oncologia

Un mix di ricerca e clinica
l’arma più potente per curare
il carcinoma della prostata

Giovedì 15 settembre 2022 circa 9 minuti di lettura In deutscher Sprache
Silke Gillessen Sommer, direttrice medica e scientifica dell’Istituto oncologico della Svizzera italiana (foto di Loreta Daulte)
Silke Gillessen Sommer, direttrice medica e scientifica dell’Istituto oncologico della Svizzera italiana (foto di Loreta Daulte)

Il Ticino è diventato un centro di riferimento per questo tipo di tumore, con un’équipe di specialisti di livello europeo all’Istituto oncologico della Svizzera italiana e quattro gruppi di ricerca allo IOR di Bellinzona
di Paolo Rossi Castelli

Dopo avere raggiunto e consolidato, dalla fine degli anni ’90 a oggi, l’eccellenza nella ricerca e nella cura dei linfomi (i tumori del sistema linfatico), il Ticino è ormai diventato un centro di riferimento anche per quanto riguarda il tumore della prostata (il tipo di cancro, in Svizzera, diagnosticato con maggiore frequenza negli uomini). La prostata, lo ricordiamo, è una ghiandola a forma di castagna che si trova sotto la vescica e ha un ruolo molto importante nella formazione dello sperma (contribuisce per circa un quarto, producendo il liquido prostatico, che aiuta anche ad aumentare la motilità degli spermatozoi). In Svizzera l’incidenza dei tumori della prostata (circa 6’700 nuovi casi all’anno) è più alta rispetto a quella di altri Paesi vicini, come l’Italia, per motivi non ancora ben chiariti. La malattia, comunque, è guaribile, o quantomeno controllabile, nella maggior parte dei casi, ma c’è una minoranza di pazienti che non risponde alle terapie farmacologiche classiche, soprattutto a base di inibitori del testosterone, l’ormone che stimola la produzione degli spermatozoi ma dà anche una forte “spinta” alla maggior parte delle cellule prostatiche tumorali.

Il cancro della prostata va affrontato con un approccio globale (chirurgia, se indicata, radioterapia e, appunto, farmaci), ma la gestione di questo tipo di tumore non è sempre facile, per la complessità delle forme in cui si può presentare: alcune definite silenti, perché sono destinate a non svilupparsi e a non provocare danni particolari al malato, mentre altre, invece, possono manifestarsi con una gravità medio-alta, o diventare in certi casi anche molto aggressive. La diagnosi e la previsione di come evolverà la malattia (e dunque andrà affrontata) richiedono una notevolissima specializzazione ed esperienza da parte del team oncologico.

IL SALTO IN AVANTI - La “svolta” in Ticino verso terapie di eccellenza è stata favorita dalla presenza all’Ente ospedaliero cantonale di alcuni specialisti di grande valore, a partire da Silke Gillessen Sommer, arrivata due anni e mezzo fa allo IOSI (Istituto oncologico della Svizzera italiana) come direttrice medica e scientifica, dopo avere lavorato all’Università di Manchester (Gran Bretagna), all’ospedale cantonale di San Gallo e in altre strutture. La professoressa Gillessen è considerata una delle più importanti specialiste europee di questa patologia (una “key opinion leader”, come si dice in gergo) e ogni due anni organizza un congresso, l’Advanced Prostate Cancer Consensus Conference (APCCC), che ormai è diventato un punto di riferimento a livello internazionale (la prossima edizione sarà a Lugano nel 2024). Ma anche l’arrivo nei mesi scorsi - dall’ospedale San Raffaele di Milano - di Andrea Gallina, nuovo primario di urologia dell’Ospedale Regionale di Lugano, ha dato un rinnovato impulso alla clinica e alla ricerca. E la presenza, dal 1° settembre di quest’anno, di Thomas Zilli, nuovo primario del Servizio di radio-oncologia dello IOSI, in arrivo dagli Ospedali Universitari di Ginevra, ha rinforzato in modo importante il team (Zilli è considerato uno dei più qualificati esperti svizzeri della radioterapia applicata ai carcinomi prostatici). Ma l’intero staff  del “Centro prostata della Svizzera italiana” (EOC), in verità, comprende persone altamente specializzate nei vari aspetti dell’approccio alla malattia che ormai devono accompagnare la cura dei tumori: chirurgia, radioterapia, oncologia medica (farmaci e altre terapie), come dicevamo, ma anche radiologia, medicina nucleare, assistenza infermieristica specializzata. 

IL POLO DELLA RICERCA - Va poi sottolineata, naturalmente, la presenza a Bellinzona, ormai da 19 anni, dell’Istituto oncologico di ricerca (IOR), affiliato all’Università della Svizzera italiana, che ha ben quattro gruppi di studio dedicati al carcinoma prostatico, con una serie di collaborazioni, soprattutto per quanto riguarda l’immunoterapia, con l’Istituto di ricerca in biomedicina (IRB), sempre a Bellinzona. «È difficile trovare una squadra più forte in Svizzera sul tumore della prostata - dice Andrea Alimonti, direttore del laboratorio di oncologia molecolare allo IOR e professore all’USI e al Politecnico federale di Zurigo, con una solidissima fama internazionale. - L’intero staff, molto ben integrato, ha una competenza di livello europeo, con continue interconnessioni fra ricerca e clinica, seguendo un modello innovativo».
Il gruppo di Alimonti ha presentato al recente congresso dell’ESMO (European Society of Medical Oncology) a Parigi, che si è concluso a metà settembre, uno studio su un nuovo farmaco (definito CXCR2 inibitore) contro il tumore prostatico, ideato allo IOR e condotto insieme al Royal Marsden di Londra.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE - Anche Silke Gillessen Sommer ha partecipato al congresso, come protagonista di uno dei “Presidential Symposium”: gli incontri, cioè, in cui un esperto di chiara fama viene chiamato per commentare i risultati presentati da altri gruppi di ricerca. Nel caso della professoressa Gillessen, uno studio britannico condotto su 3’000 pazienti per capire se, e quando, è opportuno aggiungere la terapia ormonale (quella che blocca il testosterone) e la radioterapia di salvataggio (così viene definita) dopo l’asportazione chirurgica della prostata. «Sono situazioni che vediamo molto frequentemente anche in Ticino - spiega Gillessen Sommer - e la risposta richiede la valutazione di numerosi elementi, oltre a una grande esperienza, per fornire al paziente la terapia più efficace possibile senza esporlo a una tossicità inutile. Rispetto al passato abbiamo numerosi modi in più per caratterizzare le cellule cancerose (la mutevolezza di queste cellule, anche all’interno di uno stesso paziente, può essere estremamente alta e rende poi complicata la scelta delle terapie). Molte équipe di ricerca sono al lavoro nel mondo per migliorare e velocizzare la “tipizzazione” del tumore, anche con l’aiuto dei sistemi di intelligenza artificiale. A Bellinzona collaboriamo, in particolare, con il professor Felix Feng, dell’Università della California a San Francisco, che ha messo a punto un sistema molto efficiente e innovativo (e meno costoso), rispetto alle tecniche tradizionali (in pratica, rispetto ai test genetici completi e ad altri test di biologia molecolare, ndr) per individuare il “profilo” di ogni singolo tumore e prevedere come reagirà a determinate terapie. Questo metodo è ancora a livello di sperimentazione, ma i primi risultati appaiono molto interessanti, e stiamo pensando di utilizzarlo anche in Ticino, se verranno confermati».

A VOLTE È MEGLIO ASPETTARE - Nel caso del tumore prostatico è particolarmente complessa - dicevamo - la “lettura” delle caratteristiche delle cellule cancerose e della loro pericolosità. Ma c’è di più. «Per altri tipi di cancro, come quello del polmone - continua Gillessen - non ci si chiede quali pazienti dovranno essere trattati, e quali no, perché quasi sempre è necessario intervenire. Per il carcinoma della prostata, invece, si presenta a volte la necessità /opportunità della cosiddetta de-escalation (riduzione) dell’approccio terapeutico. In altre parole, dopo avere valutato con estrema attenzione le caratteristiche del tumore di un determinato paziente, si può anche decidere in alcuni casi molto selezionati di ridurre le terapie, o addirittura di non fare nulla e di rimanere in attesa, perché il tumore può rimanere fermo in quella situazione anche per anni». 

IL RUOLO DELLA RADIOTERAPIA - Nella cura del carcinoma prostatico un ruolo spesso determinante è anche quello della radioterapia, che si è evoluta molto rispetto al passato. «Durante gli ultimi anni - spiega Thomas Zilli - le tecniche sono diventate sempre più precise, a livello millimetrico. È migliorato anche il sistema per controllare la posizione del paziente, in modo che i raggi arrivino esattamente nel punto giusto, con i minori danni possibili ai tessuti sani vicini. Allo IOSI abbiamo un sistema di imaging (una risonanza magnetica con una serie di particolari sistemi di controllo) integrato alla “macchina” (l’acceleratore lineare) della radioterapia, per rendere il più possibile precisa la traiettoria, controllare la dose e verificare che quello che avevamo pianificato sia veramente stato eseguito. In pratica, per ridurre la tossicità. Non tutti gli ospedali sono dotati di questi sistemi. Una maggiore precisione permette anche di ridurre il numero delle sedute (per esempio, dalle classiche 8 settimane a 4), con risultati comparabili a quelli degli schemi classici». Perché altri ospedali non applicano questo sistema? «Perché richiede un investimento finanziario più elevato - risponde Zilli - e una capacità tecnica particolare, possibile solo se l’intero staff è stato preparato per questo (medici, tecnici, fisici)».

UN RITARDO DA COLMARE - Ma la scelta di puntare sulla ricerca e sulla cura del tumore della prostata, fra le decine e decine di altri tipi di cancro, era stata pianificata fin dall’inizio allo IOSI e allo IOR, o si è sviluppata per necessità, visto che il carcinoma prostatico è diventato uno dei tumori più frequenti fra gli uomini? «È stata una scelta precisa - dice Franco Cavalli, presidente della Fondazione IOR - perché il tumore della prostata appariva in crescita, anche per l’allungamento della vita media, ma le ricerche a livello internazionale erano in forte ritardo (30-40 anni) rispetto ad altre forme di cancro, come quello della mammella. Bisognava agire, e ci siamo impegnati in questo settore. Per anni ci è mancato, però, un partner clinico per gli studi di base sulla prostata. L’arrivo di Silke Gillessen ha permesso di dare un forte impulso alla collaborazione con lo IOSI, e devo dire che è ottima anche la collaborazione con la chirurgia dell’EOC, e con i clinici, i tecnici, insomma con l’intero staff. È la ricerca a fare da elemento di coesione fra i diversi specialisti che si occupano di carcinoma prostatico nel nostro cantone, e confermo: per la prostata, come per i linfomi, non c’è in Svizzera un gruppo così coeso come quello ticinese».

Aggiunge Carlo Catapano, direttore dello IOR: «Abbiamo ancora tantissimo da fare nella ricerca sui tumori della prostata, ma tantissimo è stato fatto, e adesso la sopravvivenza si è allungata molto anche nei pazienti più compromessi, con metastasi diffuse. Dobbiamo però capire, soprattutto, le ragioni degli insuccessi: perché su una minoranza di pazienti le terapie non funzionano? E perché alcune cellule tumorali della prostata si modificano fino a trasformarsi, per esempio, in cellule neuro-endocrine, che naturalmente non rispondono più ai trattamenti “classici”? Forse tutto questo dipende dal micro-ambiente in cui si sviluppa il tumore e anche dalle risposte del sistema immunitario. La sfida è aperta e noi, con i nostri quattro gruppi di ricerca e tutto il nostro impegno, ci siamo».

(Questo articolo è stato scritto per la rubrica Ticino Scienza pubblicata sul quotidiano LaRegione di Bellinzona)