CLINICA HILDEBRAND

Caccia agli "indizi" per capire
come riabilitare al meglio
i pazienti con Covid grave

Lunedì 28 marzo 2022 circa 6 minuti di lettura In deutscher Sprache

Studio coordinato dal viceprimario Paolo Rossi e dal medico assistente Valentina Barbieri. Le persone uscite dalla terapia intensiva richiedono tecniche riabilitative nuove, ancora in parte da mettere a punto 
di Monica Nardone

Problemi muscolari, respiratori, cardiovascolari, neurologici, nutrizionali, insufficienza respiratoria: sono solo alcune delle conseguenze delle forme gravi di Covid-19, in particolare dopo un ricovero in terapia intensiva, ma vi è anche il Long Covid, ossia una condizione che può insorgere o persistere per mesi dopo la guarigione clinica dalla malattia. Quest’ultima è caratterizzata da stanchezza eccessiva e spossatezza, affaticamento, mal di testa, affanno, depressione, problemi cognitivi, insonnia e dolori muscolari. 

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Se la fase acuta di  COVID-19 richiede un ricovero in terapia intensiva, i pazienti necessitano poi di riabilitazione per periodi prolungat,i e uno studio ha  provato a individuare i fattori cruciali che permettono di predire il grado di recupero di questi pazienti. Condotto presso le cliniche della ReHa Ticino, la rete che comprende la Clinica Hildebrand Centro di Riabilitazione Brissago e la Clinica EOC di Novaggio, lo studio è in attesa di essere pubblicato sulla rivista Archives of Physical Medicine and Rehabilitation e si deve al gruppo coordinato dal neurologo Paolo Rossi, viceprimario della Clinica Hildebrand, e da Valentina Barbieri, medico assistente della Clinica.

«Lo studio - spiega Rossi - è stato condotto durante la prima ondata, tra maggio e giugno 2020, quando ancora non c’era esperienza diffusa nella gestione dei pazienti, sia nella fase acuta che in quella riabilitativa. Di conseguenza, non era così scontato comprendere quali difficoltà avrebbero trovato i pazienti in riabilitazione, perché si presentavano in prima battuta come altri pazienti che arrivavano dalla terapia intensiva con esiti di altre gravi patologie, come lo shock settico o la sindrome da distress respiratorio. Ci stavamo in effetti confrontando con una nuova sindrome, causata da un nuovo patogeno, che coinvolgeva molteplici sistemi corporei». In pratica, in quel momento gli esperti non sapevano se i pazienti post-COVID nella riabilitazione si sarebbero comportati diversamente dagli altri e, in caso affermativo, non sapevano quali fossero gli elementi in grado di indicarlo. 

Questo studio, ha rilevato Rossi, «ci è servito per immaginare un percorso riabilitativo multidisciplinare, come facciamo per tutte le altre patologie. Questo significa capire quali possano essere le difficoltà intrinseche in quella patologia per cominciare a fare un lavoro il più possibile indirizzato. In poche parole, dovevamo capire se e quanto la riabilitazione post Covid dovesse essere gestita in maniera simile a quella di pazienti che affrontano la terapia intensiva a causa di altre malattie. La risposta è probabilmente che dobbiamo considerare alcuni fattori come specifici della malattia da Covid». 

I pazienti coinvolti nello studio sono stati 52, di cui 39 maschi e 13 femmine, con età media di 67,2 anni, e sono stati sottoposti a riabilitazione intensiva neuromotoria e cardiorespiratoria. La maggior parte di loro, spiega Rossi, «aveva un’elevata disabilità iniziale dopo una forma severa di malattia da Covid, ovvero quasi tutti erano costretti a letto, presentavano piaghe da decubito ed erano impossibilitati a camminare. Molti avevano ancora la cannula tracheostomica, posizionata per la ventilazione durante la degenza in terapia intensiva. Molti avevano anche  problemi di malnutrizione, ed erano alimentati tramite  sonda PEG (Gastrostomia Endoscopica Percutanea), un catetere che viene posizionato a livello dello stomaco attraverso la cute».

Per identificare i possibili fattori capaci di predire il risultato della riabilitazione nella malattia da Covid grave, gli esperti hanno dapprima preso in considerazione diversi parametri clinici e di laboratorio per “fotografare”  il quadro  iniziale. In particolare sono stati valutati la forza muscolare, il grado di compromissione cardiorespiratoria, il grado di compromissione nutrizionale e altri parametri funzionali e di laboratorio che aiutassero ad allargare lo spettro possibile delle valutazioni iniziali, in modo da vedere quali fossero i fattori favorevoli a una riabilitazione. Queste valutazioni sono state inserite in un contesto più ampio, che teneva in considerazione anche il carico di patologie pre-esistenti alla malattia da Covid, in termini di numerosità e gravità.

«Questo approccio – sottolinea Rossi - è stato utilizzato per immaginare in anticipo quale sarebbe stato il risultato finale del trattamento riabilitativo. In pratica, se avessimo trovato che l’alimentazione era un problema rilevante per quanto concerneva il potenziale recupero del paziente, il primo punto su cui lavorare sarebbe stato l’aspetto nutrizionale, appunto, in modo da calibrarlo rimodulando il lavoro riabilitativo in funzione di quell’elemento. Abbiamo fatto un lavoro globale per rispondere a questa domanda iniziale: se ci capita ancora di dover fare una riabilitazione nelle persone con gravi forme di malattia da Covid, dobbiamo prestare attenzione a qualcosa in particolare che ci aiuti nel percorso riabilitativo?»

In questo modo la ricerca ha individuato quattro fattori che sono predittivi, ossia indicatori, del risultato della riabilitazione di questi pazienti: la compromissione della forza muscolare, lo stato nutrizionale, la presenza di comorbilità, cioè la coesistenza di più malattie in una stessa persona, e – prevedibilmente - la compromissione della funzione respiratoria. 

Fra gli elementi più interessanti e informativi rispetto alla prognosi riabilitativa emersi da questo studio, ha rilevato Valentina Barbieri, c’è «la capacità di questi pazienti di effettuare atti motori abituali in autonomia: ad esempio passare dalla posizione seduta alla stazione eretta, prima ancora della capacità di camminare. In pratica questo elemento dava più informazioni, perché contemplava un aspetto di forza e resistenza muscolare ma anche un aspetto di controllo e pianificazione del movimento. A posteriori possiamo dire che il paziente in grado di alzarsi da solo (allora non lo sapevamo) è anche un paziente che ha un buon margine di recupero, anche se non è ancora in grado di camminare».

Anche il fattore nutrizionale è apparso cruciale nel recupero: «È fortemente correlato con lo stato funzionale e di conseguenza – aggiunge l’esperta - possiamo dire che è importante mantenere un aspetto nutrizionale corretto per favorire un recupero migliore». La ricerca ha evidenziato che anche la presenza di comorbilità pre-esistenti è un fattore che rallenta il recupero. Un altro aspetto importante, che ha dato lo spunto a un secondo studio in corso, “è stata la presenza costante - sottolinea Rossi - in tutti questi pazienti, di una compromissione di tipo psichico come effetto della malattia da Covid. Stiamo valutando il peso di questa compromissione sul recupero del paziente».