Lotta scientifica agli incendi,
con modelli statistici avanzati,
nella "terra del fuoco" svizzera

Ogni anno nei boschi del Ticino si sviluppano circa 26 incendi, in media. All’inizio degli anni Ottanta erano ben 90. Il forte calo è dovuto anche a norme più efficaci e a una maggiore attenzione da parte dei cittadinidi Michela Perrone
C’è una zona nel sud della Svizzera che, pur rappresentando solo il 9% della superficie dell’intera Confederazione, è particolarmente colpita dagli incendi. È un’area di 400’000 ettari (di cui 175’000 di bosco), in cui si è concentrata la metà degli incendi degli ultimi 50 anni. E un’ampia parte di quest’area è nel Canton Ticino.
In una zona come questa, la gestione degli incendi riveste dunque un ruolo fondamentale. E qui è stato costruito un percorso in cui ricercatori, Servizio forestale e istituzioni hanno lavorato insieme per mettere a punto un approccio gestionale che funziona e che è guardato con interesse dalle altre zone della Svizzera.
«Noi non ci occupiamo direttamente di gestione degli incendi – chiarisce subito Marco Conedera, capo dell’unità di ricerca Ecologia delle comunità presso l’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio (WSL) – ma facciamo ricerca sul fenomeno a tutto tondo: partendo dalla statistica, capendo quali siano i fattori importanti che determinano questo fenomeno e quali gli impatti sull’ecologia e sulla sicurezza del territorio».
Il WSL, che si occupa della ricerca ambientale terrestre, ha diverse sedi in Svizzera. Conedera lavora a Cadenazzo: «L’Insubria - spiega - a cavallo fra Svizzera e Italia, è molto ricca dal punto di vista biologico e sta vivendo un cambiamento socio-economico e climatico epocale, con effetti anche drammatici sull’uso del suolo e sulla diversità culturale e biologica. Per questo motivo l’Insubria può servire come regione modello per valutare gli effetti del cambiamento globale (cioè climatico e di uso del suolo) sugli ecosistemi».
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Con una media di 26 incendi all’anno nell’ultimo decennio, il Ticino è a tutti gli effetti una “Terra del fuoco”: «In questa zona, solitamente, gli incendi partono dal fondovalle e si allontanano dagli insediamenti urbani: quindi difficilmente costituiscono un pericolo diretto per l’uomo e le sue infrastrutture – riassume Gianni Boris Pezzatti, collaboratore scientifico del gruppo di ricerca Ecosistemi insubrici. - Piuttosto, modificano alcune caratteristiche della vegetazione e del suolo: per esempio, l’acqua piovana penetra meno nei mesi successivi, e se ci sono forti piogge possono verificarsi fenomeni erosivi o frane».
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, oggi gli incendi in Ticino sono in calo (erano mediamente 90 all’anno negli anni Ottanta), nonostante l’aumento della siccità e le altre conseguenze del cambiamento climatico: «Questo perché la maggior parte sono innescati volontariamente o involontariamente dall’uomo – spiega Conedera. - Negli ultimi anni, grazie a una maggiore educazione dei cittadini, questa fetta si è ridotta». Un punto di svolta è stato nel 1987, quando in Ticino è entrato in vigore un decreto esecutivo che vieta i fuochi all’aperto e il compostaggio degli scarti vegetali. Questa misura ha permesso, in pochi anni, di più che dimezzare il numero di incendi.
IL MODELLO STATISTICO "MADE IN TICINO" - Nonostante il calo significativo registrato negli anni ‘90, resta importante, per le persone e per l’ambiente, gestire al meglio glii incendi che ancora si verificano. Per farlo, il servizio forestale si basa anche sul FireNiche, un metodo statistico elaborato a Cadenazzo che permette di valutare il pericolo giornaliero di incendi. Per costruirlo, Pezzatti e Conedera hanno prima di tutto studiato i dati storici: «In Ticino abbiamo la fortuna di avere un database molto ricco: oltre 100 anni di informazioni sugli incendi» - afferma Pezzatti. Gli esperti, poi, hanno provveduto a combinare la recente storia locale degli incendi con le variabili climatiche: «Spesso, per questo genere di previsioni, si utilizzano modelli sviluppati altrove: i più diffusi sono stati realizzati in Canada, Stati Uniti e Russia – prosegue il ricercatore. – Si tratta di modelli empirici basati su variabili meteorologiche che cercano di simulare il contenuto idrico del combustibile e del suolo in bosco». Il problema è che spesso si tratta di indici sviluppati per altri tipi di boschi (come le conifere in Canada), o per contesti differenti dal punto di vista dell’utilizzo del territorio da parte dell’uomo.
«Per questo abbiamo provato a costruire noi un modello, combinando questi indici con l’effettiva storia degli incendi nelle varie stagioni dell’anno, vale a dire il regime degli incendi invernale e quello estivo - continua Pezzatti. - Così facendo, FireNiche tiene implicitamente conto anche del comportamento dell’uomo: «Il comportamento delle persone influenza gli incendi allo stesso modo della meteorologia – aggiunge Conedera. – La previsione è effettuata anche sulla base della sensibilità delle persone, del rispetto delle regole e così via».
PIÙ INCENDI IN INVERNO - L’azione dell’uomo è soprattutto incisiva per gli incendi invernali. I boschi del Ticino, infatti, hanno caratteristiche diverse in base alla stagione: in inverno, durante la fase detta non vegetativa, le foreste decidue (questo il nome tecnico) non hanno più le foglie, cadute in autunno. Il sole agisce direttamente sulla lettiera (le foglie e i rami secchi che si trovano sul suolo) e la disidrata molto rapidamente. È in questo periodo che si registra il maggior numero di incendi. Nella stagione estiva, invece, il microclima del bosco cambia completamente: la copertura della chioma degli alberi ripara dal sole e mantiene umido lo strato superficiale della lettiera. Anche in assenza di piogge, dunque, il suolo ha un maggior livello di umidità e brucia di meno.
D’estate, il modello predittivo distingue gli incendi tra quelli causati dall’uomo e quelli da fulmini, che di solito avvengono ad altitudini più elevate, principalmente nei boschi di conifere. «Quando un fulmine colpisce una pianta, il fuoco può iniziare a svilupparsi nell’humus del sottosuolo rimanendo impercettibile anche per alcuni giorni – spiega Conedera. – Poi, in condizioni favorevoli, come per esempio con il vento, il fuoco può arrivare in superficie sviluppando fiamme visibili».
LE SFIDE APERTE - Il modello elaborato a Cadenazzo permette di prevedere il pericolo di incendio su base quotidiana, ma non è pensato per le previsioni a medio termine. «Stiamo lavorando, con altri gruppi del nostro istituto, a una piattaforma che permetta di sviluppare previsioni sull’arco di un mese e di valutare diversi scenari previsionali, fornendo indicazioni differenti – anticipa Pezzatti. – Siamo in pieno sviluppo, ma il prodotto sarà pronto non prima di 2 anni».
Un’altra sfida aperta riguarda l’applicazione del modello in altre aree della Svizzera: «Con il cambiamento climatico, a Nord delle Alpi si sono resi conto che a breve potrebbero avere anche loro problemi con gli incendi – prosegue il ricercatore. – Per questo hanno iniziato a monitorare il fenomeno e a raccogliere dati. Quello che noi stiamo facendo è studiare quale sia la probabilità di incendio in base a come è distribuito il bosco». In Ticino si trovano montagne interamente coperte da foreste, mentre a Nord delle Alpi la situazione è diversa e più frammentata. Elaborare un modello per quell’area significa anche interrogarsi sul comportamento degli incendi in una zona che presenta una vegetazione forestale più frammentata rispetto al Sud del Paese.