formazione

Manichini "intelligenti", realtà virtuale, tavoli luminosi: sempre
più vera la medicina simulata

Martedì 14 novembre 2023 circa 7 minuti di lettura In deutscher Sprache
Pier Luigi Ingrassia (a sinistra), direttore scientifico del Centro Simulazione di Lugano (foto di Chiara Micci / Garbani)
Pier Luigi Ingrassia (a sinistra), direttore scientifico del Centro Simulazione di Lugano (foto di Chiara Micci / Garbani)

Al Centro Simulazione (CeSi) di Lugano si allenano ogni anno circa 4.000 studenti e professionisti provenienti da tutto il Cantone. In programma l’ampliamento della struttura, con nuove attrezzature e laboratori
di Elisa Buson

Salireste su un aereo sapendo che a guidarlo sarà un pilota alla prima esperienza con solo un paio di ore di volo alle spalle? In una simile situazione (ovviamente irrealistica) un po’ di ansia sarebbe più che giustificata, dato che l’esperienza conta molto quando si ha a che fare con la sicurezza delle persone. Come in medicina. Non a caso la speranza di ogni paziente che finisce sul tavolo operatorio è quella di capitare nelle mani di un super-primario dalla lunga carriera e non di un chirurgo alle prime armi. Per fortuna, oggi sono disponibili tecnologie innovative che permettono di perfezionare la preparazione di medici e sanitari ancor prima che arrivino al letto del malato. Per vederle in azione basta entrare al Centro di Simulazione (CeSi) di Lugano, una vera e propria “palestra” dove manichini automatizzati e simulatori digitali sono solo alcuni degli attrezzi con cui si allenano ogni anno circa 4.000 giovani studenti e professionisti da tutto il Cantone. Il CeSi è una struttura formativa inserita nel Centro Professionale Sociosanitario di Lugano del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (DECS), che collabora con altri enti pubblici e privati del Cantone Ticino.

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«Il nostro obiettivo è migliorare la qualità delle cure e aumentare la sicurezza dei pazienti» - spiega Pier Luigi Ingrassia, direttore scientifico del CeSi, già professore associato all’Università del Piemonte Orientale e direttore scientifico al Centro di simulazione SIMNOVA di Novara, e prossimo presidente della Società europea di simulazione (SESAM). Lo incontriamo al ritorno da un importante congresso in Italia, dove ha avuto modo di portare l’esperienza del CeSi, oltre che di sperimentare le tecnologie di ultima generazione che presto potrebbero sbarcare anche in Ticino. Come il “mediverso”, ovvero il metaverso che ricostruisce il mondo sanitario a metà tra reale e virtuale. «Basta indossare un visore per ritrovarsi subito catapultati a bordo di un’ambulanza o dentro una sala operatoria - racconta Ingrassia. - Ci si può muovere in uno spazio fisico che riproduce fedelmente quello reale, si possono usare strumenti e interagire con gli avatar dei colleghi, per mettere alla prova non solo le proprie competenze ma anche la capacità di comunicare e coordinarsi con il resto del team. Quello che manca ancora è la percezione aptica, cioè la componente tattile che è fondamentale per il nostro lavoro (ad esempio quando si tratta di inserire un laringoscopio nella gola del paziente per intubarlo), ma è probabile che in futuro sarà disponibile. Il metaverso diventerà così uno strumento prezioso per affinare l’addestramento del personale sanitario».

Oggi questa tecnologia stenta ancora a farsi strada nei percorsi formativi. «È vista con diffidenza da parte di molti istruttori e docenti che associano il virtuale al concetto di videogame e non certo alla formazione. Ma il messaggio che deve passare – sottolinea Ingrassia – è che le tecnologie per la simulazione in medicina non vanno a sostituire i tradizionali metodi di addestramento, bensì a completarli. Molti gruppi di ricerca stanno ancora studiando l’efficacia di questi metodi didattici innovativi per capire come impiegarli al meglio, ma è evidente che in futuro saranno sempre più utilizzati. Un po’ come già accade per i piloti degli aerei, che fanno ore e ore di simulatore prima di prendere in mano una vera cloche».
La simulazione permette, infatti, di riprodurre le situazioni tipiche che il sanitario si troverà ad affrontare nella quotidianità, ma anche circostanze più estreme e infrequenti, per cui è impensabile prepararsi affidandosi solo alla pratica sui pazienti. Prendiamo il caso di un’improvvisa e grave emorragia che si sviluppa durante un intervento: auspicabilmente un chirurgo non vedrà molti di questi casi nella sua carriera, ma qualora si dovesse verificare una simile evenienza, è evidente che averla già affrontata virtualmente durante delle simulazioni può dare una maggiore sicurezza e prontezza all’azione.

Al CeSi esistono diversi strumenti per la simulazione a seconda delle competenze che il professionista deve esercitare. Ci sono decine di “task trainer”, ovvero dispositivi sintetici che riproducono fedelmente parti anatomiche del corpo umano, per permettere al sanitario di sviluppare una specifica abilità manuale o procedurale: può usare, ad esempio, un finto braccio, per affinare la tecnica di posizionamento del catetere venoso, oppure un finto torso umano, per provare il massaggio cardiaco o mettere un drenaggio. «Grazie a questa “skilloteca”, ovvero questa biblioteca delle abilità, ci si può allenare individualmente eseguendo le procedure più e più volte fino a raggiungere uno standard di qualità - sottolinea il direttore scientifico del CeSi. - Così medici e infermieri acquisiscono manualità, mentre si riduce il rischio clinico per i pazienti veri su cui interverranno successivamente». 

Impressionano poi i simulatori a corpo intero, manichini che riproducono in modo realistico i diversi tipi di pazienti possibili, dalla donna gravida al neonato, dall’anziano alla persona con sindrome di Down. «Questi manichini - spiega Ingrassia - sono dotati di tecnologie più o meno avanzate che permettono di riprodurre condizioni fisiologiche e patologiche: possono respirare emettendo anidride carbonica, sollevare il torace, muovere gli occhi in risposta a stimoli luminosi e riprodurre suoni cardiaci e polmonari. Sono molto utili per allenare i team sanitari a gestire situazioni complesse: sappiamo infatti che la maggior parte degli errori in sanità sono dovuti a difficoltà nella comunicazione e nel coordinamento della squadra di lavoro».

Il CeSi fa spesso ricorso anche ad attori in carne e ossa che vengono appositamente addestrati a seguire un copione ben preciso che riporta pensieri, parole e azioni di pazienti veri con i più svariati problemi di salute. Talvolta possono anche indossare un corsetto o dei manicotti sulle braccia, per permettere ai sanitari di simulare manovre invasive. In questo modo non solo si esercitano le competenze manuali e procedurali, ma si cerca anche di umanizzare le cure, tenendo conto della condizione psicologica ed emotiva dei malati.

Nei laboratori del CeSi di Lugano ci sono poi vari dispositivi virtuali per simulare il monitoraggio dei parametri vitali, preparati biologici animali (destinati ad uso alimentare e comprati in macelleria, in modo da non dover sacrificare ulteriori esseri viventi sull’altare della scienza) per esercitare specifiche manovre invasive e perfino parti di cadaveri umani (usati raramente) per riprodurre le procedure nella maniera più realistica possibile.

«L’uso di tutti questi strumenti per la simulazione, ad oggi, è facoltativa e non obbligatoria per la formazione di medici e infermieri: il nostro obiettivo però – sottolinea Ingrassia – è quello di promuoverli al meglio affinché se ne faccia un uso sempre più diffuso e consapevole». Attualmente al CeSi si formano, come dicevamo, all’incirca 4.000 sanitari all’anno provenienti da ospedali, cliniche, università e scuole professionali di tutto il Ticino. Numeri destinati ad aumentare, visti i progetti di sviluppo che si stanno mettendo in cantiere. «È proprio questa prospettiva di crescita che interessa e motiva- racconta Ingrassia. - Stiamo lavorando per sviluppare ulteriormente il CeSi, con la ricerca di una nuova sede più grande, in cui avremo diversi laboratori di simulazione. Parallelamente stiamo anche coordinando un vero e proprio network di laboratori più piccoli distribuiti sul territorio, ad esempio presso la scuola specializzata superiore in cure infermieristiche o il servizio ambulanza, dove sarà possibile fare simulazioni più specifiche e a minor contenuto tecnologico. Grazie a questa evoluzione del CeSi – conclude il direttore scientifico - puntiamo ad avere ambienti clinici sempre più sicuri, migliorando la qualità delle cure, ma non solo. Apriremo la strada anche a trattamenti sempre più personalizzati, grazie a simulatori e gemelli digitali che in futuro permetteranno di riprodurre le caratteristiche specifiche del singolo paziente».