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Tumore della prostata:
una nuova via per vincere
la resistenza alle terapie

Lunedì 8 luglio 2024 circa 6 minuti di lettura
Cellule di tumore della prostata osservate tramite la microscopia elettronica a scansione (foto Shutterstock)
Cellule di tumore della prostata osservate tramite la microscopia elettronica a scansione (foto Shutterstock)

Riprogrammare le cellule cancerose "invecchiate" per fare in modo che non causino recidive: è la strategia messa a punto dai ricercatori del gruppo di Andrea Alimonti, utilizzando sostanze chiamate retinoidi
di Elisa Buson

Un criminale anziano non è necessariamente un criminale inoffensivo: magari non riuscirà più a gestire i suoi loschi traffici come un tempo, ma potrà sempre creare attorno a sé una pericolosa rete di malaffare da cui è meglio guardarsi. Lo stesso vale per alcune cellule tumorali che, nonostante l’invecchiamento precoce indotto dalle terapie, continuano a inviare pericolosi “pizzini” per mandare avanti i loro progetti illeciti. Riportarle sulla retta via per evitare recidive non è più un’utopia, grazie ai risultati di uno studio pubblicato sulla rivista Cancer Cell dal gruppo di ricerca di Andrea Alimonti dell’Istituto Oncologico di Ricerca (IOR, affiliato all’Università della Svizzera italiana e membro di Bios+), in collaborazione con l’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) e l’Università di Padova.

Lo studio, realizzato anche grazie ai fondi di Swiss Cancer League e del Fondo Nazionale Svizzero, ha visto in prima linea quattro giovani ricercatori: Manuel Colucci dello IOR, Silvia Bressan e Federico Gianfanti, ricercatori dello IOR e precedentemente studenti di dottorato presso il VIMM e l’Università di Padova, e Sara Zumerle, ricercatrice del VIMM e  dell’Università di Padova.

«La senescenza delle cellule tumorali, invecchiate per effetto di chemio e radioterapia, ha una doppia faccia che conosciamo da anni: all’inizio agisce come un freno bloccando la progressione del tumore, ma col passare del tempo può indurre resistenza alle terapie favorendo lo sviluppo di recidive» - spiega il professor Alimonti. Ciò accade quando le cellule senescenti non vengono efficacemente eliminate dal sistema immunitario e finiscono per accumularsi nei tessuti, producendo molecole pro-infiammatorie che favoriscono la ripresa del tumore.

Per anni il lavoro dei ricercatori si è focalizzato sullo sviluppo di terapie mirate a distruggere queste cellule, ma col tempo si è aperta anche un’altra strada percorribile: quella della loro riprogrammazione, mediante farmaci che modulano la senescenza bloccando la produzione di molecole pro-infiammatorie.

Si tratta, in poche parole, di convertire alla “legalità” questi malviventi cellulari affinché smettano di tessere le loro trame occulte a favore del tumore. Per convincerli bisogna però trovare le “parole” molecolari giuste: i ricercatori le hanno cercate passando in rassegna circa 90.000 composti mediante un ampio screening chemogenomico, ossia condotto a cavallo tra la chimica e la genomica. Alla luce dei risultati, hanno deciso di puntare tutto sui retinoidi, ovvero gli agonisti del recettore dell’acido retinoico, già impiegati in clinica contro le leucemie. «Abbiamo scoperto che questi farmaci bloccano la crescita delle cellule tumorali inducendo una senescenza positiva, perché stimolano la produzione di molecole che attivano l’immunità innata contro il tumore. Combinandoli con le terapie tradizionali, diventa dunque possibile trasformare la senescenza da negativa a positiva» - racconta Alimonti.

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Per valutare il potenziale di questa strategia, i ricercatori hanno esaminato oltre 3.000 tumori della prostata, scoprendo che le loro cellule sono in effetti sensibili ai retinoidi, perché hanno «un deficit metabolico nella via di produzione dell’acido retinoico», come spiegano Colucci, Bressan,  Gianfanti e Zumerle. I test di laboratorio hanno poi dimostrato che «la combinazione dei retinoidi con il chemioterapico docetaxel ha un effetto sinergico nell’inibizione della proliferazione tumorale. Inoltre, i nostri studi hanno approfondito gli effetti della combinazione di adapalene, un agonista dei recettori dell’acido retinoico di terza generazione, con docetaxel sul coinvolgimento del sistema immunitario nel combattere il tumore, dimostrando che questa specifica combinazione non solo potenzia l’effetto antitumorale di ciascun farmaco, ma attiva anche una risposta immunitaria antitumorale mediata dalle cellule NK» - aggiunge Sara Zumerle.

Le cellule NK, ovvero i linfociti Natural Killer, sono dei guardiani del sistema immunitario in grado di uccidere le cellule infettate dai virus e quelle tumorali. «Per questo da anni si cerca il modo di sfruttarle per mettere a punto nuove terapie anti-cancro - ricorda Alimonti. - Il fatto che la loro azione venga potenziata dalla somministrazione congiunta del chemioterapico con i retinoidi, potrebbe aprire scenari inediti. Prendiamo per esempio la nuova terapia antitumorale Car-NK, la quale prevede che le cellule NK vengano prelevate dal paziente, ingegnerizzate in laboratorio per armarle contro il tumore e poi re-infuse nel paziente stesso. Noi abbiamo pensato che la somministrazione del chemioterapico docetaxel con i retinoidi al momento della re-infusione delle cellule NK potesse migliorare l’effetto della terapia e così è stato: la sperimentazione su modelli animali ci ha dimostrato che questo mix consente di avere un maggior reclutamento delle Natural Killer e una loro maggiore attivazione. In pratica il tumore viene così eradicato completamente».

In attesa che nuovi studi possano confermare questi risultati ottenuti nel tumore della prostata, i ricercatori stanno già provando ad ampliare i loro orizzonti. Ritengono infatti possibile che i retinoidi possano riservare sorprese anche per altri tipi di tumore come «quello della mammella, dove è già nota l’alterazione del metabolismo dell’acido retinoico», puntualizza l’esperto. Ma le potenziali applicazioni potrebbero andare anche oltre l’oncologia.

I ricercatori dello IOR hanno infatti avviato una collaborazione con l’azienda farmaceutica svizzera IBSA Institut Biochimique SA per valutare l’efficacia di sostanze naturali analoghe ai retinoidi per bloccare la proliferazione delle cellule nell’ipertrofia prostatica benigna, una condizione molto comune che colpisce il 50% degli uomini di età compresa fra 51 e 60 anni, il 70% dei 61-70enni, per arrivare al picco del 90% negli ottantenni. I trial clinici saranno condotti in collaborazione con l’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, «con l’obiettivo di arrivare sul mercato entro pochi anni» - dice Alimonti, confermandosi ancora una volta come un vulcano di idee. Non a caso è stato appena insignito del Premio Cloëtta 2024, un prestigioso riconoscimento che ogni anno viene assegnato per sostenere gli scienziati svizzeri e stranieri che hanno dato un contributo di eccezionale importanza a specifiche aree della ricerca medica. Una grande soddisfazione, ammette Alimonti, «un riconoscimento ai tanti anni che ho dedicato alla ricerca sulla senescenza cellulare e l’immunologia dei tumori».

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