Intersezioni

Quando fotografia, ricerca
scientifica e architettura
si inseguono e si “contaminano”

Domenica 23 aprile 2023 circa 4 minuti di lettura In deutscher Sprache
La fotografa Aglaia Konrad e Francesco Zanot, curatore della mostra "What mad pursuit", durante la conferenza stampa di presentazione (foto di Chiara Micci / Garbani)
La fotografa Aglaia Konrad e Francesco Zanot, curatore della mostra "What mad pursuit", durante la conferenza stampa di presentazione (foto di Chiara Micci / Garbani)

Al Teatro dell’architettura di Mendrisio la mostra “What mad pursuit” curata da Francesco Zanot. Un cammino ricco di "provocazioni" (e di dibattito) fra le immagini di Aglaia Konrad, Bas Princen e Armin Linke
di Paolo Rossi Castelli

Quanto si influenzano a vicenda la fotografia e la ricerca scientifica? Quanto si contaminano? Fin dai loro esordi, ai primi dell’800, gli apparecchi fotografici (e i relativi precursori) hanno avuto un’assoluta dipendenza dai progressi tecnologici che settori in fortissima ascesa come la chimica e la fisica mettevano a disposizione. Ma la fotografia ha poi “ricambiato”, intrecciandosi in alcuni casi alla ricerca scientifica, fino a condizionarla. Lo raccontano, almeno in parte, i protagonisti della mostra “What mad pursuit” (che folle inseguimento, in italiano), allestita al Teatro dell’Architettura di Mendrisio: i fotografi di fama internazionale Aglaia Konrad, Bas Princen e Armin Linke. Promossa dall’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana, la mostra rimarrà aperta fino al 22 ottobre.

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«Questo progetto è il risultato di un processo di collaborazione con i fotografi, ma è anche una riflessione sull’elaborazione, la sovrapposizione, il dialogo - spiega il curatore Francesco Zanot. - Abbiamo dato la priorità alla contaminazione, più che alla purezza». Il titolo è lo stesso di un libro del neuroscienziato britannico Francis Crick (Premio Nobel per la medicina nel 1953 e scopritore, insieme a James Watson, della struttura del DNA), che racconta le conseguenze della decifrazione del nostro codice genetico ed è un inno alle “intersezioni”. Scrive, infatti, Crick: "In natura le specie ibride sono generalmente sterili, ma nella scienza è spesso vero il contrario. I soggetti ibridi sono molte volte eccezionalmente fertili, mentre se una disciplina scientifica rimane troppo pura è destinata a deperire”.

Tutti e tre i protagonisti della mostra lavorano da anni sulle intersezioni tra fotografia e architettura, e tra lo spazio rappresentato e lo spazio in cui le immagini stesse sono esposte. In particolare Aglaia Konrad, austriaca, combina nelle sue immagini gli edifici di grandi architetti con altri anonimi, sia antichi sia contemporanei. Bas Princen, olandese, esplora invece le capacità della macchina fotografica di riprodurre un dettaglio, e lavora molto sulle carte di stampa. Infine Linke, tedesco (ma è nato a Milano), esplora i cambiamenti che la presenza degli esseri umani hanno provocato sul pianeta Terra, innescando una vera e propria nuova era, l’Antropocene. Il lavoro di Linke, soprattutto, dimostra che a volte le fotografie prima documentano, ma poi possono addirittura “attivare” la ricerca scientifica. «Linke si muove all’interno di gruppi composti da studiosi e da scienziati - conferma Zanot. - Il lavoro fotografico, così, diventa parte di una ricerca più ampia. Armin è sicuramente quello che ha portato più avanti questo discorso: la scienza non è solo l’oggetto del suo lavoro, ma proprio parte del processo».

Alcuni anni fa Linke ha creato l’Osservatorio Antropocene, insieme ad architetti e ad altri specialisti, andando a visitare e documentando l’attività delle istituzioni di vari Paesi che si occupano del cambiamento climatico (in Svizzera, la World Meteorological Organization), preparando video, interviste e altri materiali. Tutto questo è stato finanziato dalla Haus der Kulturen der Welt di Berlino, un importante centro di dibattito e di scambio di idee. Linke ha anche seguito da vicino per molti anni, insieme alla fotografa Giulia Bruno, il lavoro dell’Anthropocene Working Group, un un gruppo di ricerca interdisciplinare creato nel 2009, fra gli altri, anche dal premio Nobel Paul Crutzen (lo scopritore del buco dell’ozono).

«Nel corso degli ultimi due secoli la fotografia è entrata in ogni ambito della società, infiltrandosi nella scienza, nell’arte, nella politica, nell’attualità e nei social media, così come in ogni tipo di commercio e industria - dice Linke, che dal 2018 è anche titolare del workshop “La fotografia come spazio di negoziazione” presso l’Accademia di architettura dell’USI. - La fotografia è diventata un elemento centrale nella nostra relazione visiva con il mondo, e sempre più profondamente viene utilizzata dai centri di ricerca scientifica. Gli archivi del CERN di Ginevra ne hanno accumulato milioni, dagli anni ’60 a oggi».

Ma torniamo alla mostra di Mendrisio. «Non è scontato che una università, con lo scopo primario di sviluppare la didattica e la ricerca, organizzi una mostra d’arte fotografica - commenta Linke. - Ringrazio gli ideatori e chi ha avuto questa volontà istituzionale. “What mad pursuit” è una mostra-laboratorio. Le fotografie pongono domande su un tema fondamentale: come vogliamo pensare il nostro futuro?».

Aggiunge Francesco Zanot: «Il ruolo della fotografia, che prima procedeva a compartimenti separati (fotografia scientifica, fotografia degli artisti, fotografia familiare, fotografia degli apparati giudiziari e di polizia, e altro ancora), adesso invece è diventato estremamente fluido. E così ogni tanto accade che non soltanto gli artisti traggano beneficio dal lavoro degli scienziati, ma anche viceversa».