Il prestigioso Premio Balzan
passa anche dal Ticino
(dove è di casa dal 1956)
"Lectio" del paleontologo Jean-Jacques Hublin, premiato nel 2023. La Fondazione che gestisce il premio, uno dei più importanti in ambito accademico a livello internazionale, venne creata a Lugano 68 anni fadi Simone Pengue
Una serata in giacca e cravatta perché è un’occasione di prim’ordine, ma l’atmosfera restituisce il calore intimo di chi si conosce bene e condivide le stesse passioni da tanti anni. Ricerca, divulgazione, declinati in chiave italo-svizzera tra Milano e Zurigo con in mezzo, sia culturalmente che geograficamente, Lugano. È quanto hanno vissuto i partecipanti alla Balzan lecture 2024 (in italiano lezione Balzan) tenuta all’Università della Svizzera italiana (USI) l’11 settembre da Jean-Jacques Hublin, paleoantropologo onorato dell’omonimo premio nel 2023 dalla Fondazione Internazionale Balzan.
Le lezioni, presentate dai vincitori degli anni precedenti, si tengono una o più volte l’anno in Svizzera o in Italia, e sono organizzate congiuntamente dall’Accademia Svizzera delle Scienze e dall’Accademia dei Lincei, con l’obiettivo di raggiungere tutta la popolazione. Il Premio Balzan viene considerato uno dei maggiori riconoscimenti internazionali in ambito accademico e viene conferito ogni anno a quattro ricercatori, due in ambito umanistico e due scientifico. È solo una coincidenza che quest’anno la lezione si sia tenuta a pochissimi giorni dall’annuncio dei quattro vincitori del 2024: John Braithwaite per i suoi studi sulla giustizia riparativa, Lorraine Daston per lo studio della storia della scienza contemporanea, Omar Yaghi per le nanotecnologie per l’ambiente e Michael N. Hall, che lavora all’Università di Basilea, per i suoi studi sui meccanismi biologici dell’invecchiamento. Così, mentre una delle prime serate autunnali dell’anno calava umida su Lugano, nell’auditorium dell’USI si prestavano ad ascoltare attenti la lezione Balzan il vicesindaco di Lugano Roberto Badaracco, la rettrice dell’Università Luisa Lambertini, la vicepresidente della Fondazione Balzan Laura Laera e la segretaria generale Suzanne Wiedmar, assieme ad altre personalità del mondo accademico e istituzionale ticinese (nonché a qualche decina di appassionati).
Queste importanti presenze ribadiscono la stretta relazione tra la Fondazione Balzan e la città in cui la Fondazione stessa è nata, Lugano. E proprio nella città ticinese, a partire dal 2006, l’USI ha ospitato numerosi incontri legati al "mondo" Balzan, spaziando dalla filmologia al diritto internazionale, dalla crisi della democrazia liberale alla fisica quantistica, dalle frontiere dell’immunologia ai limiti della globalizzazione. Le collaborazioni coltivate negli anni «tengono vivo il legame profondo tra Lugano e la storia della Fondazione, concentrata (come l’USI) sull’attenzione alla scienza e alla cultura, al dialogo tra Zurigo e Milano, tra Berna e Roma» - spiega Giovanni Zavaritt, segretario generale dell’Università. L’istituzione ticinese può inoltre vantare uno dei suoi fondatori tra i vincitori del premio Balzan: Piero Boitani, insignito dell’onorificenza nel 2016 per i suoi studi sulla letteratura comparata.
La Fondazione Balzan ha inscritto il Ticino nel proprio DNA fin dalla sua creazione avvenuta, come dicevamo, a Lugano nel 1956, grazie all’eredità di Eugenio Balzan, giornalista del Corriere della Sera e poi imprenditore, costretto a emigrare in Svizzera (a Lugano, appunto), negli anni ’30, in seguito all’ascesa del fascismo.
«Tutti i presidenti hanno sempre voluto sottolineare il carattere italo-svizzero della Fondazione attraverso il Ticino - spiega Suzanne Werder. - Inoltre nel consiglio della Fondazione sono entrati diversi politici ticinesi, come Carlo Jelmini, Achille Casanova, Claudio Generali e Laura Sadis, che ne fa parte attualmente».
Formalmente, la Fondazione è divisa in due diversi organismi: mentre a Zurigo hanno l’ufficio i gestori del patrimonio, nella sezione “Fondo”, a Milano opera il nucleo “Premio”. Per cogliere l’importanza del Premio Balzan, basti pensare che la cerimonia di consegna dei riconoscimenti si tiene nella Sala del Consiglio Federale a Berna o al Quirinale di Roma, in presenza rispettivamente del Presidente della Confederazione o del Presidente della Repubblica italiana.
L’iter per scegliere i quattro ricercatori da premiare con 750’000 franchi svizzeri ciascuno (un importo molto elevato, comparabile a quello dei Nobel), la metà dei quali da utilizzare nella ricerca, è molto lungo, e parte con la scelta da un anno all’altro delle discipline nelle quali si cercheranno i più meritevoli. Più di duemila centri di ricerca di tutto il mondo inviano le loro candidature alla Fondazione, dove vengono attentamente valutate da una giuria di venti persone provenienti dall’ambiente accademico. I nuovi membri della commissione vengono eletti ogni volta che un posto diventa vacante. Nella giuria siedono anche rappresentanti dei due governi. Poi, pochissime ore prima dell’annuncio al pubblico che tipicamente avviene in settembre, i quattro vincitori ricevono la comunicazione dalla Fondazione.
«Mi è arrivata una mail un mattino mentre ero in ufficio, e al pomeriggio hanno fatto l’annuncio a tutti - ricorda col sorriso Jean-Jacques Hublin. - Non me l’aspettavo proprio, anche se mi era già giunta voce di essere stato nominato». Il professore del Collège de France ha ricevuto il premio lo scorso anno per “evoluzione umana: paleoantropologia”, la disciplina che studia come, quando e dove la nostra specie, l’homo sapiens, è emersa. Hublin ha il merito di aver scoperto in Marocco il più antico resto di un homo sapiens, risalente a 300’000 anni fa, e di aver contribuito notevolmente a quanto noi sappiamo sulla nostra origine. In particolare, durante la sua lezione Balzan, Jean-Jacques Hublin ha illustrato l’espansione del "sapiens" dall’Africa verso il resto del mondo, dapprima convivendo con le altre specie di ominidi e poi rimpiazzandole, compreso l’uomo di Neanderthal. «All’inizio - ha detto Hublin - è stata una migrazione volta a occupare tutti i territori abitabili, ma da un certo punto in poi la situazione è cambiata: a partire dal 50’000 A.C. l’homo sapiens ha iniziato spontaneamente a spingersi verso territori freddi e inospitali come la Germania, o a organizzarsi per attraversare l’oceano e andare in Australia».
Il professore si è distinto non solo per la ricerca, la direzione del Max Planck Institute per l’antropologia evoluzionistica a Lipsia (Germania) e la fondazione dell’European Society for the Study of Human Evolution (Società europea per lo studio dell’evoluzione umana), ma anche per l’insegnamento e la divulgazione. Racconta, infatti, con passione che «una volta le persone si sedevano attorno al fuoco e ascoltavano un anziano parlare dell’origine dell’uomo attraverso dei miti. A partire dalla metà dell’Ottocento, queste storie sono state rimpiazzate dalle spiegazioni scientifiche, e oggi ci sediamo nelle sale da conferenze ad ascoltare i ricercatori come me». Seguendo la sua lezione, in effetti, nasce spontaneamente un’infinità di domande, come se avessero un’origine atavica.