«Coordinare? Non sempre
è una buona idea. L’innovazione
dev’essere un po’ anche "caos"»
Parla Lorenzo Ambrosini, direttore di Fondazione Agire. Il Ticino è al top in Europa, come capacità innovativa. Ma la cultura del rischio di impresa deve crescere. «L’innovazione è una fede: o ci credi, o non ci credi...» di Paolo Rossi Castelli
Nove persone fisse e un’amplissima rete di consulenti e di coach, più i collegamenti con Innosuisse, lo Switzerland Innovation Park e con altre reti svizzere votate al progresso tecnologico e commerciale: la spinta della Fondazione Agire, voluta dal Cantone per favorire l’innovazione in Ticino, nasce da qui, dalle atmosfere “spaziali” del Suglio Business Center di Manno, creato per ospitare una banca (l’UBS) ma da qualche tempo sede anche del “motore” dell’innovazione. Quel nome, Agire, è l’acronimo di Agenzia per l’Innovazione Regionale. «Ma in realtà “agire” è proprio la parola che ci rappresenta meglio - dice Lorenzo Ambrosini, direttore dal 2017 - insieme a un’altra parola: orientare».
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Dunque cosa può fare un’agenzia per l’innovazione? Come si muove?
«Può fare tanto - risponde Ambrosini. - Innanzitutto può presentare meglio la realtà scientifica e tecnologica ticinese, che è molto importante, ma ancora poco conosciuta al grande pubblico. Non dimentichiamo che l’anno scorso un rapporto della Commissione europea (Regional Innovation Scoreboard) ha inserito il Ticino - nella categoria Innovation Leader - all’ottavo posto in Europa fra le regioni più innovative, sotto solo a Zurigo in Svizzera, e comunque davanti a San Gallo, Losanna, Basilea. Abbiamo questa ricchezza, ma molte persone che vivono in Ticino, e ancor più fuori da qui, non lo sanno».
Non sarebbe opportuno unire le forze e creare una sorta di “marketing cantonale”, un’unica centrale di coordinamento, per collegare fra loro i vari istituti scientifici (USI, SUPSI, IRB, IOR, IOSI, IDSIA e molti altri) e far conoscere globalmente le eccellenze della Ricerca ticinese, come si fa già con le eccellenze del turismo, per esempio?
«No, “coordinare” non è sempre una buona idea nel nostro settore... L’innovazione comprende (deve comprendere) anche una componente di caos, per così dire. Se questa componente viene imbrigliata, si blocca tutto. Insomma: l’innovazione non si comanda. Succede. Anche per questo è difficile da comunicare».
E allora come ci si può muovere per promuoverla?
«A livello internazionale, e anche nella Svizzera italiana, si punta molto sui cosiddetti ecosistemi dell’innovazione (non sull’accentramento). Questi ecosistemi comprendono varie componenti: gli istituti universitari e di ricerca, lo Stato (con sostegni e agevolazioni), i finanziatori in grado di portare capitali, e naturalmente le persone con le idee innovative. Il nostro compito è proprio quello di aiutare queste “anime” dell’innovazione a mettersi insieme, dando un orientamento, supporto, triage».
Ci sono poi le reti svizzere, a cui siete collegati...
«Sì, ci aiuterà molto l’adesione allo Switzerland Innovation Park, un progetto nato per sostenere l’innovazione in Svizzera e per attirare aziende eccellenti dall’estero. Siamo stati accettati nel 2021, dopo un iter durato due anni, e adesso siamo nella fase dell’implementazione. Abbiamo dovuto sviluppare una lunga serie di dossier e sottoporli a una giuria designata dalla Fondazione che gestisce lo Switzerland Innovation Park a livello nazionale. Le valutazioni sono state molto attente e si sono soffermate sui parametri di eccellenza in Ticino (quali istituti ci sono, come funziona l’ecosistema ticinese, quanti sono i finanziamenti disponibili, e così via). Alla fine è arrivato il via libera ed è nato lo Switzerland Innovation Park Ticino, collegato direttamente a quello di Zurigo (ma in connessione, naturalmente, anche con gli altri “parchi” presenti in diverse città svizzere). Svilupperemo questo importante progetto tramite Centri di competenza tematici, che si basano sulle eccellenze del territorio: droni, Life Sciences, Lifestyle tech e altri».
Se ne parla da mesi ma, lo ammetto, non mi appare chiara la “natura” di questi Centri di competenza
«Devono diventare il luogo di incontro per iniziative, nate in Ticino, che siano eccellenze a livello internazionale. La Fondazione Agire avrà un ruolo attivo e aiuterà la imprese che entreranno nei Centri di competenza a cercare i migliori partner nel mondo, anche in Giappone o nella Corea del sud, se necessario, per promuovere queste “punte di diamante” ticinesi. Insomma, faremo da “trattori” per le aziende che si assoceranno a questi centri, e il Cantone interverrà anche con finanziamenti a fondo perduto, ma a due condizioni: le aziende dovranno portare anche fondi propri, e dovranno impegnarsi a rimanere nel nostro territorio».
Insomma, volete creare una sorta di club dell’eccellenza...
«Per certi aspetti sì. Vogliamo dare vita a un insieme di aziende e di strutture con una capacità innovativa molto alta, che facciano crescere il progetto e si alimentino a vicenda. Ogni centro sarà pensato anche come “scienza aperta” (open innovation): questa, almeno, è la nostra intenzione. Ogni azienda, insomma, manterrà i suoi obiettivi di crescita e di profitto, ma collaborando con altre imprese che hanno valori comuni. E la somma, in genere, produce risultati migliori dei singoli elementi. D’altronde, anche le altre città, o regioni, che aderiscono allo Switzerland Innovation Park si muovono in questa direzione, o cercano di farlo. E anche nella vicina Lombardia il MIND Milano Innovation District sull’area dell’Expo 2015 segue questa filosofia, sia pure in altre forme».
Avrete anche una serie di spazi “fisici” nel nuovo distretto dell’innovazione che nascerà sui terreni delle ex-Officine FFS a Bellinzona
«Si, avremo una nostra struttura, con sale riunioni e laboratori, che potremo affittare ad aziende innovative. Decideremo come usarla quando, nei prossimi anni, il progetto delle ex-Officine entrerà nella fase operativa. C’è già, comunque, una strategia».
Per adesso voi offrite alle startup i vostri spazi al Tecnopolo (nel Suglio Business Center)
«Certo, abbiamo una sede attrezzata per seguire, e anche ospitare, le startup che selezioniamo (ogni anno ci arrivano più di 200 progetti) e che poi seguiamo. In portafoglio ne abbiamo circa 100. Offriamo un’ampia serie di servizi di consulenza per aiutarle a decollare e anche (ma a pagamento) un ufficio: una sede che dà valore alle aziende, perché essere accolti al Tecnopolo significa essere stati valutati positivamente dalla Fondazione Agire. Tutto questo dà un valore aggiunto in più alle startup».
Poi c’è Boldbrain, sempre presso di voi...
«Boldbrain è un acceleratore, e dunque permette di compiere in pochi mesi il percorso che normalmente richiede anni a una startup. Vengono ammessi 20 progetti l’anno, e a ognuno offriamo 30 ore di coaching, 5 workshop, l’incontro con possibili investitori, ma anche un’attività di coaching gestita direttamente da noi. I vincitori della competizione finale ricevono premi complessivi per 200.000 franchi, fra cash e servizi, e ottengono lo “status” giuridico che permette, a chi investe nella loro azienda, di avere agevolazioni fiscali».
Ma voi non vi occupate, in realtà, solo di startup
«È vero, aiutiamo anche aziende già affermate (ed è un settore molto importante per noi) nel cammino verso modelli sempre più innovativi, in vari modi: aiutando gli imprenditori nella ricerca brevettuale, per esempio, in collaborazione con l’Ufficio federale della proprietà intellettuale di Berna, o accompagnandoli nel percorso necessario per chiedere finanziamenti a Innosuisse.
Ma quello che ci preme moltissimo è anche diffondere nella Società (famiglie, scuole, istituzioni, su su fino alla politica) e non solo nelle aziende, la cultura dell’innovazione. Al di là del Tecnopolo e di altri strumenti, deve svilupparsi nell’intera collettività una crescita di questi valori: deve essere accettata di più, cioè, la cultura del rischio (l’idea che non tutti gli investimenti possano andare a buon fine). Altrimenti per gli imprenditori sarà sempre più difficile muoversi in una società che vuole troppe garanzie. L’innovazione è una fede: o ci credi, o non ci credi...»