istituto federale WSL

Lotta scientifica agli incendi,
con modelli statistici avanzati,
nella "terra del fuoco" svizzera

Mercoledì 7 giugno 2023 circa 6 minuti di lettura In deutscher Sprache
Foto di Chiara Micci / Garbani
Foto di Chiara Micci / Garbani

Ogni anno nei boschi del Ticino si sviluppano circa 26 incendi, in media. All’inizio degli anni Ottanta erano ben 90. Il forte calo è dovuto anche a norme più efficaci e a una maggiore attenzione da parte dei cittadini
di Michela Perrone

C’è una zona nel sud della Svizzera che, pur rappresentando solo il 9% della superficie dell’intera Confederazione, è particolarmente colpita dagli incendi. È un’area di 400’000 ettari (di cui 175’000 di bosco), in cui si è concentrata la metà degli incendi degli ultimi 50 anni. E un’ampia parte di quest’area è nel Canton Ticino.
In una zona come questa, la gestione degli incendi riveste dunque un ruolo fondamentale. E qui è stato costruito un percorso in cui ricercatori, Servizio forestale e istituzioni hanno lavorato insieme per mettere a punto un approccio gestionale che funziona e che è guardato con interesse dalle altre zone della Svizzera.

«Noi non ci occupiamo direttamente di gestione degli incendi – chiarisce subito Marco Conedera, capo dell’unità di ricerca Ecologia delle comunità presso l’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio (WSL) – ma facciamo ricerca sul fenomeno a tutto tondo: partendo dalla statistica, capendo quali siano i fattori importanti che determinano questo fenomeno e quali gli impatti sull’ecologia e sulla sicurezza del territorio».
Il WSL, che si occupa della ricerca ambientale terrestre, ha diverse sedi in Svizzera. Conedera lavora a Cadenazzo: «L’Insubria - spiega - a cavallo fra Svizzera e Italia, è molto ricca dal punto di vista biologico e sta vivendo un cambiamento socio-economico e climatico epocale, con effetti anche drammatici sull’uso del suolo e sulla diversità culturale e biologica. Per questo motivo l’Insubria può servire come regione modello per valutare gli effetti del cambiamento globale (cioè climatico e di uso del suolo) sugli ecosistemi».

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Con una media di 26 incendi all’anno nell’ultimo decennio, il Ticino è a tutti gli effetti una “Terra del fuoco”: «In questa zona, solitamente, gli incendi partono dal fondovalle e si allontanano dagli insediamenti urbani: quindi difficilmente costituiscono un pericolo diretto per l’uomo e le sue infrastrutture – riassume Gianni Boris Pezzatti, collaboratore scientifico del gruppo di ricerca Ecosistemi insubrici. - Piuttosto, modificano alcune caratteristiche della vegetazione e del suolo: per esempio, l’acqua piovana penetra meno nei mesi successivi, e se ci sono forti piogge possono verificarsi fenomeni erosivi o frane».

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, oggi gli incendi in Ticino sono in calo (erano mediamente 90 all’anno negli anni Ottanta), nonostante l’aumento della siccità e le altre conseguenze del cambiamento climatico: «Questo perché la maggior parte sono innescati volontariamente o involontariamente dall’uomo – spiega Conedera. - Negli ultimi anni, grazie a una maggiore educazione dei cittadini, questa fetta si è ridotta». Un punto di svolta è stato nel 1987, quando in Ticino è entrato in vigore un decreto esecutivo che vieta i fuochi all’aperto e il compostaggio degli scarti vegetali. Questa misura ha permesso, in pochi anni, di più che dimezzare il numero di incendi. 

IL MODELLO STATISTICO "MADE IN TICINO" - Nonostante il calo significativo registrato negli anni ‘90, resta importante, per le persone e per l’ambiente, gestire al meglio glii incendi che ancora si verificano. Per farlo, il servizio forestale si basa anche sul FireNiche, un metodo statistico elaborato a Cadenazzo che permette di valutare il pericolo giornaliero di incendi. Per costruirlo, Pezzatti e Conedera hanno prima di tutto studiato i dati storici: «In Ticino abbiamo la fortuna di avere un database molto ricco: oltre 100 anni di informazioni sugli incendi» - afferma Pezzatti. Gli esperti, poi, hanno provveduto a combinare la recente storia locale degli incendi con le variabili climatiche: «Spesso, per questo genere di previsioni, si utilizzano modelli sviluppati altrove: i più diffusi sono stati realizzati in Canada, Stati Uniti e Russia – prosegue il ricercatore. – Si tratta di modelli empirici basati su variabili meteorologiche che cercano di simulare il contenuto idrico del combustibile e del suolo in bosco». Il problema è che spesso si tratta di indici sviluppati per altri tipi di boschi (come le conifere in Canada), o per contesti differenti dal punto di vista dell’utilizzo del territorio da parte dell’uomo.
«Per questo abbiamo provato a costruire noi un modello, combinando questi indici con l’effettiva storia degli incendi nelle varie stagioni dell’anno, vale a dire il regime degli incendi invernale e quello estivo - continua Pezzatti. - Così facendo, FireNiche tiene implicitamente conto anche del comportamento dell’uomo: «Il comportamento delle persone influenza gli incendi allo stesso modo della meteorologia – aggiunge Conedera. – La previsione è effettuata anche sulla base della sensibilità delle persone, del rispetto delle regole e così via».

PIÙ INCENDI IN INVERNO - L’azione dell’uomo è soprattutto incisiva per gli incendi invernali. I boschi del Ticino, infatti, hanno caratteristiche diverse in base alla stagione: in inverno, durante la fase detta non vegetativa, le foreste decidue (questo il nome tecnico) non hanno più le foglie, cadute in autunno. Il sole agisce direttamente sulla lettiera (le foglie e i rami secchi che si trovano sul suolo) e la disidrata molto rapidamente. È in questo periodo che si registra il maggior numero di incendi. Nella stagione estiva, invece, il microclima del bosco cambia completamente: la copertura della chioma degli alberi ripara dal sole e mantiene umido lo strato superficiale della lettiera. Anche in assenza di piogge, dunque, il suolo ha un maggior livello di umidità e brucia di meno.
D’estate, il modello predittivo distingue gli incendi tra quelli causati dall’uomo e quelli da fulmini, che di solito avvengono ad altitudini più elevate, principalmente nei boschi di conifere. «Quando un fulmine colpisce una pianta, il fuoco può iniziare a svilupparsi nell’humus del sottosuolo rimanendo impercettibile anche per alcuni giorni – spiega Conedera. – Poi, in condizioni favorevoli, come per esempio con il vento, il fuoco può arrivare in superficie sviluppando fiamme  visibili».

LE SFIDE APERTE - Il modello elaborato a Cadenazzo permette di prevedere il pericolo di incendio su base quotidiana, ma non è pensato per le previsioni a medio termine. «Stiamo lavorando, con altri gruppi del nostro istituto, a una piattaforma che permetta di sviluppare previsioni sull’arco di un mese e di valutare diversi scenari previsionali, fornendo indicazioni differenti – anticipa Pezzatti. – Siamo in pieno sviluppo, ma il prodotto sarà pronto non prima di 2 anni».

Un’altra sfida aperta riguarda l’applicazione del modello in altre aree della Svizzera: «Con il cambiamento climatico, a Nord delle Alpi si sono resi conto che a breve potrebbero avere anche loro problemi con gli incendi – prosegue il ricercatore. – Per questo hanno iniziato a monitorare il fenomeno e a raccogliere dati. Quello che noi stiamo facendo è studiare quale sia la probabilità di incendio in base a come è distribuito il bosco». In Ticino si trovano montagne interamente coperte da foreste, mentre a Nord delle Alpi la situazione è diversa e più frammentata. Elaborare un modello per quell’area significa anche interrogarsi sul comportamento degli incendi in una zona che presenta una vegetazione forestale più frammentata rispetto al Sud del Paese.