Scenari

Il futuro? Un centro nazionale
in Ticino che studi gli intrecci
fra invecchiamento e cancro

Sabato 20 maggio 2023 circa 6 minuti di lettura In deutscher Sprache
Andrea Alimonti (foto di Alfio Tommasini)
Andrea Alimonti (foto di Alfio Tommasini)

Intervista ad Andrea Alimonti, docente all’USI e all’ETH, nominato direttore dell’Istituto Oncologico di Ricerca dal 1° gennaio 2024. Frenare la senescenza delle cellule aiuterà a combattere meglio anche i tumori
di Paolo Rossi Castelli

Frenare l’invecchiamento dell’organismo prima che spalanchi le porte ai tumori, al “disordine” del sistema immunitario e a un eccesso di infiammazioni croniche e di risposte inefficaci alle infezioni (tutti problemi strettamente correlati al procedere degli anni). Negli Stati Uniti questo tema, anzi, questa impostazione ideologico-scientifica, è sentita moltissimo, e sono numerosi i gruppi di ricerca che se ne occupano ad alto livello, con ingenti finanziamenti (creando, ad esempio, farmaci “senolitici”, che portano all’eliminazione delle cellule invecchiate). In Europa, invece, tendiamo ancora a puntare l’attenzione sulle singole malattie, senza soffermarci sul grande contenitore (l’invecchiamento, appunto) in cui sono inserite. Dovremo fare un salto in avanti, e il Ticino potrà essere il posto giusto.
Così pensa Andrea Alimonti, scienziato di fama internazionale e pioniere degli studi sulla senescenza cellulare (soprattutto quella legata al tumore della prostata), nonché nuovo direttore, dal 1° gennaio 2024, dell’Istituto Oncologico di Ricerca (IOR) di Bellinzona. 

Dunque l’invecchiamento va studiato e prevenuto con tutte le forze e le risorse disponibili, più di quanto si faccia già adesso, anche nel nostro Cantone...

«Sì, bisogna bloccare i processi biologici prima che portino al cancro e a molte malattie immunologiche - risponde Alimonti. - In altre parole, dovremo passare dalla cura dei sintomi negativi provocati dall’invecchiamento e dalle malattie collegate, ai meccanismi biologici che ne sono alla base. Solo così potremo allungare la vita media e, nello stesso tempo, anche la qualità della vita, superando il paradosso che sta diventando sempre più evidente: la Medicina, nei Paesi più ricchi, è infatti riuscita a spostare oltre gli 80 anni la durata della vita media (e non soltanto 50, come accadeva all’inizio del ‘900), ma in molti casi ha ottenuto questo risultato cronicizzando le malattie, dunque allungando la vita ma anche le sofferenze e i problemi collegati. Dovremo riuscire a fare meglio!».

Perché l’invecchiamento e il cancro, o anche le malattie autoimmuni, sono così collegati?

«Perché, soprattutto nel caso dei tumori, invecchiamento e cancro sono due facce dello stesso fenomeno. Cerco di spiegare rapidamente: ogni giorno si verificano mutazioni/errori nel nostro DNA che in massima parte vengono riparati, ma in una quota minima si accumulano, invece, durante il corso degli anni (mutazioni innescate da sostanze che mangiamo e respiriamo, oppure da sostanze tossiche, fumo, alcol, onde elettromagnetiche, radiazioni e altro ancora). Se questi danni si accumulano nelle parti del nostro codice genetico che governano la duplicazione, o il suicidio programmato (l’apoptosi, in termine tecnico) delle cellule, può innescarsi un’alterazione tumorale. Se invece i danni si concentrano in altre zone del DNA, abbiamo, globalmente, quello che chiamiamo invecchiamento».

Dunque bisogna frenare la senescenza cellulare, quando ancora è possibile. Non sembra un’impresa facile, però, vista la grande quantità di elementi diversi (di origine genetica e ambientale) coinvolti in questo “cammino” inesorabile...

«Certo, non lo è, ma alcune strade interessanti sono già state aperte, e i grandi progressi della biologia molecolare, dell’ingegneria genetica, dei sistemi di intelligenza artificiali applicati alle scienze della vita, e di altri ambiti nuovi della Ricerca, potranno aiutarci molto. Occorre, però, la volontà di applicare questo paradigma, e poi naturalmente sono necessari i fondi, e... anche lo spazio per i laboratori. Allo IOR la situazione cambierà molto, e saremo pronti per il nuovo paradigma, solo fra circa 6 anni, quando avremo la nuova sede, di fianco all’attuale palazzo di Bios+ (l’associazione fra IOR e IRB), in viaFrancesco Chiesa 5 a Bellinzona»

Se troverete nuovi farmaci, o altre terapie, in grado di arginare con forza l’invecchiamento, come riuscirete poi a misurarne l’effetto in modo tangibile, scientifico, standardizzabile? Occorreranno decine di anni...

«È vero, questo è uno dei problemi che accompagnano gli studi sulla senescenza e sui modi per bloccarla. Bisognerà tenere sotto osservazione per lunghi periodi le persone, ma potremo utilizzare anche altri parametri, più rapidi: per esempio, i marcatori dell’infiammazione (che si possono misurare con semplici esami del sangue), o la metilazione del DNA: una complessa serie di reazioni chimiche che permettono di valutare, per certi aspetti, l’età biologica, reale (non anagrafica), di ogni persona. Esistono poi anche altri “marcatori” (ad esempio, l’esame di certe particolarità dei muscoli), per capire come procede l’invecchiamento».

Però queste grandi sfide, Lei diceva, potranno cominciare, per lo IOR, solo nei prossimi anni...

«Sì, quando la nuova sede sarà completata potremo reclutare grandi nomi internazionali che fanno questo tipo di ricerca e convincerli a venire da noi. Nel nuovo palazzo ci sarà posto per 5 nuovi gruppi, che si affiancheranno agli 8 attuali (che diventeranno presto 9), per un totale di 150-200 collaboratori. L’idea è quella di creare in Ticino un centro di competenza su questi temi, insieme all’IRB e ad altri istituti ticinesi e svizzeri che vorranno accompagnarci nel nostro cammino, candidandoci per i National Centres of Competence in Research (NCCR) finanziati dal Fondo Nazionale Svizzero: sono “consorzi” scientifici, se vogliamo usare questo termine, creati in settori molto innovativi. Ne esistono già alcuni, in diverse aree della medicina, finanziati con cifre anche ingenti, intorno ai 20 milioni di franchi. Noi potremo candidarci, appunto, per diventare un centro di rilevanza nazionale sugli “intrecci” fra invecchiamento, cancro e immunologia, comprese le relative terapie. Sarà questa la sfida dei prossimi decenni, e sarà il nostro modo di essere “unici”».

Quindi volete cercare nuovi spazi d’azione, oltre a quello della tradizionale ricerca oncologica, dove lo IOR è già a un ottimo livello (ma dove è anche fortissima la concorrenza con altri centri svizzeri, come quelli di Losanna e di Ginevra...)

«Esatto. Insieme all’IRB, è già stata fatta la scelta di profilarci in futuro sempre di più sull’ambito dell’invecchiamento, con l’attenzione mirata verso l’oncologia, nel caso dello IOR, e verso l’immunologia, per l’IRB. Ma è pur vero che oncologia e immunologia appaiono sempre più intrecciate, anche per quanto riguarda le terapie. Basti pensare alle cosiddette CAR-T cells contro alcuni tipi di tumori (sono linfociti T del paziente modificati con tecniche di ingegneria genetica per renderli più efficaci contro il cancro), o gli anticorpi monoclonali. Nell’attesa di una “call” della Confederazione per i fondi NCCR, che arriverà nei prossimi anni, stiamo già cominciando a muoverci».

Non converrebbe arrivare a una fusione, prima o poi, fra IOR e IRB?

«No, i due istituti hanno fonti di finanziamento diverse e lavorano già benissimo insieme, attraverso l’associazione Bios+. È giusto che ogni istituto si rafforzi e si specializzi sempre più nel suo settore, seguendo il modello della Svizzera francese e tedesca, ma lavorando verso obiettivi comuni».