Ansiolitici

Ancora troppi psicofarmaci,
soprattutto agli anziani. Occhi
puntati sulle benzodiazepine

Mercoledì 8 febbraio 2023 circa 6 minuti di lettura In deutscher Sprache
(Foto Shutterstock)
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Studio di Fabrizio Mazzonna (Istituto di economia politica dell’USI) per valutare, con ricercatori di Losanna e Rotterdam, i danni economici e sociali, oltre a quelli sulla salute. Necessarie nuove linee guida
di Agnese Codignola

In Svizzera si stima che tre persone su cento assumano regolarmente benzodiazepine, per periodi anche prolungati (tre mesi consecutivi, o in certi casi addirittura 12), valore che può salire fino al 20% negli anziani. Ma questi psicofarmaci che, a seconda delle sfumature chimiche, hanno un effetto più o meno marcatamente ansiolitico, ipno-inducente o euipnico (cioè stimolano l’addormentamento o aiutano ad avere un sonno più regolare), antidepressivo, sedativo, miorilassante e così via, non dovrebbero mai essere assunti per più di due o tre settimane di seguito - secondo le indicazioni della comunità scientifica internazionale - visto che possono indurre dipendenza, smettono di avere effetti significativi e possono interagire con altre terapie. Perché allora molte persone sembrano non rispettare le linee guida ufficiali, né i medici che le prescrivono, né i pazienti che le assumono? E che conseguenze può avere tutto questo a livello sociale ed economico (le conseguenze sulla salute sono note)?

Per rispondere a queste domande e definire meglio le ricadute di farmaci diffusissimi, poco costosi, il cui utilizzo è notevolmente aumentato durante la pandemia, Fabrizio Mazzonna, professore ordinario dell’Istituto di economia politica della Facoltà di scienze economiche dell’Università della Svizzera italiana (USI), ha intrapreso uno studio che è appena stato finanziato dal Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica (FNS), intitolato “Health and economic consequences of low-value mental health care: the case of benzodiazepines”.

Mazzonna, che da diversi anni studia gli effetti socioeconomici del disagio mentale, così racconta gli aspetti principali di una ricerca che nasce in collaborazione con Joachim Marti, docente associato di economia sanitaria dell’Università di Losanna, e Pieter Bakx, anche lui docente associato di economia sanitaria, ma della Erasmus University di Rotterdam, in Olanda: «Lo scopo è duplice: analizzare le cause del fenomeno, in particolare verificando il ruolo dei medici e quello dell’interazione con i pazienti, e studiare le conseguenze sulla salute e l’attività lavorativa a lungo termine di chi fa uso di questi medicinali per periodi prolungati. Per eseguire lo studio ci serviremo di due serie di dati, che arrivano da due sistemi sanitari molto diversi: quello olandese e quello svizzero». In Olanda, spiega ancora Mazzonna (che si è laureato all’Università Tor Vergata di Roma e poi perfezionato, per diversi anni, prima a Londra, allo University College, poi a Losanna, quindi in Germania, a Monaco, per poi approdare in Ticino), il sistema sanitario, rigorosamente pubblico, è incardinato sul medico di medicina generale, che i pazienti non scelgono, e dal quale dipendono tutti i livelli successivi di approfondimento, nonché le terapie. Ci sono quindi condizioni di base molto omogenee, e assai adatte per un’analisi scientifica: ogni paziente riceve, di fatto, lo stesso tipo di presa in carico, sulla base di percorsi prestabiliti, con l’unica variante legata alle convinzioni personali del medico, soprattutto per quanto riguarda le prescrizioni di farmaci. 

«I dati olandesi - spiega Mazzonna - rappresentano una coorte (un insieme) quasi ideale per studiare gli effetti sui malati delle differenti inclinazioni del medico a prescrivere o meno le benzodiazepine, e per capire quali conseguenze hanno questi farmaci sulla salute e sul lavoro. In un sistema. invece, come quello elvetico, - continua Mazzonna - c’è la libera scelta del medico e le condizioni di base sono meno omogenee, sia da un punto di vista geografico che per quanto riguarda il sistema assicurativo, che ha un ruolo centrale. In questo caso entrano in gioco variabili diverse, anch’esse da valutare, per poi confrontare i due insiemi di dati».

In generale, per verificare che cosa succede nel tempo quando si assumono benzodiazepine in modo costante, è possibile analizzare alcuni parametri molto indicativi: per esempio, i redditi degli anni successivi all’inizio della cura, le spese mediche, le assenze dal lavoro e così via, perché, come spiega ancora Mazzonna, «chi assume solo questi farmaci senza una terapia psicologica (di qualunque tipo) di supporto rischia un peggioramento. E questo si riflette nei diversi ambiti della sua esistenza, da quello lavorativo a quello medico». 

La speranza è quella di ottenere dati chiari in base ai quali fornire suggerimenti per campagne educazionali rivolte a medici e alla popolazione generale, così da modificare la percezione di questi farmaci che, oltretutto, costano pochissimo e sono quindi ampiamente accessibili. Se poi i dati fossero sufficienti, si potrebbero modificare le linee guida di prescrizione, per porre fine alla malpractice di troppi medici. «Del resto - sottolinea Mazzonna - ci sono tante iniziative internazionali finalizzate proprio a questo obbiettivo, come quella chiamata Choosing Wisely. Tuttavia, servono evidenze scientifiche più robuste sui potenziali effetti negativi derivanti dall’utilizzo di questi farmaci per un lungo periodo e indicazioni su come utilizzarli per trarne il massimo beneficio senza esporsi a rischi. Oltretutto - aggiunge Mazzonna - non si tiene nella giusta considerazione il fatto che troppo spesso le benzodiazepine sono date in associazione con gli antidepressivi e perfino con gli oppiacei, per non parlare delle altre terapie assunte quasi sempre dalla popolazione over 65, che è anche quella che ricorre maggiormente a questi farmaci».

Tutto ciò diventa ulteriormente importante se si considera ciò che è successo negli ultimi anni a seguito della pandemia: in tutto il mondo si è registrata, praticamente in ogni fascia d’età, una crescita esponenziale dei casi di ansia e depressione, un aumento evidente dei suicidi, dei disturbi del comportamento alimentare e di tutte le manifestazioni di disagio psichico. Turbamenti cui troppo spesso si è risposto e si risponde con una prescrizione di benzodiazepine, e nient’altro. Ma che conseguenze avrà, nei prossimi anni, un approccio del genere sul lavoro, sulla condizione economica e naturalmente sulla salute dei pazienti? 

Lo si capirà solo nel tempo, e lo si dovrà valutare anche quando gli adulti di oggi saranno anziani. «Un ulteriore argomento oggetto di studio - conclude Mazzonna - riguarda le conseguenze dell’assunzione prolungata di benzodiazepine sugli anziani che continuano a vivere autonomamente, così come su quelli che entrano nelle case di riposo, dove la prescrizione di benzodiazepine e altri farmaci di pertinenza psichiatrica come gli antidepressivi è estremamente diffusa».

La depressione, l’ansia, i disturbi del sonno e il disagio in generale hanno costi sociali rilevanti. Ma anche le terapie prescritte, somministrate o assunte in modo non aderente a quanto previsto, ne hanno, e talvolta si tratta di effetti gravi. Ricerche come quelle del gruppo di Mazzonna sono importanti, perché aiutano a inquadrare meglio un fenomeno finora poco studiato e, di conseguenza, ad avere un rapporto più corretto con questi farmaci.