Settimana del cervello
nel nome dell’eterno gioco
fra luce e oscurità
In Ticino e nella Svizzera interna, ma anche in decine di altri Paesi nel mondo, una serie di iniziative coordinate, per raccontare come funziona l’organo più complesso, e tuttora misterioso, del nostro corpodi Valeria Camia
Una settimana da dedicare al cervello: in Ticino, ma anche nel resto della Svizzera e in decine di altri Paesi del mondo. Tutti coordinati fra loro come data (dal 14 marzo in poi), ma ognuno con una forte autonomia organizzativa. In Ticino si è iniziato con una conferenza pubblica al cinema Lux Art House di Massagno, sul tema “Vedere, guardare e immaginare”. Protagonisti dell’incontro, molto affollato, il consigliere di Stato Manuele Bertoli, la psichiatra e psicoterapeuta Anna Luisa Bogani, il neurologo Leonardo Sacco e la filosofa Francesca Rigotti.
Secondo appuntamento, il 17 marzo, all’Ospedale Italiano di Viganello, con un convegno per addetti ai lavori (“Dalla visione alla cecità”). Infine mercoledì 23 marzo è stato proiettato il film “Cecità”, tratto dall’omonimo libro del premio Nobel Josè Saramago, sempre al cinema Lux, con ingresso gratuito.
Ma c’è davvero questa necessità di parlare del cervello, un organo su cui le notizie, comunque, non mancano? «Sì, assolutamente - risponde con decisione Alain Kaelin, direttore medico e scientifico del Neurocentro della Svizzera italiana (EOC), che ha avuto un ruolo centrale, insieme all’Ideatorio USI, e in collaborazione con l’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale, nell’organizzazione della “versione” ticinese della Settimana del cervello. - È vero che si parla molto spesso del cervello e delle malattie che possono colpirlo, a partire da quella di Alzheimer e di Parkinson, ma è anche vero che solo in pochissime occasioni i medici e i ricercatori hanno l’occasione di prendere contatto direttamente con il grande pubblico, per raccontare cosa stanno facendo, e come procedono gli studi su un organo così complesso, ma anche le delusioni, i problemi. La Settimana del cervello è una di queste occasioni».
Ideata negli anni ’90, la “Settimana” avrebbe dovuto raccontare, secondo gli organizzatori, quella che al momento appariva una stagione travolgente, e in fortissimo progresso, per quanto riguardava le neuroscienze. Si era finalmente cominciato a capire (o, almeno, così sembrava) come si innescano le patologie neurodegenrative (Alzheimer e Parkinson, appunto), e sembrava a portata di mano la possibilità di trovare una terapia. Anche gli studi sulle lesioni del midollo spinale lasciavano sperare in terapie più adeguate ed efficienti per le persone che erano rimaste paralizzate. «La realtà ci ha poi insegnato che non era affatto facile risolvere questi problemi - continua Kaelin - ma è comunque molto importante informare i cittadini su quello che stiamo facendo (i progressi sono stati numerosi) e sulle prospettive, i progetti di ricerca e di cura».
Il Comitato scientifico e organizzativo della Settimana del cervello in Ticino, presieduto da Claudio Städler, co-primario della clinica di neurologia al Neurocentro, ha deciso di puntare quest’anno, come accennavamo, sul tema dell’oscurità (e dunque anche della cecità). E l’incontro di apertura (14 marzo) ha proposto proprio un’immersione nel valore della luce e nell’importanza del buio. Moderata da Giovanni Pellegri, neurobiologo, la conversazione fra gli ospiti ha fatto emergere numerosi spunti di riflessione dal campo psichiatrico, neurologico e filosofico. Il tutto accompagnato da due interventi teatrali di Lucilla Giagnoni.
«Il nostro corpo, i nostri organi, gli spazi venosi: tutto dentro di noi è “al buio” - spiega a Ticino Scienza la filosofa Francesca Rigotti, una delle relatrici della serata e autrice del saggio “Buio” edito da Il Mulino nel 2020, nonché ex-docente della Facoltà di comunicazione, cultura e società dell’Università della Svizzera italiana. - Ma anche attorno a noi c’è il giorno e c’è la notte. La luce e le tenebre. Insomma, l’oscurità, l’assenza di luce, è naturale. Eppure l’umanità da sempre teme il buio. Qualcuno punta il dito contro l’etica aristotelica, indicandola quale responsabile della polarizzazione luce/buio nella sua ricerca del “giusto mezzo” (per il filosofo greco Aristotele, la virtù si trova nel giusto mezzo fra due poli viziosi). Io credo però - continua Rigotti - che la questione sia innata nell’essere umano, universale. Categorizziamo, gerarchizziamo, attribuiamo diverse valorizzazioni alle cose (per esempio destra e sinistra, alto e basso; maschile e femminile) e le interpretiamo. Quindi anche giorno e notte; luce e buio: poli opposti, positivo e negativo.»
Insomma, anche se da Galileo Galilei in poi la conoscenza ha cessato di dipendere dalle impressioni qualitative, per seguire quelle quantitative, misurabili, continuiamo a ragionare per attributi mancanti: il silenzio che non è rumore, la donna che non è uomo, e il buio che non è luce. «Le temiamo le tenebre, siamo spaventati quando non vediamo - dice Rigotti. - E pensare, invece, che per gli antichi greci la cecità aveva una valenza oracolare. Ci circondiamo di spazi illuminati e, senza curarci troppo dell’inquinamento luminoso, giustifichiamo lo spreco e l’eccessiva luminosità ricorrendo alle lampade LED! Nelle nostre case la luce dei lampioni sulle strade penetra ogni spazio. Di notte, volgendo lo sguardo dalle colline alle pianure, è un continuum di puntini di luce. Risultato? I bambini di oggi - continua Rigotti - non sanno quasi più che cosa sia l’oscurità».
C’è una certa ironia, verrebbe da scrivere, nell’osservare come la nostra concezione negativa del buio venga giustificata quasi “scientificamente”, ad esempio ricorrendo a termini usati per fenomeni atmosferici, anche se - come ricorda la filosofa - chissà chi ha preso in prestito da chi, se la meteorologia dall’etica o viceversa: un cielo sereno non fa paura, non porta nulla di brutto; e così anche una persona serena è piacevole. Il "bel tempo”, tipicamente quello soleggiato, è quello che apprezziamo (kalòs kaì agathós dicevano gli antichi greci, ovvero “bello e buono”); ma… «se non piove da mesi, siamo proprio sicuri che un giorno di pioggia sia “brutto”?»
La riflessione di Francesca Rigotti si spinge oltre e si fa metafisica (ta metà ta physikà, che in greco antico significa "ciò che segue dopo la fisica”). «Riflettiamo un attimo: cosa ci stiamo perdendo, immersi nella luce continua? L’introspezione che solo in un momento di raccoglimento al buio possiamo regalarci. Perché l’eccesso di luce non è di certo la vera risposta al superamento del buio interiore. Anzi, proprio in un contesto di oscurità o luce soffusa possiamo concentrarci, e letteralmente andare verso il centro del nostro essere. Riusciamo a calmarci, rilassarci, trovare appagamento e quiete». "…E mentre io guardo la tua pace, dorme/ quello spirto guerrier ch’entro mi rugge”, si placa quello spirito combattivo che freme dentro di me: così conclude Ugo Foscolo nel 1803 il suo sonetto “Alla sera”.»