Tecniche avanzate

Quando un paio di occhiali
diventa un "navigatore"
per i ciechi e gli ipovedenti

Sabato 9 settembre 2023 circa 6 minuti di lettura In deutscher Sprache
(Foto di Chiara Micci / Garbani)
(Foto di Chiara Micci / Garbani)

In finale a un concorso internazionale della Toyota Mobility Foundation i dispositivi ad alta tecnologia della startup ticinese Lighthouse Tech. Sensori inseriti nelle stanghette segnalano la presenza di ostacoli
di Monica Piccini

«Vorremmo degli occhiali che siano belli da indossare, anche se non saremo mai in grado di vederli». Così si è sentito rispondere Franco Burlando, fondatore (insieme al designer Riccardo Baldini) e Ceo della start up Lighthouse Tech con sede a Morbio Inferiore, quando dopo 37 anni nel campo dell’occhialeria di alta moda ha voluto mettere la sua esperienza al servizio di persone cieche e ipovedenti, ma anche di coloro che seguono un percorso di riabilitazione della vista a seguito di un ictus (può compromettere il campo visivo), coinvolgendo associazioni, caregiver e familiari. «In seguito alla risposta alla nostra domanda “cosa possiamo fare per voi?” - racconta Burlando - abbiamo quindi deciso di progettare un occhiale hi tech esteticamente bello e soprattutto semplice da usare». La Lighthouse - che rientra nel settore delle tecnologie medicali (MedTech), in continua ascesa nel nostro cantone - è nata nel 2020 e ha gli uffici all’USI Startup Centre (la struttura dell’Università della Svizzera italiana creata per sostenere progetti innovativi), nel Campus Est di Lugano.

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Poco prima dell’estate la Lighthouse è stata selezionata come una delle 12 aziende ammesse alla finale del concorso internazionale di idee “Mobility For All” organizzato dalla Toyota Mobility Foundation, per aiutare le persone con disabilità. I vincitori riceveranno l’equivalente di circa 120 mila franchi e avranno la possibilità di collaborare con grandi aziende del settore. Il 2 e 3 settembre si sono svolti a Tokyo i test che permetteranno alla giuria di designare il vincitore, e anche Burlando è partito per il Giappone. I risultati verranno resi noti alla fine di settembre

Burlando lavora con Nathan Deutsch, Chief Operations Officer e Innovation Lead dell’azienda. A lui chiediamo di raccontarci in che modo questi occhiali possono aiutare chi ha una disabilità visiva a muoversi in maniera più autonoma. «La nostra idea di partenza - spiega Deutsch - è stata quella di integrare gli occhiali con una tecnologia wearable (indossabile) all’avanguardia, perché la componente elettronica sempre più leggera e miniaturizzata può essere contenuta nella montatura di un occhiale, senza comprometterne l’aspetto estetico». Rispetto ai dispositivi elettronici prodotti da altre aziende di questo settore, che in termine tecnico viene chiamato Obstacle detection warning, la differenza degli occhiali studiati dalla Lighthouse sta proprio nell’essere indistinguibili dai normali tipi di occhiali. «Prossimamente disponibile in sei diversi modelli e svariati colori - aggiunge Deutsch - la nostra montatura è pensata anche per mitigare le discriminazioni che ancora accompagnano, a volte, chi soffre di disabilità visive. È piacevole e alla moda».

In pratica come funzionano?

«Gli occhiali (in sigla, LTH01) - continua Deutsch - forniscono indicazioni sensoriali alle persone cieche e ipovedenti sulla presenza di eventuali ostacoli lungo il loro cammino. In particolar modo sono in grado di rilevare tutti quegli oggetti che si possono trovare ad altezza dalla vita in su fino alla testa, come per esempio i rami di un albero ma anche lo sportello di un pensile lasciato aperto da un familiare distratto in cucina. Questi tipi di ostacoli non possono essere rilevati dall’uso del bastone o dal cane guida, che sono utilissimi, invece, per “mettere in guardia” da ostacoli al livello del terreno e poco più in alto. Quindi, un sofisticato sistema di sensori posizionati sulla parte anteriore del telaio degli occhiali rileva in tempo reale gli ostacoli fino a 3 metri di distanza. Il feedback della presenza di un oggetto viene poi comunicato (un po’ come il segnale che le auto utilizzano per assistere il guidatore in fase di parcheggio) tramite appositi ricevitori integrati nelle aste, che avvertono chi sta indossando gli occhiali con una sorta di vibrazione simile a quella degli smartphone (e non con un segnale acustico, che potrebbe essere di disturbo). Abbiamo progettato questi dispositivi in modo da dare solo le informazioni necessarie, senza eccedere. Perchè troppi stimoli potrebbero confondere fino a bloccare la persona che li riceve». 

Qual è il riscontro di chi ha già testato il vostro prototipo?

«L’aspetto che piace di più è il funzionamento intuitivo dello strumento. In pratica, se c’è un ostacolo proprio davanti, chi cammina riceve un feedback sia sulla stanghetta destra che su quella sinistra (la vibrazione diventa più forte, man mano che l’oggetto si avvicina). Modificando la traiettoria, le vibrazioni delle stanghette aumentano, o diminuiscono, permettendo alla persona ipovedente di scegliere la direzione giusta. Quando le stanghette smettono di vibrare, è il segnale che la traiettoria è quella corretta».

A che punto del percorso imprenditoriale siete?

«Dopo aver ottenuto un finanziamento da Innosuisse (l’agenzia federale per l‘innovazione) e il sostegno della SUPSI (Scuola Universitaria Professionale della Svizzera italiana) per le questioni più tecniche del progetto, abbiamo realizzato i primi prototipi con nostri fondi privati. Al momento più di 400 persone hanno provato i nostri occhiali. Con il team tecnico e le associazioni di non vedenti, come l’Unitas della Svizzera Italiana, affiliata della nazionale Szblind, abbiamo effettuato una serie di test in ambiente controllato. Nello specifico si è trattato di creare dei labirinti con una serie di ostacoli realizzati tramite sagome di cartone, per simulare, ad esempio, segnali stradali o parti sporgenti di edifici che mettono a rischio la sicurezza di ciechi e ipovedenti».

Il prossimo passo?

«Il secondo round è realizzare un prototipo di pre-produzione, in un numero limitato di occhiali “grezzi” con cui fare test a lungo termine. Poi, entro la primavera 2024, inizieremo la produzione vera e propria».

Quanto costerà il prodotto finale?

«La questione è ancora al vaglio. Si aggirerà probabilmente intorno ai 1200-1500 franchi (in molti Paesi è comunque previsto un rimborso per l’utente). Bisogna tenere presente che per realizzare un dispositivo con queste caratteristiche tecnologiche sono necessari forti investimenti. In un prossimo futuro vorremmo coinvolgere le aziende specializzate nella produzione e nel commercio di occhiali, offrendo ai brand la tecnologia legata alla sensoristica, ai software e agli algoritmi utilizzati, in modo da poterli inserire in qualunque tipo di occhiale sul mercato».

Perché fate tutto ciò?

«Oltre all’aspetto solidale, c’è ovviamente anche un motivo economico: il mercato per le tecnologie assistite non è così limitato come si tenderebbe a pensare. In Svizzera, ad esempio, su un totale di 8 milioni e mezzo di abitanti ci sono 100mila ipovedenti e 50mila ciechi (in Europa sono 3 milioni mezzo, e 40 milioni nel mondo). Inoltre l’aspettativa media di vita si è ormai allungata oltre gli 80 anni e l’invecchiamento è correlato anche a possibili malattie degli occhi, come la degenerazione maculare senile. Abbiamo una precisa visione di impresa, ma siamo anche motivati a migliorare la vita di tantissime persone».