Covid, siamo circondati anche
dalla pandemia dei dati...
Le istruzioni per difendersi
Intervista ad Antonietta Mira, direttrice del Data Science Lab USI. Nominata nel Comitato direttivo della Società Svizzera di Statistica, ha appena pubblicato un saggio con il filosofo Armando Massarenti di Michela Perrone
Quest’anno tutti noi siamo entrati in contatto diretto con i dati, alcuni per la prima volta nella nostra vita. Da mesi, ormai, a causa del coronavirus ci ritroviamo quotidianamente ad attendere i bollettini con i numeri dei contagiati e dei ricoverati, e dobbiamo cercare di capire cosa sia l’indice Rt, contare la percentuale di infetti in base al numero di tamponi effettuati, e così via… «Soprattutto, abbiamo capito che i dati non sono qualcosa di astratto, ma spesso parlano di noi, delle nostre abitudini e preferenze. Quelli che ruotano attorno al coronavirus, in particolare, raccontano le vite dei nostri cari». Antonietta Mira è professoressa di statistica alla Facoltà di scienze economiche dell’Università della Svizzera Italiana (USI) e direttrice del Data Science Lab dell’Istituto di scienza computazionale (ICS). Recentemente ha pubblicato con l’epistemologo e filosofo della scienza Armando Massarenti il libro La pandemia dei dati. Ecco il vaccino (Mondadori editore), dove tratta proprio di questi temi, cercando di mostrare come un modo efficace per difenderci dalle distorsioni cognitive con cui spesso interpretiamo i dati sia utilizzare il pensiero critico.
«Di solito l’incertezza ci spaventa – ricorda l’esperta. – È però importante capire che, se quantificata opportunamente con gli strumenti della probabilità, questa può dare dei vantaggi competitivi, diventando la nostra forza». Non possiamo governare fenomeni che non controlliamo del tutto, ma possiamo comprenderli e appropriarci della complessità che li circonda, abbracciando anche gli aspetti che ci paiono più controintuitivi.
«Per fare previsioni affidabili, abbiamo bisogno di buoni dati e modelli realistici – prosegue Mira. – Nel caso della pandemia in corso, purtroppo mancano i primi: abbiamo numeri che differiscono per modalità di raccolta addirittura all’interno dello stesso Paese. È importante essere consci di questo. Lo statistico è abituato a lavorare con dati che contengono errori o ritardi temporali, e possiede strumenti che gli permettono di correggere, o quanto meno di tenere in debita considerazione, alcune di queste distorsioni». Inoltre, i dati sono spesso comunicati e condivisi solo in forma aggregata, anche fra gli scienziati che poi li analizzano. Due le strategie attuate dagli esperti, ma che possono essere messe in campo anche da ciascun cittadino, per difendersi dalla pandemia dei dati: «Il primo è essere consapevoli della difformità dei dati e quindi dei loro limiti – afferma Mira. – E il secondo è cercare delle informazioni “collaterali” che possano aiutarci a leggere meglio la realtà”.
Restando sull’esempio del coronavirus, se i dati dei contagi non sono confrontabili tra i vari Paesi europei (o tra Cantoni o Regioni all’interno dello stesso Stato), occorre cercare numeri che lo siano. Per esempio? «Quello che si chiama excess mortality rate, cioè il tasso di mortalità per tutte le cause in un certo periodo. I vantaggi, dal punto di vista statistico, sono due: è un dato uniforme nelle varie aree e permette confronti con il passato, perché è indipendente dalla pandemia in corso». E, proprio osservando le differenze rispetto agli anni scorsi, si possono capire le tendenze in atto: queste sì condizionati dal nuovo virus.
L’IMPEGNO SCIENTIFICO - La ricca attività divulgativa di Antonietta Mira affianca il suo impegno in vari progetti scientifici, a riprova del fatto che la statistica è ovunque, dalla medicina alle transazioni bancarie.
Sempre restando in tema Covid-19, l’esperta, che all’inizio di novembre è stata nominata nel Comitato direttivo della Società Svizzera di Statistica, sta coordinando l’unità ticinese all’interno di Periscope, un progetto finanziato nell’ambito del programma europeo Horizon 2020, volto a indagare l’impatto socio-economico e comportamentale della pandemia, per rendere l’Europa più resistente e preparata ai rischi futuri. «Quello che stiamo vivendo è sicuramente un momento di grande incertezza – premette Mira. – Tuttavia, dal punto di vista probabilistico, non è come lanciare un dado. Per il coronavirus quello che succederà in futuro dipende, almeno in parte, da ciò che è stato in passato».
Esempi di eventi probabilistici “senza memoria” sono, invece, le puntate alla roulette, oppure il gioco del Lotto. In questi casi, colori o numeri usciti in passato non influenzeranno le probabilità di quelli futuri.
Periscope è finanziato con quasi 10 milioni di euro, coinvolge 32 istituzioni europee ed è coordinato dall’Università di Pavia. Il progetto è iniziato ai primi di novembre e durerà per tre anni. «È uno strumento importante - spiega Mira - perché non si sofferma sulle soluzioni farmacologiche, ma riflette sulle strategie e sugli impatti di sistema».
Un progetto con ricadute più immediate è quello che da alcuni anni l’esperta dell’USI sta portando avanti in collaborazione con il Cardiocentro di Lugano, la Fondazione Ticino Cuore e la Federazione Cantonale Ticinese dei Servizi Autoambulanze. «Si tratta di una mappatura del rischio cardiaco sul territorio - dice Mira - per ottimizzare, tra le altre cose, la distribuzione di defibrillatori, essenziali per salvare la vita a chi ha un infarto al di fuori dell’ospedale». Il progetto, avviato nel 2017, prevede due linee di ricerca: la prima ha permesso di ricostruire, grazie all’analisi delle chiamate ai numeri d’emergenza, i casi di eventi cardiaci avvenuti al di fuori degli ospedali, consentendo di fornire indicazioni sul posizionamento ottimale dei defibrillatori. «L’infarto è un evento tempo-dipendente: si deve agire tempestivamente per sperare che il paziente non abbia conseguenze troppo pesanti a livello neurologico» - ricorda la statistica.
La seconda linea di ricerca è volta alla creazione di una mappa delle risorse: in base a caratteristiche della popolazione residente come età, genere, eccetera, si può capire come posizionare meglio i mezzi a disposizione, per esempio le ambulanze.
«Si tratta di un progetto molto valido, perché i dati sono stati raccolti bene, e dunque sono molto affidabili – afferma Mira. – Questo anche grazie all’enorme lavoro svolto dagli studenti e dai collaboratori dell’USI, che hanno contribuito a geolocalizzare le chiamate arrivate ai numeri di emergenza negli anni in cui il sistema di raccolta dati non era ancora completamente digitalizzato».
Antonietta Mira è una mosca bianca nel panorama accademico: è tra le pochissime professoresse che all’USI si occupano di temi quantitativi. «In effetti - dice - le quote rosa non mancano: nel mio gruppo di studio ci sono molte studentesse di dottorato o post-doc bravissime. Poi, però, quando si sale di ruolo, la presenza femminile tende a diminuire e la competizione diventa prettamente maschile».
Antonietta Mira, direttrice del Data Science Lab USI. Ingrandisci la foto