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Epilessia, un rebus che adesso siamo in grado di "districare"

Sabato 1 aprile 2023 circa 6 minuti di lettura In deutscher Sprache

di Agnese Codignola

Pamela Agazzi, caposervizio presso il Neurocentro della Svizzera Italiana
Pamela Agazzi, caposervizio presso il Neurocentro della Svizzera Italiana

Epilessia, dal greco “essere colti di sorpresa”, ma anche “essere invasi”: un’etimologia che racconta già molto di un termine che, nei secoli, ha descritto la manifestazione più evidente di numerose malattie, e che, a causa delle sue caratteristiche a volte sconcertanti, è stata associata a un pesante stigma e, nell’antichità, alle più bizzarre credenze, che si rifacevano sempre al carattere misterico di quei sintomi così atipici.

Oggi per fortuna la situazione è del tutto diversa, a partire dall’idea stessa della natura delle crisi epilettiche. Negli ultimi decenni, infatti, la ricerca ha compiuto passi in avanti significativi, così come la farmacologia, e il quadro è assai più completo e sfaccettato rispetto a quello ritenuto valido per moltissimo tempo. A spiegare che cosa significa, oggi, soffrire di crisi epilettiche e trovare la cura migliore è Pamela Agazzi, caposervizio presso il Neurocentro della Svizzera Italiana per l’epilettologia: «Esistono molti tipi di epilessie, accanto alle forme un tempo definite “idiopatiche” e ora considerate genetiche, ne abbiamo infatti numerose altre, associate alle più diverse patologie: dai tumori alle demenze, dai traumi alle infezioni. Talvolta però non riusciamo a identificarne chiaramente l’origine e, in quei casi, parliamo di forme da causa indeterminata. Esistono poi due tipi fondamentali di crisi: una più localizzata, focale, che inizia in un solo emisfero cerebrale, e può associarsi o meno a perdita di coscienza, e una generalizzata, che coinvolge fin dall’esordio entrambi gli emisferi cerebrali (la più nota è la crisi tonico-clonico generalizzata o “convulsiva”)».

Le crisi sono fenomeni transitori con una durata da secondi a pochi minuti e tendono ad autorisolversi spontaneamente (quando non avviene – raramente - si parla di “stato epilettico”). Quando c’è il sospetto di una crisi epilettica, il primo passo, fondamentale, è capire che cosa sia successo, oltretutto tenendo presente che, molto spesso, al momento dell’arrivo al centro di cura, la crisi è passata, e va ricostruito con esattezza l’accaduto. Per questo si procede con la diagnosi differenziale, che esclude via via possibili altri eventi clinici che possono mimare la crisi e, in parallelo, si cerca di identificarne la causa, tramite l’ausilio di esami di laboratorio e strumentali, come l’elettroencefalogramma e la risonanza cerebrale. A quel punto, prosegue Pamela Agazzi – una laurea italiana, a Milano, seguita da alcune esperienze in Italia, e già da molti anni in Ticino – si decide qual è la terapia migliore, per ridurre il rischio che la crisi si ripresenti (in rete c’è anche un video in cui spiega in che cosa consiste la terapia). «Da questo punto di vista - sottolinea ancora Agazzi - abbiamo ormai molte molecole farmacologicamente attive, ciascuna delle quali ha alcune specificità e controindicazioni che comportano una valutazione attenta del singolo caso. Quando poi il paziente non risponde adeguatamente perché è resistente alla terapia farmacologica (fatto che si verifica in un caso su tre circa), in centri selezionati come il nostro possono essere discussi approcci farmacologici più innovativi, di ultima generazione e anche tuttora in studio. Naturalmente, la decisione relativa al farmaco più adatto dipende, oltreché da eventuali altre malattie presenti, da altre condizioni quali, per le donne, l’età fertile, e in generale il tipo di causa identificata. E non esistono solo i farmaci: in alcuni pazienti che non rispondono adeguatamente vanno considerate le opzioni chirurgiche o l’impiego di neurostimolatori, come lo stimolatore del nervo vago. Infine, in alcuni casi selezionati una dieta chetogenica, cioè ricca di grassi e povera di zuccheri, può rappresentare un’opzione».

Per quanto concerne i farmaci, purtroppo, spiega ancora Agazzi, non esistono vere e proprie cure definitive che agiscono sul meccanismo di epilettogenesi, in quanto i farmaci sono “sintomatici” e quindi controllano le crisi. Ciò dipende anche dal fatto che, sebbene negli ultimi anni si siano fatti passi avanti nella ricerca, restano da comprendere fino in fondo i complessi meccanismi che portano alla generazione delle crisi in una determinata persona. «Il nostro cervello funziona in base alla trasmissione di impulsi elettrici che, a loro volta,impiegano sostanze biochimiche, i neurotrasmettitori - spiega la neurologa. - Durante una crisi epilettica, qualcosa non va come dovrebbe, con il risultato che una popolazione di neuroni inizia a “scaricare” in maniera sincrona e sregolata, che sfugge al controllo, e tutto ciò distrugge momentaneamente l’equilibrio”.

Un quadro così complicato fa capire come interpretare una crisi sia un compito tutt’altro che semplice, soprattutto in certe fasce di età come quella degli anziani, che possono avere brevi stati confusionali, o perdite di coscienza che dipendono anche da altre cause. Gli anziani, tra l’altro, oggi sono quelli più colpiti dalle crisi epilettiche. «L’epilessia può iniziare a tutte le età, dal bambino all’anziano - dice Agazzi - e, con l’invecchiamento della popolazione, stiamo assistendo a un aumento dei nuovi casi di epilessia a esordio nella terza età. Nei bambini alcune forme legate alle infezioni infantili si sono fortunatamente ridotte grazie ai vaccini, mentre negli anziani, a causa dell’età, si accumula una serie di danni al cervello e diventano più probabili malattie cerebrali legate all’invecchiamento come l’ictus e le demenze, che sono appunto potenziali cause di epilessia. L’epilessia negli anziani rappresenta una nuova sfida sia diagnostica e, dal momento che gli anziani sono più vulnerabili, anche terapeutica».

E non ci sono solo gli anziani: le crisi colpiscono con particolare frequenza le persone che soffrono di malattie genetiche che coinvolgono lo sviluppo del cervello. Queste persone non sempre sono in grado di riferire che cosa accade. «Hanno bisogno - continua Agazzi - di assistenza e cure del tutto particolari, e più di altri, ancora oggi, possono soffrire di quello stigma sociale che per secoli ha accompagnato questa malattia. Lo sforzo è quindi anche di tipo culturale e semantico (si tende a parlare di sindromi e di crisi epilettiche e non di epilessia), affinché si elimini del tutto quell’aura negativa che per secoli ha emarginato i malati, aggiungendo un danno sociale a quello, di non poco conto, medico». 

Infine, al Centro per l’epilettologia non può mancare la ricerca clinica, perché anche grazie ai pazienti qui è possibile sperimentare nuove modalità di cura, terapie innovative, e individuare caratteristiche specifiche delle singole forme di crisi. Per esempio, il Centro è coinvolto in uno studio svizzero che riguarda la presa a carico precoce di una prima crisi epilettica con il fine ultimo di identificare, mediante alcuni elementi dell’elettroencefalogramma, e attraverso specifiche sequenze di risonanza magnetica cerebrale, potenziali alterazioni che possano aiutare a stabilire il rischio di nuovi eventi nel futuro del malato. C’è anche un interesse specifico per una presa a carico individuale che tenga conto delle differenze legate ai due sessi, e delle specifiche esigenze delle diverse tappe della vita. 

Anche se le crisi continuano a cogliere di sorpresa chi ne è colpito, al centro diretto da Agazzi il tentativo messo in campo ogni giorno è l’esatto contrario: non farsi cogliere di sorpresa, e trovare la soluzione più adatta per ogni paziente, continuando a cercarne di migliori.