Davos

Congresso dei chirurghi svizzeri,
mai così folta come quest’anno
la presenza della ricerca ticinese

Martedì 14 maggio 2024 circa 7 minuti di lettura
Alessandra Cristaudi, chirurga dell’ospedale Regionale di Lugano (patologie del fegato e del pancreas), davanti al Palazzo dei congressi di Davos (foto di Eugenio Celesti)
Alessandra Cristaudi, chirurga dell’ospedale Regionale di Lugano (patologie del fegato e del pancreas), davanti al Palazzo dei congressi di Davos (foto di Eugenio Celesti)

Trentuno gli studi illustrati da chirurghi del nostro Cantone. Raffaele Rosso, amministratore delegato della Swiss Society of Surgery: «È il segno del buon momento che sta vivendo la chirurgia a sud delle Alpi»
di Paolo Rossi Castelli

Non è mai stata folta come quest’anno la presenza ticinese al Congresso dei chirurghi svizzeri, che ha riunito a Davos più di 1.200 addetti ai lavori (secondo una prima stima), provenienti da tutte le regioni linguistiche. Trentuno gli studi presentati da chirurghi che lavorano nel nostro Cantone, alcuni di particolare rilievo, come quello della dottoressa Alessandra Cristaudi, caposervizio all’ospedale Civico di Lugano, sul confronto fra la chirurgia robotica e quella in laparoscopia. «È vero: rispetto alle edizioni passate, quest’anno la presenza ticinese ha compiuto un forte balzo in avanti - conferma il professor Raffaele Rosso, ex-primario al Civico e attuale amministratore delegato della Società svizzera di chirurgia (SGC nella sigla tedesca). - È il segno del buon momento che sta vivendo la chirurgia a sud delle Alpi, grazie anche all’impulso del Master in medicina dell’Università della Svizzera italiana, che sta portando una maggiore sensibilità verso la ricerca. In passato la presenza ai congressi nazionali della chirurgia ticinese era meno visibile. Quest’anno, invece, è saltata all’occhio, se vogliamo usare questa espressione...».

I lavori presentati dai ticinesi si sono inseriti in un congresso ricchissimo di temi: fra i più dibattuti, la chirurgia robotica, appunto, ma anche i sistemi di intelligenza artificiale e, non meno importanti, i progressi nella formazione (o “education”, come dicono gli inglesi), con un’ampia presenza anche di giovani chirurghi.

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Il Congresso, dicevamo, si è svolto a Davos (dal 29 al 31 maggio, per la precisione), sotto la regia dello Swiss College of Surgeons (SCS), l’organizzazione creata nel 2017 per raccogliere le varie “anime” della chirurgia svizzera. «Prima del 2015 - spiega Rosso - la chirurgia vascolare, quella toracica e quella della mano esistevano come "sottospecialità", ma dipendevano dalla chirurgia. Nel 2015, invece, sono diventate specialità a pieno titolo, indipendenti. Così è nato il desiderio di raggrupparle di nuovo sotto un unico cappello, lo Swiss College of Surgeons».

Parlavamo della chirurgia robotica, uno degli argomenti "caldi", non solo durante il congresso. Tutto (o quasi), in questo settore, ruota intorno al robot Da Vinci, introdotto 25 anni fa dall’azienda statunitense Intuitive Surgical, che per ora mantiene quasi il monopolio del mercato (solo altri tre “competitor” sono apparsi, recentemente, fra cui lo svizzero Dexter, nato da uno spin-off del Politecnico federale di Losanna). «Il nome robot non deve confondere le idee - spiega Alessandra Cristaudi. - È sempre e solo l’essere umano a operare, usando speciali “joystick” molto sofisticati, mentre sono poi i bracci meccanici e le sonde del robot a eseguire i movimenti chirurgici, in  modo  molto preciso». 

Anche la laparoscopia, lo ricordiamo, si serve di sottili sonde inserite nel corpo del paziente e rientra, quindi, nella chirurgia definita mini-invasiva, ma in certi casi non permette di eseguire movimenti (anzi, gesti chirurgici, come si dice in gergo) che il robot può invece portare a termine «in modo simile - precisa la dottoressa Cristaudi - a quello della mano». In più, il robot offre al chirurgo un’immagine 3D, ingrandita di una decina di volte.
«In Svizzera, per adesso, sono presenti circa 50 piattaforme robotiche - continua Alessandra Cristaudi, - soprattutto negli ospedali universitari o cantonali di riferimento. L’Ente Ospedaliero Cantonale ne ha una a Bellinzona, già da tempo, e ne ha appena comprata una seconda, di ultima generazione, per l’ospedale Civico di Lugano».

Ma se il robot offre questi vantaggi, perché è presente solo in una minoranza dei circa 280 ospedali svizzeri? Perché i costi di acquisto e di gestione sono molto più alti, rispetto alle tecniche tradizionali, e perché occorre uno specifico iter di formazione per riuscire a “impadronirsi” bene del robot (che richiede tempo e impegno). Ma a frenare la diffusione del robot è anche il dibattito scientifico (molto presente durante il congresso di Davos) sulla reale “superiorità” del Da Vinci. «Il robot porta sicuramente vantaggi dal punto di vista tecnico - dice Alessandra Cristaudi - e ha reso possibili procedure estremamente complesse che prima non si potevano eseguire con la laparoscopia. Nella chirurgia del retto e del fegato, ad esempio, la differenza è enorme. Il problema è che gli studi comparativi pubblicati finora a livello internazionale non hanno puntato l’attenzione su questi tipi di interventi, ma su altri, più semplici, dove la superiorità del robot non è apparsa così evidente, e misurabile».

Insomma, è solo una questione di tempo - come sottolinea anche Pietro Majno-Hurst, professore ordinario all’USI e direttore della chirurgia all’Ospedale Regionale di Lugano - «ma la tecnica robotica sarà sempre più presente, e diventerà “naturale” per i chirurghi che si stanno formando oggi».

Le resistenze al “nuovo che avanza”, in verità, ci sono sempre state. «Qualcosa di simile - dice Francesco Mongelli, chirurgo viscerale dell’EOC con una particolare esperienza nell’uso del Da Vinci - era capitato anche quando è stata introdotta per la prima volta la laparoscopia. Molti chirurghi abituati alla tecnica “open” tradizionale (quella eseguita attraverso ampie incisioni, ndr) l’avevano respinta, sostenendo che creasse troppe complicazioni. La storia ha poi dimostrato il contrario, e la laparoscopia ha avuto una vastissima diffusione, con grandi benefici per i pazienti. Certo, è vero che un sempre maggiore impegno viene chiesto ai chirurghi, che ormai devono muoversi su tre fronti: laparoscopia, appunto, e robot (che, forse non tutti lo sanno, era nato come chirurgia di guerra, per operare a distanza i militari feriti), e anche “open”, per determinati tipi di interventi. Non è semplice, ma è una sfida decisiva».

Il congresso di Davos, in ogni caso, ha dibattuto anche su altri temi, lontani, per certi aspetti, dai robot: ad esempio, sull’iniziativa, lanciata dalla Società svizzera di chirurgia, per valutare con appositi test (su base volontaria) la capacità - da parte dei chirurghi più anziani - di continuare a operare: un argomento delicato, visto che circa il 20% dei chirurghi attivi in Svizzera ha più 60 anni, il 10% più di 65 e il 5% più di 70. E poi, sul versante opposto, si è parlato molto dei chirurghi giovani, o ancora all’inizio del percorso di formazione, e anche di studenti, che - al congresso - si sono presentati con un loro stand, quello della Young Surgical Students Association (YSSA). «È stato il professor Dieter Hahnloser, presidente dello Swiss College of Surgeons, a invitarci - dice Erica Piccinni, studentessa al Master in medicina dell’USI e cofondatrice della sezione ticinese della YSSA. - È stata un’occasione importante per noi, perché ci ha permesso di conoscere colleghi provenienti da tutti i cantoni, e anche di partecipare ai corsi di formazione inseriti all’interno del congresso. Ma noi stessi ne abbiamo organizzato uno, sulla cura delle ferite di base».
Dunque gli aspiranti chirurghi non sono spaventati di fronte alla compessità di questo lavoro e delle continue sfide tecnologiche? «No, assolutamente - risponde Erica Piccinni. - Moltissimi di noi hanno una forte determinazione (io stessa ho sempre desiderato diventare una chirurga...). La nostra generazione è cresciuta in un mondo di velocissimi cambiamenti, e tutto questo per noi è stimolante. La vera preoccupazione è, invece, l’eccesso di burocrazia. Durante il congresso è stato sottolineato che circa il 40% del tempo di un giovane medico viene occupato dalle pratiche amministrative. L’immensa burocrazia, (il dover passare buona parte delle nostre giornate di lavoro davanti a un computer), questo sì ci spaventa!»