Rivoluzione “radiomica” : così
le immagini diagnostiche possono prevedere il futuro del tumore
Grazie alla sovrapposizione di TAC e PET, e ad algoritmi sempre più sofisticati, è possibile non solo identificare la malattia (in particolare i linfomi), ma anche stimarne l’aggressività. Intervista a Luca Cerianidi Elisa Buson
Le immagini possono dirci molto di più di quello che appare a prima vista. Come nel memorabile film “Blow-up” di Michelangelo Antonioni, dove il fotoreporter Thomas scopre un omicidio sullo sfondo di alcune foto scattate in un parco pubblico a una coppia di amanti clandestini. Ingrandendo alcuni particolari sospetti, riesce a riconoscere un uomo con la pistola nascosto nella vegetazione e un cadavere steso a terra, ma via via che le immagini diventano sempre più grandi, i dettagli si fanno sfocati, rendendo difficile interpretare la realtà catturata dall’obiettivo. Lo stesso accade anche in medicina, dove le tecniche di imaging normalmente usate per la diagnosi dei tumori, come la Tac e la Pet, possono svelare l’evoluzione futura della malattia, a patto però di osservarle con le “lenti” giuste: quelle degli algoritmi e dei modelli matematici, come quelli che stanno mettendo a punto gli esperti dell’Istituto di Imaging della Svizzera Italiana presso l’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC).
Foto di Chiara Micci/Garbani Guarda la gallery (4 foto)
«Le immagini diagnostiche possono offrirci molte più informazioni di quelle che abbiamo ottenuto finora: dobbiamo solo trovare il modo giusto per estrarle», afferma Luca Ceriani, professore titolare alla Facoltà di Scienze Biomediche dell’Università della Svizzera Italiana (USI) e viceprimario della Clinica di Medicina Nucleare e Centro PET-CT dell’Istituto di Imaging della Svizzera Italiana presso l’EOC. «Grazie alle nuove tecnologie, le immagini diagnostiche radiologiche acquisite con la Tac o medico-nucleari con la Pet, sono composte da dati numerici che possono essere analizzati e interpretati in modo sempre più sofisticato grazie ad algoritmi e modelli matematici».
Questa analisi quantitativa delle immagini è approdata all’EOC da circa dieci anni: è infatti la chiave che permette di trasformare “fotografie” del presente della malattia in dettagliate visioni del futuro. Un vero cambio di paradigma, quello della cosiddetta “radiomica”, che sta rivoluzionando la medicina moderna. «Un tempo l’obiettivo era fare una diagnosi precisa, mentre ora – sottolinea Ceriani – abbiamo bisogno di ulteriori informazioni che ci aiutino anche a stimare la gravità e l’aggressività della malattia, perché in base a questi dati possiamo scegliere tra un ventaglio di possibili terapie quella che risulti più efficace e meno dannosa. Si va verso la personalizzazione del trattamento, per ottenere il massimo del beneficio possibile riducendo al minimo il rischio di effetti collaterali. Questo è particolarmente importante soprattutto quando ci troviamo a trattare pazienti giovani. In questi casi, ad esempio, la scelta di una chemioterapia più aggressiva che può compromettere la fertilità, oppure di una radioterapia nella regione toracica che può aumentare il rischio di tumore tardivo della mammella nelle donne, deve essere giustificata dalla necessità di curare una malattia a prognosi meno favorevole».
Fino a una ventina di anni fa queste valutazioni erano praticamente impossibili. L’occhio del medico poteva identificare la sospetta lesione tumorale solo in base alla sua morfologia, ad esempio con la radiografia e la Tac. Con l’avvento della Pet (la tomografia a emissione di positroni che evidenzia le cellule tumorali in base al loro consumo anomalo di glucosio) è stato possibile fare un passo avanti, valutando anche le caratteristiche metaboliche dei tessuti. «L’uovo di Colombo che ha poi cambiato la pratica clinica è stato l’avvento dell’imaging ibrido, che ha permesso di sovrapporre le immagini della Tac e quelle della Pet ottenute nella stessa seduta diagnostica, minimizzando anche il disagio per il paziente», continua l’esperto. «È un po’ come sovrapporre a una cartina topografica in bianco e nero con i confini di uno Stato un’altra cartina a colori che descrive per esempio la temperatura al suolo. Quello che facciamo noi è lo stesso: la Tac ci fornisce l’atlante anatomico del paziente, la Pet il dato funzionale e biologico che risulta più sensibile nell’identificare il tumore».
In questo modo i software riescono a fare molto più di quanto non possa fare l’occhio umano, perché operano in modo accurato e standardizzato, grazie a un approccio quantitativo e matematico. «Gli algoritmi possono estrarre migliaia di parametri: il nostro compito è individuare quelli che sono davvero utili per avere un quadro dettagliato della malattia», spiega Ceriani. Proprio in quest’ottica, l’EOC sta cercando di applicare sistemi di radiomica sempre più avanzati. «Per testare nuovi modelli predittivi e di analisi ci servono database solidi su cui basarci, con un numero adeguato di pazienti controllati: per questo sono fondamentali le collaborazioni internazionali come quella che abbiamo per i linfomi con lo IELSG (International Extra-Nodal Lymphoma Study Group) e il consorzio PETRA, guidato dalla VU University di Amsterdam», ricorda l’esperto. «Sempre nell’ambito dei linfomi, è molto proficua anche la collaborazione che abbiamo stretto con l’Istituto Oncologico di Ricerca (IOR) di Bellinzona: noi forniamo i dati dell’imaging e loro le analisi di genomica e proteomica dei tumori. La prossima sfida sarà infatti quella di sviluppare nuovi modelli predittivi basati sull’analisi congiunta dei dati ottenuti dalle immagini e dalle analisi molecolari e genomiche del tumore: così potremo studiare tutte le “facce” della malattia».