Sostenibilità

Occhi puntati sulla “smart energy”.
Ovvero, come usare meglio
l’energia con le tecnologie digitali

Venerdì 22 novembre 2024 circa 6 minuti di lettura
Illustrazione dell’agenzia Shutterstock, realizzata con sistemi di intelligenza artificiale
Illustrazione dell’agenzia Shutterstock, realizzata con sistemi di intelligenza artificiale

Intervista alla professoressa Silvia Santini (USI), che fa parte della Commissione federale per la ricerca energetica. Tramite gli smartphone è possibile monitorare i consumi e calibrare la fornitura di elettricità
di Valeria Camia

Per chi parla inglese, la parola “core” ha un significato traducibile, spesso, con l’espressione “la parte centrale o più importante e fondamentale di qualcosa”. Per chi abita in Svizzera o conosce bene questo Paese, invece, “core” - ma scritto in maiuscolo CORE - può essere usato anche con un’altra accezione. È l’acronimo di Commissione federale per la ricerca energetica, un organo consultivo del Consiglio federale e del Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni (DATEC). Si tratta di una Commissione che, pur senza decidere sul finanziamento di progetti specifici, ha tra le sue prerogative principali l’elaborazione del Piano direttivo della ricerca energetica della Confederazione.

Dal 2024 la CORE - costituita da quindici esperti (che sono nominati per quattro anni e includono esponenti del mondo economico, politico, amministrativo e scientifico, coinvolgendo anche rappresentanti delle Università, dei Politecnici Federali e delle scuole professionali universitarie) - conta tra i suoi membri la professoressa Silvia Santini della Facoltà di Scienze informatiche dell’Università della Svizzera italiana (USI).

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«Rappresento in primo luogo - spiega Santini - le Università svizzere, anche se insieme a me, nella Commissione, siede un osservatore di Swiss Universities (l’associazione che riunisce gli atenei elvetici, ndr) e ci sono altri esponenti dei Politecnici Federali. I membri di CORE vengono però scelti anche per rappresentare aree tematiche diverse: nel mio caso - precisa Santini - io copro l’area di Information and Communication Technology (tecnologie Informatiche e della Comunicazione, ndr). Nello specifico porto nella Commissione la mia esperienza nella ricerca sulla smart energy, ovvero sull’utilizzo delle tecnologie digitali per l’ottimizzazione energetica soprattutto nell’ambito degli edifici e abitazioni private». 

A questo proposito, è opportuno ricordare che Lei ha organizzato nel 2017 proprio a Lugano l’importante conferenza annuale Energy Informatics, co-finanziata anche dall’Ufficio Federale dell’Energia.

«Esatto. Questo mi ha permesso di entrare più a diretto contatto con l’Ufficio Federale dell’Energia. Devo riconoscere che anche in base a questo mio coinvolgimento, la Commissione ha valutato il mio dossier e ha fatto la richiesta della mia disponibilità per diventare membro di CORE».

Torniamo alla smart energy. Può farci qualche esempio di studi che ha condotto?

«Oggi una parte della mia attenzione accademica rimane ancorata all’interesse per le tematiche energetiche. Tra gli studi che ho guidato, vorrei ricordare quello sull’utilizzo della sensoristica (dai sensori sui telefoni cellulari a quelli presenti nei cosiddetti wearables, come smart watch, smart ring, auricolari, per fare qualche esempio), con l’obiettivo di capire il comportamento umano e utilizzare poi queste informazioni al fine di migliorare i servizi che possono essere offerti alle persone. Pensiamo solo al fatto che i dati dei sensori ci dicono quali utenti all’interno di un appartamento stanno utilizzando quale tipo di dispositivi; tutto ciò è molto utile per calcolare la curva di consumo energetico e poter proporre interventi mirati al fine di ridurre il consumo di elettricità» .

C’è una sinergia tra il piano direttivo della Commissione e i bisogni imminenti dell’industria?

«Imminenti ma anche a lungo termine. Questo è un importante aspetto: mentre i progetti finanziati da altri enti, come il Fondo Nazionale per la Ricerca, sono rivolti in particolare al mondo accademico, la Commissione CORE guarda anche all’industria (tuttavia sottolineo che un osservatore del Fondo Nazionale è sempre presente anche alle nostre riunioni). Concretamente penso ai programmi di finanziamento di Innosuisse allineati a quelle che sono le raccomandazioni di CORE e che sono finanziati o cofinanziati dall’Ufficio Federale dell’Energia». 

Parlare di energia oggi significa affrontare anche i temi della sostenibilità ambientale. Come giudica la situazione in Svizzera?

«Questo è un tema non solo di ricerca, ma forse più geopolitico. Si tratta di una questione molto complessa. Posso dire che dal punto di vista di CORE uno degli obiettivi è proprio focalizzato sulle energie rinnovabili, e in questo la Svizzera ha una serie di vantaggi, visto il suo territorio e la sua struttura che permettono di avere un’ottima disponibilità di energie rinnovabili (penso sia all’energia idroelettrica, sia a quella solare). Quindi c’è una spinta molto forte in quella direzione dal punto di vista della ricerca, per favorire un veloce inserimento di sorgenti “sostenibili” nel sistema globale di energia e permettere al Paese di avere, quanto più possibile, una certa indipendenza energetica. Per raggiungere questo scopo il ruolo della popolazione è cruciale. Per fare un esempio concreto, è importante aumentare la consapevolezza del fatto che per sfruttare al meglio i pannelli solari installati sui tetti delle abitazioni, gli elettrodomestici dovrebbero essere utilizzati per quanto possibile nelle fasce della giornata in cui l’energia solare è maggiormente a disposizione». 

Lei ha accennato alla situazione geopolitica: l’Unione Europea ha cercato di dare impulso alle rinnovabili e alla "Transizione verde", anche se le discussioni si sono un po’ arenate…

«Tra l’UE e la Svizzera, lo sappiamo, non ci sono accordi quadro soddisfacenti su questi temi, e per questo il nostro Paese viene un po’ visto come una sorta di corto circuito dagli  Stati confinanti. Ciò espone la Confederazione anche a potenziali rischi, nel caso soprattutto di carenza di energia, dovesse arrivare un inverno molto rigido o un cambiamento repentino e ulteriore della situazione geopolitica. Da questo punto di vista la CORE non può fare molto, nel senso che si tratta di questioni politiche, appunto».

Su un altro versante, com’è la questione della parità di genere nella Commissione e nel mondo accademico, scientifico, in Canton Ticino? 

«Devo dire che la rappresentanza femminile all’interno della Commissione federale per la ricerca energetica, per quanto non sia maggioritaria, è un dato: ci sono diverse colleghe, che provengono da diversi ambiti. E di questo mi rallegro, ma si potrebbe fare di più. Per quanto concerne il campo della ricerca universitaria - tanto più nel mio settore - in Canton Ticino rimangano delle disuguaglianze di genere. Purtroppo non siamo ancora vicino alla parità, benché la situazione stia migliorando.
Inoltre posso dirle che da quando sono all’USI, ho supervisionato quasi esclusivamente dottorande. Questo non perché le abbia selezionate di proposito. Piuttosto perché sono state le stesse studentesse che, dopo avermi contattata come referente per le tesi di laurea, aver letto i miei articoli, o aver seguito le mie lezioni, si sono candidate a lavorare nel mio gruppo, probabilmente sentendosi motivate anche dall’avere una donna come supervisore. Mi auguro fortemente che queste ricercatrici possano trovare adeguati spazi e contesti professionali, ma anche sociali, che permettano loro di conciliare la carriera e la sfera privata, come in una società moderna dovrebbe avvenire per chiunque lo desideri».