Prima lezione del corso USI, Enzo Grossi: «La cultura può allungare la nostra vita»
di Paolo Rossi Castelli
Prende il via lunedì 18 ottobre alle 18, nell’aula polivalente del Campus est di Viganello, il corso universitario sui rapporti fra Cultura e Salute, organizzato dalla Facoltà di scienze biomediche dell’USI, in collaborazione con la Divisione Cultura della Città di Lugano e IBSA Foundation per la ricerca scientifica. Tema della prima lezione, aperta a tutti (non solo agli studenti), è “Arte, cultura, salute e benessere. Il ruolo dell’arte e della partecipazione culturale sulla salute: una visione di insieme”. L’ingresso è libero e gratuito, e non prevede la necessità di una prenotazione. Le persone dai 16 anni in su dovranno però presentare un certificato Covid e, naturalmente, indossare la mascherina.
Le lezioni saranno 7, una ogni lunedì (tranne il 1° novembre, festa di tutti i santi), fino al 3 dicembre. Ciascun incontro avrà un format simile, e innovativo rispetto alle classiche lezioni. Verrà introdotto e moderato dal professor Enzo Grossi, coordinatore del corso e autore del libro "Cultura e salute, la partecipazione culturale come strumento per un nuovo welfare” (Springer edizioni). Poi ci sarà, dalla seconda lezione in poi, la relazione di un esperto “da remoto”, a cui seguirà un dialogo/dibattito fra altri due esperti presenti in aula. Alla prima lezione sono stati chiamati lo psichiatra Graziano Martignoni ed Emiliano Albanese, professore di salute pubblica all’USI.
Ma com’è nata l’idea di un corso così particolare, anche per quanto riguarda le modalità di partecipazione (un corso per gli studenti della Facoltà di scienze di biomedicina, come dicevamo, ma anche per gli altri cittadini)?
«Volevamo “aprire una finestra” su alcuni aspetti che in genere non vengono presi in considerazione nei corsi di medicina - spiega Grossi. - Agli studenti, di norma, si insegna a trattare le malattie (solo le malattie, dal punto di vista tecnico), senza considerare la persona nella sua totalità: il contesto familiare in cui vive, l’ambiente sociale, le aspirazioni, le paure, i desideri. Eppure sta diventando sempre più chiaro che quegli elementi sono fondamentali per lo stato di salute (in senso ampio) di un paziente. E anche l’esposizione alla bellezza e alla cultura ha un ruolo da considerare, come dimostra un numero crescente di studi scientifici in questo ambito (studi eseguiti applicando gli stessi criteri che si utilizzano, ad esempio, per la ricerca di nuovi farmaci). Sono state realizzate anche molte ricerche “osservazionali”, seguendo decine di migliaia di persone per lunghi periodi (anche vent’anni), e misurando con regolarità gli effetti di arte e cultura».
Può indicarci qualche esempio concreto?
«Come ha raccontato in modo convincente Daniele Finzi Pasca proprio a Ticino Scienza, il teatro può diventare una potente terapia. Ma esistono molti esempi di effetti benefici portati anche dalla danza-terapia, soprattutto nei malati di Parkinson. Mi piace citare anche quello che avviene in Canada e in Gran Bretagna: lì la frequentazione dei musei può essere prescritta, in certi casi, dai medici curanti, e i costi dei biglietti vengono rimborsati dal servizio sanitario. In Finlandia, invece, da ormai dieci anni è obbligatoria, quando una persona viene ricoverata in ospedale, la preparazione anche di un piano culturale (proposte di letture e di ascolto di brani musicali, o altro ancora), accanto alle terapie propriamente mediche. Per quanto riguarda la Svizzera, voglio ricordare uno studio interessante coordinato da Paolo Paolantonio, ricercatore del Conservatorio di Lugano, sugli effetti (positivi) della musica portata direttamente, da un gruppo di concertisti, nelle case di riposo per anziani. Ma la musica viene ormai usata anche negli studi medici in cui si somministra la chemioterapia (perché aiuta a ridurre la nausea), mentre numerosi ospedali si avvalgono di disegni e quadri, o altri tipi di immagini, alle pareti. Uno dei primi è stato il Sant’Anna di Torino, specializzato in ostetricia e ginecologia, con una serie di “murales”».
Perché, dal punto di vista biologico, l’arte e la cultura fanno bene, letteralmente, alla salute?
«Sono meccanismi molto complessi e non sempre chiari. In ogni caso, esistono sicuramente “attivazioni” epigenetiche: l’esposizione alla bellezza (musica, arte, e così via, a seconda delle persone), cioè, modifica l’espressione di certi geni (di certi tratti del codice genetico). Nello stesso tempo si assiste a un aumento delle connessioni fra le cellule nervose, con un incremento, fra le altre cose, della voglia di partecipare e una conseguente riduzione del senso di solitudine. Cresce anche la fiducia verso gli altri, e si attivano i neuro-ormoni che contrastano il cortisolo (l’ormone che viene prodotto dall’organismo in situazioni di stress). Attuare le proprie passioni dà appagamento, un senso di felicità, che a volte perdura. E l’essere felici, ormai è dimostrato, fa vivere più a lungo».
Non è facile, però, definire il livello di felicità...
«Adesso esistono vari sistemi per misurare gli stati d’animo: insomma, possiamo valutare in modo preciso la felicità, perché sono state sviluppate “scale” sempre più sofisticate, in grado di misurare lo sviluppo soggettivo. Fino a 20-30 anni fa, invece, la psicologia e la psichiatria si occupavano solo di chi stava male. Sono cambiate molte cose ed è mutato, in verità, il concetto stesso di felicità: siamo passati da quello “edonico” (momentaneo) a quello “eudaimonico”, per usare un termine coniato già dai filofosi dell’antica Grecia (la felicità con una prospettiva e un ruolo precisi, in cui inquadrare le esperienze appaganti e indirizzare una parte della propria vita, anche futura)».
La felicità, Lei diceva, allunga la vita...
«Sì, c’è una frase, in inglese, che sintetizza bene tutto questo: happy people live longer. Ma possiamo allargare l’orizzonte e dire che è anche l’alta partecipazione alle attività culturali e ricreative ad avere un potere in questa direzione: chi utilizza il tempo libero per nutrire le proprie passioni (cultura, ma anche divertimento) e partecipa a più di 80 attività/eventi/occasioni all’anno in questo ambito, allunga mediamente la vita anche di 10-15 anni, perché si sente più appagato e felice, appunto».
Quale potrà essere il prossimo salto in avanti?
«Nell’antica medicina cinese il medico veniva pagato se la persona non si ammalava. Insomma, non riceveva compensi per la “prestazione”, o per la terapia. Se venisse applicata anche da noi questa impostazione, sarebbe una rivoluzione!»