Nuovi modelli di ricerca

Troppi dati? Niente paura.
«Vanno amati, ma dobbiamo
lasciarli “aperti” a tutti»

Lunedì 12 febbraio 2024 circa 6 minuti di lettura
(Illustrazione dell’agenzia Shutterstock)
(Illustrazione dell’agenzia Shutterstock)

Intervista a Massimiliano Cannata, responsabile del Centro Competenze Open Science della SUPSI. La Scuola universitaria professionale si unirà ad altri atenei svizzeri per celebrare dal 12 febbraio la "Love Data Week"
di Enrica Iacono

San Valentino non è solo la festa degli innamorati, ma può diventare anche uno spunto per imparare ad amare e apprezzare cose che mai ci saremmo sognati di capire. Parliamo per esempio dei dati: un mondo complesso e difficile molte volte da “digerire”. Eppure quotidianamente siamo bombardati, quasi senza saperlo, dai dati. Tutto ciò che ci circonda è parte di un meccanismo più complesso, in cui scienziati e ricercatori provano giorno dopo giorno a intuire le novità. Ma a cosa servono i dati e come utilizzarli? In Svizzera dal 12 al 16 febbraio si svolgerà l’evento internazionale Love Data Week e in questo contesto la SUPSI si unirà ad altre università e istituti di ricerca di tutta la Svizzera per celebrare l’amore per i dati. È così prevista una serie di convegni per promuovere la consapevolezza e il dialogo sulla loro importanza nella ricerca, sulla loro corretta gestione, condivisione, conservazione e riutilizzo.

«Tendenzialmente - ci dice Massimiliano Cannata, responsabile del Centro Competenze Open Science della SUPSI - è un evento dedicato al mondo accademico e ai ricercatori. È svolto a livello internazionale perché tutti si sono accorti che condividere e rendere aperti i contenuti della scienza genera un impatto molto positivo sulla società e sull’evoluzione della conoscenza».

Questa evoluzione (o, secondo molti, questa vera e propria rivoluzione) prevede di rendere disponibili in modo gratuito i risultati degli studi scientifici, seguendo l’approccio Open Science che è molto diverso dal sistema tradizionale. Storicamente, infatti, la maggior parte dei risultati delle ricerche vengono pubblicati su riviste scientifiche a pagamento, che offrono in libera lettura solo un breve riassunto (ma, nello stesso tempo - bisogna ricordarlo - garantiscono anche la qualità delle pubblicazioni, sottoponendo ogni lavoro a una revisione “fra pari”, eseguita da altri scienziati, che non conoscono i nomi degli autori, per non esserne influenzati). È un sistema che ha garantito finora un’importante e affidabile diffusione della scienza, ma che viene ritenuto ormai troppo “stretto” e poco aperto da un numero crescente di ricercatori e di università.

Anche gli atenei ticinesi sono in prima linea, lungo questo percorso, e alla SUPSI, in particolare, è stato aperto un centro di competenze (questo il nome tecnico) per accompagnare studenti, ricercatori e istituzione nell’adozione di queste nuove pratiche. «Si parla, in questa prima fase, - continua Cannata - di due ambiti principali: quello dell’open access da un lato (le pubblicazioni con accesso gratuito), e quello degli open research data, dall’altro, cioè dell’apertura dei dati della ricerca così che altri li possano riutilizzare per riprodurre i risultati ottenuti o per sviluppare nuove ricerche, anche con fini diversi rispetto a quelli per cui erano stati originariamente prodotti». Nell’epoca dell’intelligenza artificiale e del machine learning (l’autoapprendimento, da parte dei computer), avere a disposizione dati di qualità aperti e disponibili è un fattore fondamentale.

I COSTI - Negli ultimi anni, a seguito della richiesta degli enti finanziatori di pubblicare in modalità open access (la Svizzera ha l’obiettivo di pubblicare il 100% degli articoli finanziati con fondi pubblici con questa modalità), le riviste hanno modificato il proprio modello di business, spesso chiedendo delle fees ai ricercatori per poter pubblicare in modalità aperta. «Oggi - spiega Cannata - questo modello presenta delle problematiche legate ai costi, troppo elevati e poco sostenibili per le università, per cui si sta lavorando per trovare modalità alternative (ad esempio la modalità Diamond, che sfrutta sedi editoriali universitarie, interamente open in cui né l’autore né il lettore pagano, ma è una istituzione che si fa carico a monte dei costi). La modalità peer review di revisione tra pari resta una pratica che continua a garantire la qualità dei risultati ed è strettamente applicata anche nella modalità open access. Solo le pubblicazioni definite pre-print vengono pubblicate senza revisione, ma con lo scopo di ricevere apertamente commenti e indicazioni da altri ricercatori (open review), al fine di migliorare la pubblicazione prima di inviarla ad una rivista scientifica».

GLI EFFETTI PRATICI - L’importanza dei dati ha effetti pratici su tutti noi. Durante il periodo della pandemia di Covid, per esempio, i laboratori di tutto il mondo si sono scambiati in tempo reale i dati sul codice genetico del virus SARS-CoV-2, e sulle sue varianti, che poi sono stati utilizzati per poter velocizzare la creazione dei vaccini.

Oggi, anche a livello svizzero, c’è un fortissimo interesse all’apertura. Basti pensare, per esempio, che l’Ufficio federale di topografia (Swisstopo) ha recentemente aperto tutti i propri dati geografici e lo stesso farà MeteoSvizzera tra un paio di anni. «Certamente - dice Cannata - c’è ancora tanto da fare dal punto di vista culturale. Per esempio bisogna far comprendere a chi è interessato all’apertura dei dati la questione delle licenze. Aprire un dato non vuol dire solo pubblicarlo su Internet, ma significa anche, ad esempio, associargli licenze adeguate e garantire che ci sia il rispetto della privacy».

L’obiettivo della Love Data Week è proprio questo: insegnare al mondo accademico come gestire l’apertura dei dati e come prepararli per la loro pubblicazione.

«Come  SUPSI - aggiunge Cannata - faremo una serie di interventi, gestiti dal centro di competenze appena nato». Il centro, in cui attualmente lavorano sette persone, è organizzato in maniera trasversale, così da poter includere  tutti i dipartimenti. Il nuovo paradigma dell’Open Science (e più in particolare degli open data), infatti, abbraccia tutte le discipline scientifiche. «Ovviamente - spiega Cannata - a seconda della disciplina ci sono tipologie di dati, necessità e problematiche che sono diverse. Abbiamo quindi pensato di creare un gruppo di lavoro eterogeneo, che potesse rimanere in stretto contatto con i ricercatori di tutti i dipartimenti. Il nostro compito sarà nei prossimi anni quello di implementare quella che sarà una strategia sull’Open Science per conto dell’università, e di accompagnare l’istituzione e il gruppo accademico della SUPSI all’adozione di queste pratiche».

Insieme ad altre università della Svizzera, il centro di competenze si sta interrogando su come incentivare l’adozione dell’Open Science e valorizzare i dati della ricerca. La risposta rimanda sempre alla stessa soluzione: è fondamentale rendere disponibili e accessibili i dati rendendoli trovabili su internet. «Dobbiamo lavorare proprio su questo - dice Cannata. - I dati di qualsiasi disciplina devono essere pubblicati con formati standard e con licenze che ne consentano il riutilizzo. Se i dati vengono pubblicati in maniera corretta, allora è chiaro che la possibilità che vengano riutilizzati cresce enormemente, così come il reale impatto che gli stessi possono avere sulla società». Un obiettivo che può essere raggiunto solo andando tutti nella stessa direzione: «Nella ricerca - conclude Cannata - bisogna collaborare sempre di più in maniera aperta e trasparente. Servono più collaborazione e meno competitività».