neuroscienze

Misure super-precise dell’attività
dei muscoli per aiutare i pazienti
colpiti da un ictus cerebrale

Sabato 20 luglio 2024 circa 5 minuti di lettura
Un ambulatorio dello Stroke Center dell’ospedale Civico di Lugano, dove vengono curate le persone colpite da ictus (foto di Chiara Micci / Garbani)
Un ambulatorio dello Stroke Center dell’ospedale Civico di Lugano, dove vengono curate le persone colpite da ictus (foto di Chiara Micci / Garbani)

Progetto innovativo di Clinica Hildebrand, Neurocentro della Svizzera italiana e SUPSI. Tramite una tecnica chiamata elettromiografia ad alta densità si cerca di rendere più efficiente e "mirata" la riabilitazione
di Valeria Camia

Come si possono ottimizzare le terapie di recupero per i pazienti colpiti da un ictus cerebrale? Questa domanda è al centro di un progetto di studio ticinese, che utilizza un dispositivo innovativo per misurare con grande precisione i miglioramenti, o comunque le variazioni, dell’attività muscolare del paziente stesso, calibrando sulla base di questa “mappa” le terapie riabilitative. Il dispositivo acquisisce, per usare un termine tecnico, i “segnali elettromiografici di superfice ad alta densità”, che vengono poi rielaborati con tecniche sofisticate (l’elettromiografia, lo ricordiamo, è una tecnica che permette di valutare la salute dei muscoli e delle cellule nervose che li controllano: i motoneuroni. Questi neuroni trasmettono i segnali elettrici che determinano la contrazione dei muscoli, ma spesso vengono compromessi, quando subentra un ictus).
Dopo un periodo di ricerca iniziato già nel 2015 con la prima versione del dispositivo, e superata la prima fase di validazione tecnica e clinica su volontari sani, si è passati poche settimane fa (in giugno) alla fase di acquisizione e analisi dei dati misurati su persone in riabilitazione post-ictus

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Il progetto, che coinvolge pazienti seguiti presso l’Ente Ospedaliero Cantonale e la Clinica Hildebrand, è coordinato dal professor Daniele Allegri, direttore dell’Istituto Sistemi e Elettronica Applicata (ISEA) della SUPSI, e dal professor Alain Kaelin, direttore del Neurocentro della Svizzera Italiana. Collaborano, insieme a medici e fisioterapisti dell’EOC e della Clinica Hildebrand, ricercatori e ricercatrici della SUPSI. Tra queste, c’è anche Vanessa Arteaga, dottoranda presso l’ISEA, la cui tesi di laurea riguarda proprio l’acquisizione e l’implementazione di tecniche di elaborazione dei segnali elettromiografici rilevati sulla superfice della pelle (in alternativa alla tecnica invasiva che prevede l’inserimento di aghi nei tessuti).
Un’attenzione, quella di Arteaga per l’apprendimento automatico, l’elaborazione dei segnali e la robotica applicata al corpo umano, che la accompagna dai tempi del bachelor e master in Colombia, dove ha studiato le applicazioni dell’elettronica in ambito medico, ad esempio per controllare gli arti.
«Già nella mia tesi di bachelor - ricorda Arteaga - ho cercato di classificare i diversi gesti della mano in una persona sana a partire dai segnali elettrici rilevati dai muscoli della mano stessa. Ora, nel progetto WP-SEMG (Wirless Portable and Multichannel Surface EMG), presso l’Istituto sistemi e elettronica applicata, condurremo uno studio longitudinale (ovvero diluito nel tempo) dei parametri neuromuscolari per comprendere meglio i meccanismi coinvolti nella riabilitazione post-ictus». 

Con il vostro dispositivo e i vostri algoritmi come sarà possibile comprendere l’adattamento del sistema neuromuscolare durante le fasi di riabilitazione?

«Il progetto - risponde Arteaga - si concentra principalmente sugli arti inferiori di persone che hanno bisogno di riabilitazione motoria dopo un ictus. In particolare, studiamo il muscolo tibiale anteriore. Il prossimo sviluppo delle nostre ricerche sarà focalizzato anche sulle persone con una paresi causata da un episodio di ictus. Nello specifico, durante il processo di riabilitazione i pazienti vengono monitorati a più riprese, iniziando immediatamente nella fase acuta per più di un mese (entro una settimana dall’ictus, dopo altre due settimane e dopo un mese). Parallelamente al monitoraggio elettronico, vengono valutati i progressi clinici. Analizzando i dati raccolti, ci si attende di riuscire a identificare una correlazione tra le informazioni raccolte dai sensori e il progresso clinico del paziente nel corso del tempo. In particolare, si andrà a monitorare il cambiamento dei parametri delle unità motorie, così da comprendere l’adattamento del sistema neuromuscolare durante le fasi di riabilitazione».

Ci può spiegare meglio le caratteristiche e il funzionamento del prototipo che avete sviluppato?

«Il dispositivo è un rilevatore elettronico wireless, che dispone di 256 elettrodi (quindi molti di più, rispetto ai dispositivi attualmente sul mercato, che hanno in genere un massimo di 64 elettrodi). Questo ci permette di raccogliere un gran numero di segnali in un’area molto ridotta, e tale caratteristica, chiamata high-density surface EMG, è decisiva per ottenere molte informazioni dai segnali superficiali raccolti sulla pelle. Oltre al dispositivo in sé, un ruolo importante lo svolgono anche le tecniche di analisi dei segnali, che consentono di individuare l’attività elettrica delle singole unità motorie».

Lei ha una formazione specifica nel campo dell’ingegneria. Com’è lavorare a contatto con un team interdisciplinare di medici, infermieri e fisioterapisti?

«Molto arricchente e stimolante. Ognuno ha una serie di compiti specifici e, per quanto riguarda l’interazione con i malati, io mi occupo di guidare il singolo paziente nelle varie attività previste dal protocollo e di gestire il sistema di acquisizione. Lavorare in modo interdisciplinare è cruciale per colmare quanto più possibile il divario tra la ricerca e la clinica, e credo che questo progetto contribuisca a farlo».