Così i giovani ricercatori
si preparano a una carriera difficile
Nel nuovo Campus est il BioMed PhD Day 2020, giornata di incontro e di progetti per i dottorandi in scienze biomediche dell’USI. Tre anni di studio e ricerca, in un ambiente internazionale molto competitivodi Paolo Rossi Castelli
Una giornata per stare insieme, conoscersi, raccontare idee e progetti, fra le pareti di cemento e le lunghe finestre verticali del nuovo Campus USI-SUPSI di Lugano: un luogo “essenziale”, ancora in parte da terminare, ma che trasmette modernità e slancio, proprio come l’età e l’attitudine degli studenti della scuola di dottorato di ricerca in scienze biomediche, che il 9 ottobre si sono riuniti per partecipare al BioMed PhDay 2020, organizzato dall’Università della Svizzera italiana. «Siamo una scuola recente, nata appena due anni fa, ma abbiamo già 31 studenti, e nel breve/medio termine potremo arrivare fino a 50 - spiega Alain Kaelin, direttore del Neurocentro della Svizzera italiana e coordinatore della Commissione che “governa” la scuola. - Sono numeri significativi e dimostrano che c’è bisogno di un’iniziativa come questa. D’altronde, non si può avviare con successo una facoltà di medicina senza una scuola di dottorato: lo dicevamo all’inizio, e l’abbiamo dimostrato. Ma, allargando gli orizzonti, è lo stesso sistema ticinese della ricerca, nel suo complesso, ad avere bisogno di una scuola di dottorato».
Possono iscriversi (o, almeno, candidarsi) i laureati in “life sciences” (medicina, biologia, chimica e farmacia) che abbiano già un contratto, e dunque lavorino, presso un istituto di ricerca ticinese. I corsi e il progetto di ricerca durano un minimo di tre anni; solo alla fine, se l’esito degli esami e della discussione della tesi è positivo, arriva la qualifica di “dottore”... A quel punto molti continueranno a lavorare nei laboratori di ricerca come post-doc (questo è il termine con cui vengono definiti), ma dovranno procurarsi da soli i finanziamenti per pagarsi lo stipendio, mentre prima erano i direttori di tesi a raccogliere i fondi per loro. E questo farà la differenza, perché sarà proprio la capacità di farsi finanziare le ricerche (da istituzioni svizzere o internazionali, ma anche da aziende farmaceutiche) a costituire la base del loro successo, e ad aprire le porte dei laboratori in cui verranno ospitati, nei vari Paesi del mondo (la vita dei ricercatori è alquanto mobile). Ma com’è possibile ottenere questi finanziamenti? «La regola, molto aspra, è quella del “publish or perish”: pubblichi (sulle riviste scientifiche più accreditate) o muori - spiega Vittorio Limongelli, professore di farmacologia e biologia computazionale all’USI, e membro della Commissione della scuola di dottorato - E la competizione è durissima a livello internazionale».
Alcuni dottori di ricerca si avvieranno anche verso la carriera universitaria. Altri, invece, usciranno da questo mondo per lavorare in aziende private, o enti pubblici. «Insomma, una carriera lunga e molto faticosa - continua Limongelli - tenendo anche presente che, sia a livello nazionale che internazionale, il numero di posizioni disponibili da professore, oppure da ricercatore “group leader”, è inferiore rispetto al numero totale dei dottorandi. Chi intraprende la strada della ricerca lo fa per passione e non per motivi economici. Ci sono professioni meglio retribuite. Però, a mio modo di vedere, la possibilità che offre il nostro mondo di incontrare e interagire con menti brillanti, e di contribuire alla formazione di giovani ricercatori, non ha prezzo».
Il BioMed PhD Day 2020
Foto di Loreta Daulte Guarda la gallery (26 foto)
Il corso di studi, nella scuola di dottorato dell’USI, prevede per l’80-90% ricerca, e solo per il 10-20% formazione (corsi), cioè lezioni classiche (teoriche e pratiche) e seminari, o convegni, anche per preparare al mondo dei congressi. La scuola offre sei indirizzi diversi: Immunology and cell biology; Cancer biology and oncology; Neurosciences; Cardiovascular; Drug sciences; Public health. Devono essere i ricercatori senior a presentare i possibili candidati, che verranno poi valutati da un’apposita commissione, composta da persone di notevole prestigio, e nominata dal Consiglio dell’Università. «Alla fine dei tre anni di corso viene poi nominato un thesis supervisor, che dovrà valutare il percorso formativo di ciascun dottorando e il valore delle ricerche eseguite - dice Andrea Alimonti, professore di oncologia all’USI e membro, anche lui, della Commissione della scuola di dottorato. - Uno dei requisiti che vengono richiesti, per arrivare al titolo finale, è la pubblicazione di almeno uno studio come primo autore».
Una scuola di valore scientifico così alto ha costi bassissimi, in realtà, per l’Università della Svizzera italiana: si limitano alla logistica (aule e sale riunioni), alla segreteria e a una parte del tempo di alcuni professori, che oltre al normale insegnamento devono seguire anche questi particolari studenti. L’attività dei dottorandi, come dicevamo, è sostenuta direttamente dagli istituti di ricerca in cui lavorano, grazie alle borse di studio (ai “grant”) e ad altre forme di finanziamento. Il Cantone non concede aiuti («Ma è così in tutta la Svizzera» - precisa Kaelin) anzi, per certi aspetti, risparmia: «Ogni dottorando che prima veniva mandato fuori dal Ticino costava, infatti, circa 50.000 franchi l’anno alle casse cantonali - conferma Kaelin. - Adesso questa “emigrazione” è sempre meno frequente». I neolaureati si iscrivevano alle scuole di dottorato di Losanna, Zurigo o di altre università. «Ora questo avviene sempre meno - aggiunge Andrea Alimonti. - La sfida è che tutti i direttori di laboratorio mandino i loro dottorandi all’USI. E sarebbe nobile e giusto se arrivassero anche fondi pubbllci».