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"Open Science": cresce la spinta
per i dati disponibili gratis

Sabato 11 marzo 2023 circa 9 minuti di lettura In deutscher Sprache

In piena attività, anche in Ticino, il Piano d’azione voluto da  di swissuniversities, ETH-domain, Accademie svizzere delle arti e delle scienze e Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica
di Valeria Camia

(Foto di Loreta Daulte)
(Foto di Loreta Daulte)

Era il 16 gennaio del 2012 quando sul New York Times uscì un articolo alquanto esaustivo su un fenomeno al tempo emergente. Si chiamava (e ancora si chiama) Open Science, una modalità per diffondere la conoscenza scientifica completamente antitetica rispetto a quella tradizionale che, scriveva Thomas Lin, autore dell’articolo, citando il fisico quantistico Michael Nielsen, si presentava come un modello ormai vecchio (una cosa da 1600, insomma). Per esempio, come sa bene chiunque voglia cercare di pubblicare i propri lavori in una delle riviste “chiuse” più prestigiose, il processo di revisione tra pari (cioè di revisione da parte di altri scienziati, che però non conoscono i nomi degli autori dello studio, per non esserne influenzati) può richiedere mesi. Oltre a ciò, le riviste tradizionali offrono gratuitamente solo l’abstract (il riassunto) dei lavori pubblicati, mentre gli studi completi sono consultabili solo previo abbonamento, spesso molto costoso. 

Contro questo modello “vincolato, costoso ed elitario”, si leggeva sul NYT, l’Open Science richiede un cambiamento, fondamentalmente, dello status quo, aprendo dati, documenti, idee di ricerca e soluzioni parziali a chiunque, naturalmente sotto le linee guida di licenze precise che regolino il riutilizzo e la riproducibilità della ricerca e dei suoi metodi.

Sempre nell’articolo venivano riportati anche alcuni giornali scientifici “aperti” emergenti, molti dei quali oggi hanno una più che dignitosa reputazione: qualcuno avrà forse sentito o letto di arXiv, Public Library of Science (PLoS), GalaxyZoo, o MathOverflow, senza dimenticare ResearchGate, una sorta di social networking dove gli scienziati possono rispondere alle domande degli altri, condividere documenti e trovare collaboratori.

Dieci anni dopo la pubblicazione dell’articolo del NYT, per quanto rimangano presenti diverse criticità nell’Open Science, ancora da sistemare, la Scienza Aperta non dà segni di cedimento. Anzi, proprio la pandemia di Coronavirus ha messo in luce i vantaggi legati alla possibilità di accedere rapidamente a informazioni aggiornate in tempo reale, senza dover attendere i tempi lunghi delle riviste scientifiche classiche.
In verità, oggigiorno nell’ambito dell’Open Science le cose si sono un po’ complicate, e si tende a distinguere tra Open Access e Open Research Data. Mentre l’Open Access - ci spiega Iolanda Pensa, ricercatrice presso il Dipartimento ambiente costruzioni e design della SUPSI e consulente Open Science per la stessa istituzione - richiede che le riviste accademiche rendano accessibili i loro contenuti online, senza costi e senza doversi registrare, gli Open Research Data (ORD) costituiscono un livello “più avanzato” dell’Open Science. In questo caso l’obiettivo è quello di dare accesso anche ai dati necessari per scrivere gli articoli nella consapevolezza che la qualità di una ricerca non risieda solo nell’articolo finale ma, altresì, e soprattutto, nelle informazioni (siano esse digitali o cartacee, numeriche, descrittive, audio o video) raccolte, utilizzate e necessarie a validare i risultati raggiunti. «Aprire i dati serve, in generale, per controllare le ricerche e vedere se effettivamente rifacendo la stessa ricerca, con la stessa metodologia si ottengono gli stessi risultati - chiarisce Pensa. - Inoltre, a volte ci sono risultati negativi che non portano alla pubblicazione di un articolo ma che, condivisi, potrebbero consentire ad altri di beneficiare di informazioni per non rifare le stesse ricerche». 

Anche in Svizzera l’associazione swissuniversities, ETH-domain, le Accademie svizzere delle arti e delle scienze e il Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scienntifica (SNSF), hanno adottato un Piano d’azione che si inserisce nella strategia nazionale ORD (Swiss national open research data strategy) approvata nel 2021 e che serve a fornire - si legge in un documento ufficiale di presentazione - “un quadro per lo sviluppo di pratiche basate sulla condivisione dei dati di ricerca in Svizzera e per governare i servizi e le infrastrutture che supportano i ricercatori e abilitano le pratiche ORD”. Si tratta, conferma Beat Immenhauser, delegato Open Science per le Accademie svizzere delle arti e delle scienze, di un cambiamento “culturale” rispetto al modo classico di fare scienza, rendendo trasparente l’intero processo della ricerca e i singoli passaggi (i cosiddetti research steps), dai testi ai dati, al software, agli interi protocolli, tenendo conto delle appropriate licenze (che garantiscono il corretto riutilizzo), delle necessarie tutele etiche e della confidenzialità dei dati, i quali possono essere condivisi una volta resi anonimi e accessibili solo su richiesta motivata.

UN LAVORO COLLETTIVO - Concretamente, il Piano d’azione implica un lavoro sinergico tra gli attori coinvolti e prevede anche una necessaria divisione di compiti. Ad esempio, per il periodo 2025-2028 sarà il SNSF ad assumersi la responsabilità di finanziare i ricercatori e le comunità di ricerca nello sviluppo e nell’adozione di pratiche di ORD, anche se in questa fase iniziale sono l’ETH e gli atenei aderenti a swissuniversities a sostenere singoli progetti orientati verso gli ORD.

Le Accademie svizzere delle arti e delle scienze hanno, da parte loro, recentemente istituito un Sounding Board, che prevede, tra i suoi compiti, quello di consigliare il Consiglio strategico e il Gruppo di coordinamento, formulando raccomandazioni per includere le prospettive e i bisogni delle diverse comunità di ricerca a sostengo dello sviluppo degli ORD. «L’obiettivo del Board è quello di fungere da ponte tra le Accademie svizzere che stanno implementando la strategia Open Research Data e i ricercatori che devono beneficiare di questa strategia - spiega Elena Chestnova, che è ricercatrice presso l’Istituto di storia e teoria dell’arte e dell’architettura dell’Università della Svizzera italiana (USI), ed è, insieme a Iolanda Pensa, tra i 16 membri del Sounding Board, provenienti da aree di ricerca e approcci metodologici differenti. - In linea di massima, ci verranno presentate delle domande dal Comitato esecutivo e avremo l’opportunità di valutare le questioni in relazione alle esigenze delle comunità che rappresentiamo. Avremo anche la possibilità di portare sul tavolo questioni che finora potrebbero essere sfuggite all’attenzione delle Accademie svizzere. Si tratta di un’opportunità estremamente preziosa e sono fiduciosa sul fatto che saremo in grado di lavorare in modo produttivo per garantire la crescita e il miglioramento nel campo dell’Open Science».

SETTE PRINCIPI DI BASE - Come si specifica nel documento del piano d’azione svizzero, gli ORD si fondano su sette principi. Tra questi, ricordiamone due. Il primo, che suona un po’ come un motto, è “As open as possible, as protected as necessary”. In pratica, si cercherà di rendere i risultati della ricerca il più possibile accessibili, sempre tenendo in considerazione la questione della protezione dei dati. Altro principio centrale è racchiuso in un acronimo, FAIR, ovvero Findability, Accessibility, Interoperability, and Reusability. «Ciò significa far sì che i dati e i metadati usati per descriverli (ad esempio gli archivi digitali) siano facili da trovare e leggibili anche da ricerche automatizzate - spiega Beat Immenhauser. - L’utente, una volta trovati i dati, dovrà essere in grado di accedervi, eventualmente anche tramite autenticazione e autorizzazione; dovrà anche avere la possibilità di utilizzare i dati da diversi sistemi informatici e software, ad esempio. Infine i dati e i metadati dovranno essere tali da poter essere citati, replicati o combinati in contesti diversi».

117 MILIONI DI FRANCHI - Per raggiungere questa modalità di fare scienza, il piano d’azione svizzero prevede quattro campi d’azione e un budget complessivo di quasi 117 milioni di franchi per il periodo 2021-2028. «La prima area d’azione - precisa sempre Immenhauser - è volta a sostenere i ricercatori e le comunità di ricerca nell’adozione delle pratiche per una ricerca che sia aperta, a partire dalla condivisione dei dati (ORD); la seconda a garantire infrastrutture e servizi di base sostenibili e utili per tutti i ricercatori. La terza area di azione si concentra sul fornire ai ricercatori le competenze necessarie per lo sviluppo dell’ORD e lo scambio delle migliori pratiche; infine la quarta riguarda la creazione di condizioni favorevoli all’implementazione della condivisione di dati e ricerca tra le istituzioni e all’interno della comunità di ricerca». 

UNA SCIENZA PIÙ SOLIDA E RIPRODUCIBILE - Stiamo insomma parlando di qualcosa di innovativo nel panorama elvetico, ambizioso e anche necessario. Abbracciare, per così dire, i principi degli ORD è importante per rendere la scienza più solida e riproducibile, «permettendo agli studiosi - chiarisce Chestnova - di “curiosare” nel lavoro degli altri e di garantire la massima qualità dei risultati. Significa anche che il lavoro scientifico potrà avere, così, il massimo impatto».
Inoltre, come sottolinea Iolanda Pensa, «aprire i dati diventa importante per creare sinergie tra il lavoro accademico (o quello condotto nei centri di ricerca applicata come la SUPSI) e la pubblica amministrazione, con i suoi dati territoriali, scolastici, governativi». Non da ultimo, per la società i benefici vanno a braccetto con il concetto di “democratizzazione” e lotta alle fake news, un tema oggigiorno molto attuale, ricorda Immenhauser: disporre di dati liberamente accessibili mette tutti nelle condizioni di informarsi “svelando” ricerche precedentemente “chiuse" dietro abbonamenti che non tutti i privati (o gli istituti) potrebbero permettersi di pagare.

RESTANO MOLTI PROBLEMI - Per quanto le linee guida e i principi del piano d’azione e strategia ORD in Svizzera siano ben delineati, non mancano le difficoltà. «Certo, ormai quasi tutti i ricercatori riconoscono i benefici di una scienza aperta e sono disponibili a integrare l’ORD nella loro pratica di ricerca quotidiana, nei loro progetti e nelle loro collaborazioni - spiega Olivia Denk, specialista Open Science responsabile, per le Accademie Svizzere, delle aree d’azione legate agli ORD. - Eppure rimane una certa preoccupazione, quando si deve effettivamente condividere il proprio lavoro e i propri dati, soprattuto se sono “sensibili”, per motivi legali, etici o di sicurezza, o in caso di ricerca collaborativa con il settore privato».
«Oggi - aggiunge Chestnova - abbiamo a disposizione nuovi strumenti che ci permettono di raggiungere una maggiore apertura nella scienza, ma l’attuazione di questo non è sempre semplice, per molte ragioni e diversi livelli di complessità». Ad esempio - aggiunge Pensa - «in alcuni ambiti disciplinari il lavoro collaborativo è già molto sviluppato insieme a una pratica consolidata di apertura dei dati e uso di licenze libere, mentre in altri settori, dove si lavora in modo individuale, c’è meno esperienza quando si tratta di ricerca aperta».

Le Accademie svizzere delle arti e delle scienze hanno anche previsto un riconoscimento, chiamato Premio Open Research Data, assegnato da una giuria composta dai membri del Sounding Board e destinato a chi fa scienza, in diverse discipline, secondo i principi della condivisione di dati.