader all’Istituto di ricerca in biomedicina (IRB) di Bellinzona.
Verranno illustrate le diverse angolazioni delle procedure sugli animali e si punterà l’attenzione sulla strategia delle “3R”: sostituzione degli esperimenti con metodi alternativi (Replacement), riduzione del numero di animali (Reduction) e perfezionamento dei metodi di ricerca scientifica (Refinement). Questo sarà il futuro, ma per adesso le 3R, messe tutte insieme, permettono di ottenere risultati ancora minimi.
Giovanni Pedrazzini Ingrandisci la foto
«Siamo in una fase di transizione - spiega Giovanni Pedrazzini, decano della Facoltà di scienze biomediche dell’USI. - In passato, bisogna ammetterlo, c’era un uso estremamente “spinto” della sperimentazione animale, con regole non così rigide come quelle di oggi, ed è possibile che si siano verificati abusi. Ma adesso le norme svizzere sono molto più “strette”, sia in termini di sofferenza animale, sia per quanto riguarda i protocolli etici. In più, viene reso vincolante l’obiettivo delle 3R».
Il numero degli animali sacrificati in laboratorio è ancora elevatissimo, però
«Al momento non siamo in grado di rinunciare a questo tipo di sperimentazione, se vogliamo far progredire gli studi biomedici (nuovi farmaci, tecniche chirurgiche, sistemi diagnostici) e ridurre al minimo i rischi per gli esseri umani. Tutta la comunità scientifica, comunque, si sta muovendo per arrivare a una fase, negli anni futuri, in cui la ricerca non sarà più legata alla sperimentazione animale, ma siamo - per così dire - in mezzo al ponte che ci condurrà verso questo nuovo orizzonte. E oggi non possiamo, e non dobbiamo, farlo crollare sotto i nostri piedi».
Quali sono i metodi alternativi?
«Una grande speranza è affidata ai modelli matematici (biologia computazionale, digitalizzazione) con l’aiuto anche dell’intelligenza artificiale, per simulare in modo preciso cosa avviene quando un nuovo farmaco, ad esempio, viene messo a contatto con un tumore. Sono poi numerosi nel mondo gli studi su sistemi cellulari avanzati, a partire dai cosiddetti organoidi, e su altri ambiti ancora. Ma finora non siamo ancora in grado di fare a meno, come dicevo, della sperimentazione sugli animali, soprattutto - per quanto riguarda il Ticino - in settori come l’immunologia, l’oncologia, la cardiologia, la neurologia, l’ortopedia e la chirurgia».
Quanto tempo ci vorrà?
«Sarà necessario un certo numero di anni prima di poterne uscire, e dovremo farlo in modo ragionevole. È un po’ come rinunciare all’energia nucleare... È stato deciso, anche in Svizzera, di non fare più ricorso a questo tipo di tecnologia, ma è complesso mettere in pratica la sostituzione con le energie alternative e sostenibili. Qualcosa di simile sta avvenendo per la ricerca animale: c’è una forte spinta a sostituirla, anche da parte del mondo scientifico, ma è molto complicato e richiede tempo. Forzare la mano significherebbe mettere a rischio la ricerca biomedica svizzera, che è una delle più forti del mondo».
I modelli matematici sembrano molto promettenti...
«Sì, in alcuni settori, come l’aritmologia (studi sul cuore), funzionano molto bene. Ma non è ancora possibile, invece, “modellizzare” altri ambiti, come l’immunologia e l’aterosclerosi, dove è necessario valutare a livello cellulare quali sono gli impatti di determinati trattamenti. I modelli matematici possono predire l’efficacia di alcune sostanze, ma siamo lontani dal poter certificare tali risultati. E questo, invece, è un passaggio fondamentale. Per quanto riguarda il Ticino, all’Istituto Eulero (Facoltà di informatica dell’USI) sono attivi importanti studi nel settore dei modelli matematici».
La ricerca “tradizionale” è necessaria, Lei diceva, ma sono tanti gli esempi di molecole (farmaci potenziali) che funzionano sugli animali, e sugli uomini no
«Certo, non bisogna attivare la ricerca animale pensando che sia poi facile trasferirla all’uomo. Occorrono numerose cautele, ma molto si sta facendo, comunque, per migliorare i risultati. Si utilizzano sempre più spesso, ad esempio, topi che vengono in un certo senso umanizzati, tramite tecniche genetiche, per renderli più compatibili con le caratteristiche umane. Resta però necessario, in ogni caso, che dopo la sperimentazione animale si ricominci, sugli uomini, con gli studi di fase 1, 2 e 3 (i tre livelli stabiliti dalle regole internazionali, ndr)».
Il Ticino è in prima linea nello studio delle colture cellulari, per superare la sperimentazione animale
«In questo ambito la ricerca ha fatto passi da gigante, mettendo a punto piattaforme per la coltura di cellule umane. Ed è chiaro che questa è una delle più importanti vie del futuro. Però, per l’ennesima volta, dobbiamo dire che occorrerà un lungo cammino prima di poter disporre di strutture di questo genere per tutte le malattie. In questo ambito lavora a Bellinzona un gruppo di ricerca molto qualificato, guidato da Matteo Moretti, che si sta specializzando nella costruzione di piattaforme su cui impiantare colture cellulari che simulino il substrato cardio-vascolare e quello oncologico. Su quelle piattaforme potremo immaginare di sperimentare, in futuro, una lunga serie di sostanze, senza ricorrere alla sperimentazzione animale».
La maggior parte della sperimentazione animale viene eseguita sui topi (circa 370’000 in Svizzera nel 2021), ma nei laboratori finiscono anche tanti mammiferi di grandi dimensioni, come i maiali e le scimmie
«È vero, ma siamo usciti dalla fase della sperimentazione facile e “gratuita”, come dicevo. L’ho vista anch’io negli anni Novanta e Duemila, quando i ricercatori potevano ottenere senza troppi problemi animali piccoli e grandi, e senza dover convincere i comitati etici. Sui maiali, in particolare, c’era una ricerca spintissima a proposito dei trapianti, e a volte si sono verificati abusi. Insomma, era relativamente facile il sacrificio degli animali. Adesso assolutamente non più. Dobbiamo però essere trasparenti e raccontare le cose come stanno. Dobbiamo rendere conto alla cittadinanza di quello che facciamo all’interno dei laboratori, e del perché lo facciamo, senza nascondere numeri e dati».
Bisognerebbe anche controllare che certe sperimentazioni estreme non vengano affidate a Paesi dove le leggi sono meno severe rispetto alla Svizzera
«Questo è un problema che esiste, purtroppo. Ma qui entriamo nel tema dell’etica di ogni singolo ricercatore, che deve essere chiamato a rendere conto in maniera rigorosa dei suoi dati scientifici, e anche di come ha portato avanti gli studi e ottenuto certi risultati. Sarebbe un controsenso introdurre criteri rigidi in Svizzera, lasciando aperte via di fuga».