GEOTERMIA

Potenziato il BedrettoLab
nella profondità della montagna
per studiare calore ed energia

Martedì 7 giugno 2022 circa 6 minuti di lettura In deutscher Sprache

La galleria di servizio costruita per il tunnel ferroviario della Furka ospita un avanzato laboratorio dell’ETH. Ora, ai due chilometri già attrezzati per studiare i fenomeni geotermici, se ne aggiunge un terzo
di Valeria Camia

Sta procedendo in queste settimane l’allungamento e l’ampliamento del BedrettoLab, il laboratorio sotterraneo che il Politecnico federale di Zurigo (ETHZ) gestisce nella Finestra di Bedretto: la galleria, cioè, con l’ingresso in Ticino, che negli anni ’70 serviva per la costruzione del tunnel ferroviario di base della Furka, e che adesso, invece, viene utilzzata per studiare la geotermia e i terremoti. Attualmente la parte attrezzata della galleria si estende per circa due chilometri (dei cinque complessivi), ma nelle scorse settimane l’illuminazione è stata allestita anche in ulteriori 900 metri, e in questa parte “nuova” stanno arrivando i condotti di ventilazione e altre opere di consolidamento (i lavori dovrebbero concludersi verso la fine dell’estate). Nel frattempo verrà ampliata anche l’area-laboratorio, per studiare in modo sempre più preciso la ricchezza che le rocce sotto il tunnel contengono: acqua e calore, ovvero energia pulita. Una “fonte” rinnovabile, ma non facile da utilizzare.

Lo sviluppo della geotermia passa attraverso il progetto VALTER (VALidating of TEchnologies for Reservoir Engineering, finanziato dall’Ufficio federale dell’energia). Ma anche lo studio dei terremoti, come accennavamo, è al centro del lavori dei ricercatori del BedrettoLab, tramite i progetti FEAR (Fault Activation and Earthquake Rupture, un progetto Synergy del CER) e MISS (Mitigating Induced Seismicity for Successful Geo-Resources Applications, finanziato dalla fondazione Werner Siemens). E proprio nei giorni scorsi a Bedretto e ad Airolo si sono riuniti gli esperti dell’ETHZ, dell’università tedesca RWTH Aachen e dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Roma, per fare il punto su FEAR e sulle caratteristiche di questo laboratorio - il BedrettoLab - così avanzato e particolare, che si trova in quella che è la più lunga galleria delle Alpi senza copertura (cioè senza un rivestimento di cemento): una situazione privilegiata per esaminare al meglio la struttura geologica e le caratteristiche della roccia. Un laboratorio in cui, va sottolineato, i ricercatori devono muoversi, obbligatoriamente, con una speciale dotazione di sicurezza, un localizzatore personalizzato e un respiratore di emergenza - tenendo conto che “sopra” ci sono 1.500 metri di montagna...

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Cosa avviene nel tunnel? «In collaborazione anche con la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI) - spiega a Ticino Scienza il professor Domenico Giardini, direttore del consiglio di direzione del BedrettoLab - stiamo completando l’opera di “stimolazione” dei volumi di roccia sotterranea». Seguirà un periodo di cinque anni, durante i quali acqua calda e fredda sarà fatta circolare per vedere quanta energia è possibile stoccare e recuperare con cadenza mensile e annuale. Perché al BedrettoLab, come accennavamo, si studiano in particolare tecniche sicure per l’estrazione dell’energia geotermica.

Tutto iniziò nel 2019, come ci racconta Giardini: «Con la strategia energetica nazionale nel 2013, poi votata in legge, si è deciso di uscire dal nucleare (che ad oggi produce circa il 36% dell’elettricità in Svizzera) e abbracciare nuove forme energetiche rinnovabili. Tra queste c’è la geotermia profonda, che sfrutta la capacità della roccia di immagazzinare il calore interno della Terra (una circostanza che, tra l’altro, ciascuno di noi può sperimentare ogni qualvolta si passa ad esempio sotto il tunnel del San Gottardo e si vede il termometro salire). Man mano che si scende in profondità, abbiamo un innalzamento della temperatura di circa 25/30 gradi ogni mille metri, il che vuol dire che già a cinque chilometri di profondità si toccano temperature che sono sufficienti a produrre energia elettrica». 

Per estrarre l’energia geotermica si possono usare sonde geotermiche, perforazioni profonde oppure pozzi di acqua freatica (cioè sotterranea). Quest’ultima opzione è particolarmente ideale nel contesto geologico elvetico, dove le numerose sorgenti idrotermali (dunque acqua che circola naturalmente in profondità, all’interno di rocce sedimentarie) permettono di sfruttare la capacità che l’acqua ha, appunto, di assorbire e trasportare calore. Tuttavia queste acque non hanno temperature sufficienti per la produzione di energia elettrica. Si può allora pensare di far passare l’acqua più in profondità, attraverso rocce di basamento (ad esempio graniti), producendo artificialmente una serie di microfratture. Ma qui le cose si complicano. «In passato - ricorda Giardini - a San Gallo e nella regione di Basilea i lavori di iniezione e stimolazione della roccia per la realizzazione di una centrale geotermica nella zona hanno prodotto terremoti locali percepiti in superficie, provocando lo stop del progetto. Nella galleria di Bedretto facciamo ricerca e ci occupiamo di sviluppare tecnologie proprio per abbassare i rischi legati alla geotermia e poterli controllare. Iniettando piccoli volumi di acqua nella roccia, in pozzetti profondi centinaia di metri al di sotto del laboratorio, produciamo microeventi, di alcuni centimetri o millimetri, che non sono quindi percepiti in superficie ma che servono a identificare piccoli cambiamenti delle proprietà idromeccaniche della roccia. In altre parole, lavoriamo per comprendere quando piccoli eventi potrebbero diventare più grandi e disastrosi e quindi evitare che questi problemi si presentino».

E quando domandiamo se non si potrebbe condurre gli stessi test di sicurezza in laboratori più convenzionali, il geofisico chiarisce che a BedrettoLab non fanno geotermia profonda, la quale richiederebbe di lavorare a cinque chilometri di profondità senza però avere la possibilità di studiare da vicino i fenomeni prodotti. «Il BedrettoLab permette di evitare la separazione tra quello che si sperimenta nei centri di ricerca in superficie e quanto avviene in profondità - spiega Giardini. - Conduciamo esperimenti su un volume di roccia di trecento metri di dimensione, misurando con centinaia di sensori installati all’interno della roccia tutti i possibili parametri fisici e chimici, come pressione, temperatura, variazione delle onde sismiche, che permettono di capire come si frattura la roccia e il suo comportamento: in questa maniera, a grandezza naturale, a distanza ravvicinata e con tale grado di dettaglio non era mai stato fatto prima».

Tra le sfide maggiori, due sono impellenti, come sottolinea il professore. La prima riguarda la centralità della rete. Progetti come il BedrettoLab richiedono collaborazioni a diversi livelli, con gruppi industriali e università, presenti nel Paese e anche nel contesto europeo, cercando di evitare che più centri si concentrino sugli stessi esperimenti, e raccogliendo finanziamenti adeguati per condurre le ricerche con le migliori tecniche possibili, ampliando la zona di test.

La seconda sfida concerne l’accettazione della geotermia profonda da parte della popolazione. A quanti si interrogano sul futuro delle rinnovabili e chiedono evidenze, non basta spiegare che tutto il sottosuolo elvetico possiede una conformazione simile e quindi la geotermia può essere applicata da noi su larga scala. Ci vogliono prove. «I test condotti nella galleria di Bedretto - conclude Giardini - vanno nella direzione di sviluppare tecniche di iniezioni sicure e, così facendo, fornire risposte oggettive sulla sostenibilità della geotermia».