Manipolazione psicologica:
più nascosta della violenza fisica,
ma ugualmente pericolosa
A Lugano un incontro su un tema tenuto ancora troppo sotto traccia. Alcune ricerche sono state finalmente attivate, anche all’USI, per dare una definizione scientifica del problema e cercare rimedi efficacidi Monica Piccini
Ricatti, svalutazione e controllo del comportamento, dei pensieri e delle emozioni sugli altri per gratificare i propri bisogni. Come si fa riconoscere la violenza psicologica quando le ferite sono subdole e invisibili?
In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale (celebrata lo scorso 10 ottobre) e alla vigilia della campagna internazionale contro la violenza di genere (il prossimo 25 novembre), incentrata quest’anno sulla violenza psicologica, sabato 14 ottobre a Lugano si parla di “Manipolazione psicologica e salute mentale” nell’ambito di un convegno pubblico presso l’Aula Magna del Campus ovest dell’Università della Svizzera Italiana (USI), in via Giuseppe Buffi 13.
«L’idea del convegno - spiega Rosalba Morese, ricercatrice in psicologia e neuroscienze sociali all’USI - nasce dall’evidenza che non si parli abbastanza di manipolazione psicologica, un ambito di ricerca scientifica ancora poco approfondito. L’argomento nella vita quotidiana si presta, infatti, a varie, possibili interpretazioni, mentre è necessario partire da definizioni scientifiche internazionali per poter identificare una dinamica disfunzionale precisa, che non è evidente come la violenza fisica, ma che può causare gravi danni sia psicologici che fisici». Rosalba Morese è la coordinatrice dell’evento, organizzato dallo Sportello "USI in Ascolto", di cui è referente («uno spazio nato nel 2020, sempre aperto per tutta la comunità universitaria»), e dal Servizio pari opportunità, responsabile Francesca Scalici.
«La manipolazione psicologica - dice Matteo Angelo Fabris, psicologo dell’età evolutiva e ricercatore nel Dipartimento di Psicologia dell’università di Torino, nonché relatore del convegno - è stata classificata come una forma di abuso emotivo impercettibile (senza l’implicazione, cioè, di violenza fisica o forza) che tende a portare l’altro a modellare la sua identità sulle esigenze del partner, il quale non tiene invece conto della reciprocità. È una forma di abuso relativo all’identità (o identity related abuse, per usare la definizione inglese)».
La manipolazione psicologica può svilupparsi in tutti i contesti relazionali, tra genitori e figli, tra partner in ambito sentimentale e in contesti lavorativi, soprattutto se particolarmente competitivi, in cui le dinamiche di relazione sono già strutturate in una gerarchia di potere. «In ambito evolutivo - dice Rosalba Morese - uno dei rischi del controllo psicologico parentale (una forma di manipolazione) sta nello sviluppo, poi, negli anni successivi, di modelli relazionali disfunzionali che possono portare al fenomeno della violenza nelle coppie adolescenziali (teen dating violence), un tema caldo. Un raro studio del 2021 della Svizzera francese attesta che su 2000 partecipanti all’indagine, tutti tra i 15 e i 22 anni, il 9.1% delle femmine e il 5.5% dei maschi aveva sofferto di qualche forma di violenza nelle relazioni interpersonali». Più in generale, i meccanismi con cui viene esercitata questa forma di abuso vanno dal controllo alla svalutazione della vittima, dall’isolamento al disturbo post traumatico da stress. «Una delle ricerche di cui si parlerà nel convegno - prosegue Morese - riguarda il gaslighting (il nome deriva da un omonimo film del 1944), una forma di manipolazione psicologica, un vero abuso di chi nega o inventa la realtà facendo dubitare la vittima delle proprie percezioni e capacità».
La professoressa Roberta Di Pasquale, del dipartimento di Scienze umane e sociali dell’Università degli Studi di Bergamo, analizzerà le conseguenze di questa forma di abuso psicologico sulla salute psicofisica della donna. Perché da un punto di vista statistico è più probabile (nel 95% dei casi) che a subirlo sia una donna. Per capirne meglio la pericolosità sull’argomento verrà inoltre proiettato lo short film Io vivo per te di Rita Raucci, insegnante di Diritto a Caserta e attrice. Questo "corto" racconta in poco più di 6 minuti un rapporto come tanti, tra Marco e Giulia: una storia in cui nei ricordi, nei pensieri e nei silenzi di lei emerge la solitudine di una donna divisa tra il bisogno di condivisione affettiva e l’impoverimento del corpo e della mente, indotti dalla manipolazione psicologica insidiosa e costante di lui (il profilo del manipolatore, insieme a quello della vittima è presentato nella giornata del 14 ottobre dall’intervento della giurista e criminologa Roberta Schaller).
Chi subisce, spesso, non se ne accorge e non denuncia. E, anche quando lo fa, il reato è difficile da provare e l’abusante resta impunito. Qualche soluzione? «Le note positive - conclude Morese - sono legate ai progetti di divulgazione di cui parlerà tra le altre la formatrice ai diritti umani Elena Nuzzo, referente della Rete Convenzione di Istanbul, un trattato internazionale che mira a prevenire e combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica».
È importante sensibilizzare in modo che tutti possiamo riconoscere la manipolazione non soltanto per noi, ma anche per chi ci sta intorno. «Quando la Svizzera ha ratificato la convenzione di Istanbul - spiega Elena Nuzzo - ha riconosciuto l’obbligo per la Confederazione di introdurre a livello di legge il reato di violenza psicologica. Al momento, invece, questa forma di maltrattamento può essere riconosciuto solo nel contesto di altre forme di violenza, come quella domestica, fisica e sessuale, ma non in quanto tale. Servono quindi delle modifiche legislative, e in secondo luogo bisogna lavorare sulla formazione nelle aziende, nelle scuole, nei corsi di specializzazione (chi studia diritto a livello universitario deve sapere cosa implica la convenzione di Istanbul!) e soprattutto di chi lavora a contatto con le vittime, come il personale di Polizia e Magistratura. Per riconoscere le situazioni di violenza psicologica, ma anche per interagire con le vittime, perché sappiamo che colpevolizzarle o stigmatizzarle va a peggiorare il loro stato di sofferenza, procurando anche danni diretti».