Il lungo cammino di Faggin,
genio dell’elettronica alla ricerca dell’origine della coscienza
Affollatissima conferenza del fisico che ha creato il primo micro processore e inventato il touchscreen. Intervistato da Marcello Foa, ha parlato della sua teoria sulla libertà e la coscienza insite nella materiadi Cesare Alfieri
Chi fosse capitato nella pagina che pubblicizzava l’avvenimento sul sito dell’USI, già da settimane avrebbe trovato un severo e inappellabile: “I posti per l’evento sono esauriti”. L’evento in questione era il secondo appuntamento del ciclo di conferenze "USI incontra". Dopo Jean Todt, lo scorso 1° ottobre l’aula magna del Campus Ovest di Lugano è stata infatti il trepidante palcoscenico del dialogo che Marcello Foa, docente USI e giornalista, ha intrattenuto con un personaggio di spessore globale: Federico Faggin.
Già mezz’ora prima dell’inizio ufficiale non si reperiscono più sedie libere e quando le luci calano, il vociare si interrompe per un’iniziale sequenza di diapositive a ripercorrere le tappe cruciali della vita di Faggin, ricordando a tutti che l’ospite atteso è portatore di un’esistenza eccezionale, di quelle che lasciano il segno, quelle per cui è lecito dire “se non ci fosse stato lui, il mondo sarebbe stato diverso”. Parafrasando, sono proprio queste le parole con cui lo omaggia Bill Gates quando afferma che prima di Faggin “la Silicon Valley era solo la Valley”.
Faggin parte da lontano: perito industriale di Vicenza col sogno di progettare aerei, si laurea con lode in fisica a Padova e, trasferitosi in California, diventa presto il protagonista più significativo della travolgente cavalcata dell’elettronica integrata tra gli anni ‘60 e i ‘90. È Faggin il padre dei transistor in silicio, è a lui che si deve l’invenzione del primo microprocessore e sempre sua è la paternità delle tecnologie CCD e touchscreen.
Faggin non è però solo un tecnico capace e un brillante inventore. Il fisico veneto sa diventare anche imprenditore di grande successo. È d’obbligo citare le due imprese più celebri da lui fondate: la ZiLOG, che commercializzò lo Z80 (uno dei microprocessori più impiegati di tutti i tempi, rimasto in produzione fino all’aprile di quest’anno) e la Synaptics, che contribuì in maniera determinante alla diffusione in massa del touchpad.
Foto di Nicolò Mantelli / Garbani Guarda la gallery (5 foto)
Alla vita da sogno di un Faggin che tramuta in oro ciò che tocca e che pensa, si aggiunga il matrimonio duraturo e "forte", e tre bei figli per completare il quadro di quello che appare come un successo travolgente secondo ogni parametro con cui normalmente siamo portati a misurare la felicità.
Eppure, l’ultra ottantenne Faggin, sempre sorridente, calmo e spiritoso, quasi interrompe Foa impegnato a elencare le sue molteplici conquiste per liquidarle così: «Quelle sono cose non importanti. Quello che faccio adesso è importante». Questo il commento a innescare la discussione che occuperà la maggior parte della serata.
Tutto comincia, ricorda Faggin, da una sensazione di malessere e scontentezza che lo assillava proprio negli anni più rampanti e di maggior successo: Faggin, che aveva realizzato tutto, faceva solo finta di essere contento. Questa consapevolezza sempre più scomoda spingeva Faggin alla meditazione, all’analisi e alla scoperta della propria coscienza, preparando un humus fertile a una notte decisiva, in cui avviene quella che Faggin descrive come un’eccezionale esperienza di risveglio. Ce la racconta Faggin, quella notte, a prima vista normalissima: sono le vacanze di Natale del 1990, passate con la famiglia sulle rive innevate del lago Tahoe, negli Stati Uniti. Faggin ha sete, si alza, beve un bicchiere d’acqua e torna a letto, dove si sente improvvisamente pervaso da un’energia intensissima. Le parole e la forza con cui Faggin cerca di raccontare all’USI questo ineffabile avvenimento riecheggiano le estasi dei mistici. In meno di un minuto Faggin esce cambiato. Da fisico puramente materialista che accettava acriticamente i dogmi dello scientismo, si risveglia in lui una forte consapevolezza: le formulazioni più assodate della fisica e della scienza non danno spiegazione alcuna della coscienza. Faggin si rende conto che lui stesso sbagliava quando, pensando che il corpo fosse solo una “macchina biologica”, si illudeva di poter creare un computer cosciente, consapevole di sé. Cita a proposito i fraintendimenti in merito all’intelligenza artificiale, che non potrà mai essere paragonata alla consapevolezza umana, a essa irriducibile (come recita il titolo di un libro dello stesso Faggin).
Da quella notte in poi Faggin prende gradatamente distacco dalle sue attività tecniche e imprenditoriali per dedicarsi all’introspezione. Eppure rimane pur sempre un fisico e a farsi strada in lui è la volontà di spiegare l’innegabile esistenza della coscienza alla luce di una teoria scientifica (e dunque, sottolinea più volte, falsificabile).
La sua ferma convinzione è che da materia incosciente non può svilupparsi coscienza: la coscienza deve essere insita nella materia, che deve allora fondarsi su un qualcosa che ha consapevolezza di sé ed è in grado di decidere autonomamente (coscienza e libero arbitrio sono per Faggin co-implicati).
Faggin trova nella fisica quantistica terreno fertile per costruire la sua teoria. Nella fisica dei quanti ci troviamo a dover accettare comportamenti apparentemente inspiegabili come l’inconoscibilità di uno stato fisico connesso al problema della misura: la misura modifica per sempre lo stato che noi volevamo misurare, di fatto rendendo impossibile conoscerlo per come era prima che lo volessimo osservare.
La soluzione che Faggin propone a riguardo è che i campi che determinano gli stati quantistici siano dotati di coscienza e libertà; la libertà sarebbe quella di decidere come palesarsi a seguito di una misura, ed è per questo che non riusciamo a determinarli con certezza a priori: semplicemente perché fanno quello che vogliono. Ma se alla base di tutto c’è un’entità libera e cosciente come il campo di Faggin, allora diventa logico far da lì derivare la nostra libertà e la nostra coscienza.
In Faggin si fa strada l’idea che l’Universo sia permeato da un’unica entità che lui chiama Uno (e non l’ha chiamato Dio per non cadere in fraintendimenti religiosi). Uno sarebbe la totalità dell’esistente, ciò che guarda ed è guardato. In quella famosa notte sul lago Tahoe Faggin racconta proprio di aver fatto esperienza di Uno, cioè di essere stato contemporaneamente il mondo e l’osservatore del mondo, di aver capito di essere la stessa cosa di tutto ciò che esiste.
Ci sono forti risonanze panteistiche in questo ultimo Faggin, rimbombano le idee di Giordano Bruno, riecheggiano concetti spinoziani, ma declinati con originalità nuova. Il rischio di farsi catturare dalla suggestione è elevato. Ma non si deve nascondere che le argomentazioni sembrano in alcuni punti ancora gracili e altri pensatori altrettanto insigni e brillanti (un Carlo Rovelli, per esempio) divergono oggi verso teorie e convinzioni antipodali.
Alla fine del dialogo rimangono comunque delle solide certezze. La prima è che se davvero Faggin riuscirà a dare rigorosa consistenza scientifica all’esistenza di campi fisici senzienti e liberi e se sarà capace di connetterli armonicamente alle formulazioni delle moderne teorie quantistiche, avrà certamente ragione nell’affermare che il microprocessore, i transistor, i touchpad e tutte le sue creazioni che hanno così profondamente modificato la nostra vita saranno il suo lascito di gran lunga meno importante.
La seconda è che il Faggin di oggi, così sicuro delle sue certezze, è un emblema di serenità e saggezza. Allo stesso tempo emana da lui la forza e il carisma etico che i mistici di ogni epoca si sono sempre portati appresso, assieme alla capacità di magnetizzare le folle. La stipata aula magna dell’USI che si tramuta in una selva di mani alzate al momento delle domande ne è viva testimonianza.
L’ultima certezza è che, anche se Faggin fallisse nel suo sogno di dare fondamento scientifico a libertà e coscienza quali elementi unificanti del tutto, rimarrebbe un successo enorme: quello di aver tramutato un uomo che faceva finta di essere felice in uno che lo è davvero ed è felice di raccontarcelo.