Bisonti, rinoceronti... Così
i grandi animali si sono estinti
per il mix clima-uomo

Al Museo cantonale di Storia Naturale l’ultimo appuntamento del Festival "L’Uomo e il clima", che nell’arco di 6 mesi ha portato a Lugano numerosi eventi per riflettere su un equilibrio sempre più a rischiodi Camilla Stefanini
Se non ci fossero stati gli esseri umani, dove oggi sorgono Como, Varese e Lugano potrebbero esserci bisonti, mammut, cervi giganti e forse anche rinoceronti. Creature colossali delle quali non rimangono che fossili, oggi esposti al Museo cantonale di Storia Naturale di Lugano, nell’ambito della mostra “La mano del clima e la mano dell’uomo - I grandi mammiferi estinti dell’Insubria”. Questa esposizione è la tappa conclusiva e riflessiva del festival diffuso “L’Uomo e il Clima”, sul rapporto tra l’umanità e il clima che cambia, cominciato a novembre 2024 e in chiusura il 18 maggio. La mostra sui grandi mammiferi estinti, tuttavia, inaugurata il primo marzo 2025, durerà fino a febbraio 2026.
In poco spazio l’esposizione racchiude molti reperti affascinanti e un potente monito: le estinzioni di questi grandi mammiferi del passato, spesso accelerate o causate dall’uomo, risuonano con la crisi climatica attuale. «Se l’Uomo non fosse giunto alla fine dell’ultima glaciazione, molti di questi giganti avrebbero avuto la possibilità di sopravvivere - afferma il paleontologo e curatore della mostra Cristiano Dal Sasso. - La nostra comparsa ha inferto il “colpo di grazia” a specie come il cervo gigante e i bisonti eurasiatici, già messi alla prova dai cambiamenti climatici naturali dell’Olocene (l’epoca geologica più recente, iniziata circa 11.700 anni fa, subito dopo l’ultima glaciazione del Pleistocene, ndr)».
La mostra al Museo cantonale di Storia Naturale ripercorre l’alternanza faunistica legata alle variazioni climatiche degli ultimi 200’000 anni. Durante le fasi glaciali, l’Insubria era popolata da specie adattate al freddo, come il bisonte (in Europa fin dalla terzultima glaciazione, con una presenza addirittura in Sicilia durante i picchi di freddo), e l’alce, prima che questo animale venisse respinto verso nord dal riscaldamento dell’Olocene, scomparendo dall’Italia circa 8’000 anni fa.
Tra i reperti esposti, spicca un manufatto eccezionale proveniente dall’età del rame: la base del palco di un cervo nobile (Cervus elaphus) intagliata per ricavarne una sorta di ascia da infilare in un manico di legno. Si tratta di una rara testimonianza dell’interazione precoce tra l’uomo e un’intera categoria di mammiferi che dominò il pianeta per centinaia di migliaia di anni. Un’impronta che, nel corso dei millenni, si fa sempre più marcata.
Attualmente siamo nell’Antropocene, un’epoca geologica dominata dall’impatto delle nostre attività sul pianeta: la deforestazione massiccia per far spazio all’agricoltura e all’urbanizzazione, l’inquinamento di aria, acqua e suolo, e soprattutto l’alterazione della composizione chimica dell’atmosfera attraverso le emissioni di gas serra, stanno innescando sconvolgimenti ambientali a scala globale. Nonostante il quadro allarmante, la mostra non si conclude con un messaggio di rassegnazione. «Siamo una specie intelligente - sottolinea Cristiano Dal Sasso - e grazie alla tecnologia abbiamo ancora la possibilità di mitigare il nostro impatto sul pianeta, prima di raggiungere un punto di non ritorno nell’inquinamento dell’atmosfera».
Molti dei reperti esposti sono stati concessi in prestito dal Museo di Storia Naturale di Milano e provengono dai depositi alluvionali del Po e dei suoi affluenti sudalpini. Le ossa, depositate nei "sabbioni" (le barre di meandro interne alle anse del fiume) continuano ancora oggi a emergere dalle acque, come racconta Cristiano Dal Sasso. La mostra è inoltre il prodotto di una collaborazione creativa con la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI), il cui Dipartimento ambiente costruzione e design ha curato l’innovativo progetto di allestimento.
Gianluca Bonetti Ingrandisci la foto
Oltre a questa mostra, il festival L’Uomo e il Clima ha portato altre 4 mostre, una conferenza-spettacolo e una rassegna cinematografica, in un intreccio originale di antropologia, arte, scienze della Terra e scienze naturali, cinema e fotografia. Nato sei anni fa da un’idea di Gianluca Bonetti, consigliere d’amministrazione della Fondazione Corriere del Ticino e fondatore dell’omonima associazione L’Uomo e il Clima, il festival ha coinvolto sette associazioni e istituzioni oltre al Museo delle Culture (MUSEC), tra le quali l’Associazione Trame e, come dicevamo, la SUPSI. «Ogni “ramo” di questo albero ha lasciato parlare realtà diverse - dice Bonetti, riferendosi ai vari eventi del festival. - Al museo cantonale sono gli animali che parlano, nelle mostre dei mesi passati era l’arte a parlare. Qui al MUSEC è l’uomo che parla».
LA MOSTRA AL MUSEC - L’esposizione al Museo delle Culture, curata da Gianluca Bonetti e da Nora Segreto (e aperta ancora fino al 18 maggio), è un viaggio a ritroso nel tempo, dalla fase attuale di riscaldamento globale fino all’ultima glaciazione, avvenuta tra 110’000 e 11’700 anni fa. È un percorso evocativo ricco di simboli, fotografie (molte delle quali scattate dallo stesso curatore), che documentano la cruda realtà della fusione inesorabile dei ghiacciai a cui oggi assistiamo. Il viaggio prosegue all’indietro nel tempo tra incisioni d’epoca e rappresentazioni pittoriche. Un’intera parete è dedicata a un’opera maestosa e inquietante dell’artista Carolina Maria Nazar, ispirata al diluvio universale. Ritroviamo anche qui reperti a testimoniare l’interazione tra l’Uomo e la megafauna (gli animali di grande taglia), e il precoce senso artistico di Homo sapiens, provenienti dall’Università di Tübingen (tra i quali una preziosa statuetta concessa in prestito soltanto in altre due esposizioni, a New York nel 1980 e a Londra nel 2000).
«Comprendere le dinamiche del passato climatico serve a capire il presente e a cambiare il futuro - continua Bonetti. - Siamo su una specie di Titanic: se il clima continuerà a cambiare, se la concentrazione di anidride carbonica non diminuirà e non raggiungeremo rapidamente la neutralità carbonica, si fonderà la calotta polare, il livello dell’acqua si innalzerà, gli esiti saranno disastrosi».
Nell’ultima sala il messaggio finale: anche l’Uomo oggi, come il Mammut in passato, si trova di fronte a una sfida epocale. Sarà in grado di affrontarla e sopravvivere?