cultura e salute

Musica come cura, lezione 3
Luisa Lopez: no, non dobbiamo ascoltare per forza Mozart...

Lunedì 7 novembre 2022 circa 7 minuti di lettura In deutscher Sprache
Luisa Lopez, medico neurofisiopatologo
Luisa Lopez, medico neurofisiopatologo

di Valeria Camia

Ad alcuni piace andante; ad altri, più lenta. Chi preferisce quella con il solo impiego di strumenti musicali e chi la apprezza se include parti vocali. Qualcuno ne fa uso saltuario, altri costante. C’è chi scopre di amarla tardi negli anni, e chi se ne innamora fin dall’infanzia. Ora sembra che siano proprio questi ultimi a trarne maggior vantaggio nel corso della vita.
Stiamo parlando di musica e di armonie, il tema oggetto del corso Musica come cura, organizzato dalla Facoltà di scienze biomediche dell’Università della Svizzera italiana (USI) in collaborazione con la Divisione Cultura della Città di Lugano e con la IBSA Foundation per la ricerca scientifica, e - quest’anno - anche con il Conservatorio della Svizzera italiana.
Le sette lezioni del corso si propongono di offrire una prospettiva scientifica nell’utilizzo della musica a supporto del benessere psico-fisico-cognitivo di noi tutti per l’oggi e per il domani. E proprio degli effetti a lungo termine della musica si discuterà durante la terza lezione del corso, lunedì 7 novembre alle 18, che vedrà come relatrice la professoressa Luisa Lopez, neurofisiologa.
Dirigente medico nell’Ambulatorio di neuropsichiatria dell’età evolutiva nella Casa di cura “Villa Immacolata” di Viterbo e consulente scientifica per il progetto Neuroscienze e Musica della Fondazione Mariani, è anche direttore scientifico della Scuola di formazione in musicoterapia Oltre di Roma; inoltre da anni Lopez svolge attività di formazione per conto dell’Associazione Italiana Dislessia ed è impegnata in attività di ricerca sulla funzione della musica nella costruzione della nostra riserva cognitiva, ovvero del processo attivo del nostro cervello attuato per compensare o contrastare, ad esempio, i processi di invecchiamento.

Professoressa, partiamo dal titolo della lezione: "Educazione musicale e sviluppo psico-cognitivo". Significa che fin dai primi anni di vita le esperienze e attività musicali stimolano il nostro cervello al punto da costituire un capitale utile durante la vecchiaia?

«Come hanno mostrato le pioneristiche ricerche di Sandra Trehub in Canada, e recentemente anche quelle di Manuela Filippa insieme al suo gruppo in Svizzera - risponde Luisa Lopez - la musica (in particolare quella che prevede una forte espressività e ritualizzazione, come lo sono le ninne nanne) udita da bambini piccoli, e addirittura in età prenatale, produce una serie di stimolazioni sensoriali ma anche di memorie: ad esempio i bebè si girano verso suoni che hanno già udito nell’utero e sono più attratti dalla voce del caregiver principale. Ci sono quindi evidenze di una certa capacità innata (anche se non è ancora chiaro se sia geneticamente determinata), mnemonica ed emotiva nei confronti delle sequenze musicali. Inoltre, l’ascolto di un brano strumentale o di una canzone attiva le aree del linguaggio (l’intonazione, l’enfasi emotiva o le pause che impartiamo al parlato), ma anche le aree motorie del cervello, ovvero quelle regioni in cui sono localizzati i neuroni che impartiscono i comandi motori ai muscoli (quando ascoltiamo una musica, non ci viene, spesso, da ballare e “muoverci”?). Ecco perché la musica potrebbe stimolare la costruzione della riserva cognitiva cerebrale: essa allena, emotivamente e cognitivamente, il cervello, contribuendo a renderlo più plastico e, dunque, migliorando la capacità di contrastare eventuali deficit cognitivi durante la terza età».

Quindi dovremmo tutti ascoltare Mozart e Bach fin da piccoli?

«Lei cita due compositori che mi piacciono molto, ma la risposta alla sua domanda è “no”, non dobbiamo tutti per forza ascoltarli, o ascoltare solo loro, per lo sviluppo emotivo e cognitivo del nostro cervello. L’idea che la musica “per il cervello” sia quella classica è una fallacia etnocentrica, propria della nostra cultura di riferimento; sappiamo come "altrove" i tipi di musica che popoli e genti condividono fin dall’infanzia è ben diversa dalla "nostra". Allo stesso tempo, possiamo dire che esistono certe armonie e contorni musicali universalmente riconosciuti come tali. Recentemente, Samuel Mehr ha condotto uno studio nell’ambito del quale è stato comparato il modo in cui diversi popoli reagiscono di fronte a differenti brani musicali e per quali scopi li userebbero. Il risultato ha mostrato, ad esempio, che le ninne nanne sono riconosciute come tali in vari e differenti contesti presi in esame e confrontati».

Un’altra provocazione: per beneficiare al massimo degli effetti positivi della musica sul cervello dobbiamo essere in grado anche di leggere la musica, comprenderne la struttura, comporla addirittura?

«Il punto di partenza per rispondere alla Sua domanda è che l’orecchio musicale vada esercitato. Come? Quasi sempre pensiamo che una persona, un bambino o anche, in generale, un adulto debba essere stimolato attivamente a "fare" musica, o formalmente istruito alla musica. Tuttavia, questo è vero solo in parte, e diversi ricercatori ormai parlano di apprendimento implicito applicato all’aspetto musicale: quotidianamente e di continuo, siamo immersi in un mondo di canzoni, melodie e suoni. In questo senso, l’apprendimento musicale ci è dato anche in via inconsapevole. Se, da un lato, poter suonare uno strumento permette di applicare i principi dell’apprendimento esplicito e consapevole, e quindi più duraturo, facendo entrare in funzione molte aree cerebrali da cui dipendono la comprensione e composizione di un testo musicale, o l’esecuzione e la coordinazione dei movimenti e memorizzazione delle sequenze; dall’altro non è detto che chi non è in grado di eseguire un brano musicale non possa trarre vantaggi dal semplice ascolto. In questa prospettiva, è molto più rilevante il "tipo" di suoni a cui si è esposti, e come. Per questo credo sia importante valorizzare, a partire dai contesti scolastici, un’educazione all’ascolto, e apprendere non tanto a udire, quanto ad apprezzare gli aspetti melodici, le tonalità, i ritmi. Allo stesso tempo, è auspicabile che ci sia un dialogo continuo tra la scienza - che studia gli effetti della musica sul cervello e per la salute - e i diversi attori che "fanno" e "promuovono" la musica nelle pratiche quotidiane, affinché l’ascolto musicale sia supportato da evidenze e basi scientifiche. Non è certo l’insieme di rumori di sottofondo, anche a volumi elevati, come quelli in un centro commerciale, a potenziare funzioni cerebrali come attenzione e memoria o capacità di lettura!» 

Un’ultima domanda, proprio sull’educazione musicale come intervento riabilitativo per la dislessia, ricerca che l’ha vista impegnata in prima persona. Ce ne vuole parlare?

«La dislessia è un disturbo specifico dell’apprendimento, che si manifesta con una difficoltà specifica e persistente nell’apprendimento della lettura, in condizioni in cui l’intelligenza, la condizione socio-culturale e l’istruzione ricevuta dal bambino siano adeguate. Nel nostro studio ci siamo concentrati sull’ipotesi che le capacità ritmico-musicali si correlino positivamente con la consapevolezza fonologica e con le abilità di lettura. I risultati mostrano che anche nei bambini dislessici l’esercizio musicale e l’attività di gruppo rendono più facile fare operazioni - come la fusione fonemica - necessarie alla lettura. Aniruddh Patel, ricercatore della Tufts University, sostiene con la sua ipotesi OPERA che la musica e il linguaggio abbiano reciproche e positive influenze grazie alla sovrapposizione di strutture cerebrali deputate alle due funzioni (musica e linguaggio, appunto); ma anche grazie alla precisione (maggiore in musica che nel linguaggio per quanto riguarda suoni e intervalli), all’emozione (che la musica può indurre favorendo la memorizzazione) e alla ripetizione (ripetere con la musica è meno “noioso” che farlo in sua assenza, e proprio questa ripetitività favorisce la capacità di memorizzare, e all’attenzione). Tutte queste funzioni che influenzano il linguaggio possono favorire anche l’apprendimento della lettura. I risultati del nostro progetto "Musica e dislessia", che è stato finanziato dalla Fondazione Mariani, sono presentati nello studio accademico “Music Training Increases Phonological Awareness and Reading Skills in Developmental Dyslexia: A Randomized Control Trial” pubblicato sulla rivista scientifica Plos One».