Bilanci

In espansione la SUPSI
ma si temono i tagli
dei finanziamenti federali

Venerdì 25 ottobre 2024 ca. 5 min. di lettura
Franco Gervasoni, direttore generale della SUPSI (foto di Eugenio Celesti)
Franco Gervasoni, direttore generale della SUPSI (foto di Eugenio Celesti)

Presentata la Strategia 2025-28. Cresce il numero degli studenti e dei progetti di ricerca. Se dovesse passare la proposta del Consiglio federale, la Scuola universitaria perderebbe 8 milioni di franchi all’anno 
di Paolo Rossi Castelli

La SUPSI cresce, e presenta bilanci molto brillanti, da tutti i punti di vista (numero degli studenti e dei collaboratori, incremento dei progetti di ricerca), ma deve fare i conti con il possibile taglio dei contributi federali per l’istruzione, la ricerca e l’innovazione, elaborato (insieme alle proposte di risparmi in molti altri settori) dal gruppo di esperti guidato da Serge Gaillard e fatto proprio dal Consiglio federale nell’ambito della “manovra” per il freno all’indebitamento. «A livello SUPSI rischiamo di perdere 8 milioni di franchi l’anno, su un bilancio totale di 149.3 milioni - ha spiegato Giovanni Merlini, presidente del consiglio SUPSI, durante la presentazione della strategia di sviluppo della Scuola universitaria dal 2025 al 2028. - Se i tagli verranno confermati dall’Assemblea federale, dovremo ridurre inevitabilmente le nostre prestazioni e i nostri servizi. Ma questo vorrebbe dire rimettere in discussione il lavoro svolto dalla SUPSI negli ultimi vent’anni».

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Il Consiglio federale, in particolare, ha proposto una "sforbiciata" del 10% ai contributi federali di base (60 milioni l’anno complessivamente per le Scuole universitarie professionali); una riduzione dei contributi alla mobilità (7 milioni l’anno); l’azzeramento dei sussidi vincolati a progetti (i cosiddetti PgB), a partire dal 2026 (32 milioni l’anno); la riduzione del 10% dei contributi federali a Innosuisse (l’agenzia svizzera per la promozione dell’innovazione) e al Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica (più in dettaglio, -32 milioni l’anno per Innosuisse, e -150 miilioni l’anno per il Fondo nazionale). Tutto questo, come dicevamo, “tradotto” in chiave SUPSI, porterebbe a un taglio di 8 milioni l’anno.

Attualmente la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana riceve il 45% dei finanziamenti dal Cantone, il 20% dalla Confederazione, mentre il restante 35% arriva dai ricavi relativi ai corsi di formazione, ricerche e servizi. La riduzione dei contributi federali e di quelli di Innosuisse penalizzerebbe anche le aziende, molto numerose, che si appoggiano alla SUPSI per consulenze di alto livello, relative ai progetti tecnologici più avanzati o ai sistemi di intelligenza artificiale, e finanziate in buona parte proprio da Innosuisse.

Il calo dei contributi federali metterebbe sotto pressione, inevitabilmente, anche i Cantoni, chiamati a sopperire, in qualche modo, alle minori entrate in arrivo da Berna. «Ma questo - aggiunge Merlini - rischierebbe di accentuare gli squilibri fra i (pochi) Cantoni con le finanze molto robuste, e gli altri, più fragili, in una lotta dannosa per l’”accaparramento” delle risorse, mettendo sotto ulteriore pressione il nostro federalismo». Merlini non nasconde le sue preoccupazioni, anche se è convinto che un ragionevole compromesso sui tagli sia ancora possibile, a livello parlamentare. La Svizzera è una delle nazioni più innovative e competitive al mondo: perdere questo primato, che genera una grande ricchezza al Paese, sarebbe un clamoroso autogol - aggiungiamo noi.

Non sembra una buona idea a Giovanni Merlini neppure quella di aumentare le tasse universitarie, per salvare i conti, discussa nei mesi scorsi dalle Camere federali e appoggiata dal Consiglio dei politecnici. «Anche questa scelta non sarebbe indolore - spiega il presidente della SUPSI - perché significherebbe raddoppiare la retta semestrale per i residenti e addirittura quadruplicare quella per gli stranieri. Ma l’esito di queste misure potrebbe non essere quello auspicato (ripianare i disavanzi), nel caso della SUPSI, se consideriamo la tipologia di molti nostri studenti, che devono lavorare per finanziare i proprio studi. Questi ragazzi potrebbero decidere di scegliere altre strade, e di non iscriversi più alla nostra scuola».

Ma al di là dei timori legati ai possibili tagli dei finanziamenti federali, la SUPSI ha preannunciato piani di sviluppo importanti, che riguardano vari settori nell’ambito dell’amplissima serie di attività gestite dalla Scuola universitaria (attività che spaziano dalla tecnologia alla sanità, dall’economia all’ambiente, passando attraverso il design, le costruzioni, il restauro, le arti, la socialità e la formazione degli insegnanti, oltre - naturalmente - alla formazione di base per 6’200 studenti, e a quella continua, per 4’500 persone). 

«Nei prossimi quattro anni punteremo molto sulla sanità - dice il direttore generale Franco Gervasoni - e in particolare sulle ricerche e sulle altre attività per consentire alle persone di invecchiare in salute. Questo è uno dei temi più importanti per noi, che ci muoviamo in un territorio, come il Ticino, con una forte componente di popolazione anziana. Vogliamo arrivare a 250 diplomati entro il 2030 nel settore delle cure, e “istituzionalizzare” gli infermieri di pratica avanzata, che potranno avere compiti anche prescrittivi, modificando gli equilibri ora presenti negli ospedali».

Un altro settore di punta sarà quello della “Baukultur”, cioè della cultura delle costruzioni, «con tanti progetti già avviati - continua Gervasoni - a partire da quelli per integrare i pannelli solari nei nuovi materiali edilizi». Ma anche l’armonica convivenza fra le persone, gli animali e l’ambiente avrà un ruolo di primo piano, con l’iniziativa “One health”. «Daremo un forte sviluppo, inoltre, alla robotica collaborativa - aggiunge Gervasoni - cioè ai robot costruiti per aiutare gli esseri umani nel loro lavoro». E l’elenco dei progetti potrebbe essere ancora lungo.
A nome di tutti, parlano i risultati ottenuti dalla SUPSI. «A un anno dalla laurea - dice Gervasoni - il 92% dei nostri laureati lavora o prosegue gli studi;  il 90% trova un impiego entro sei mesi; il 36% ha un contratto di lavoro prima del termine degli studi; l’83% lavora in Ticino; il 94% svolge una professione aderente agli studi». Difficile trovare un migliore biglietto da visita...