La ricerca scientifica? Non deve rimanere solo nelle città.
La montagna luogo ideale

Intervista a Leonardo Azzalini, responsabile dei settori Educazione e Territorio della Fondazione Alpina per le Scienza della Vita. Numerosi i progetti avviati, grazie anche all’associazione con la SUPSIdi Benedetta Bianco
Un progetto unico nel suo genere, nato per valorizzare una zona di montagna, la Valle di Blenio, creando posti di lavoro qualificati e portando le competenze dai grandi centri urbani in questa area alpina del Ticino. È partita da qui la storia ventennale della Fondazione Alpina per le Scienze della Vita (FASV) di Olivone, che unisce da una parte il laboratorio di medicina forense dell’Istituto Alpino di Chimica e Tossicologia (IACT), oggi diventato punto di riferimento in quest’ambito per tutto il Canton Ticino, e dall’altra la Scuola Alpina, nata per avvicinare giovani e meno giovani alla natura, alla cultura e alla storia delle Alpi.
«La Fondazione nasce inizialmente con una forte identità legata al mondo delle piante, grazie al laboratorio di fitofarmacologia che studiava le piante medicinali - racconta a Ticino Scienza Leonardo Azzalini, responsabile dei settori Educazione e Territorio della FASV, che è anche antropologo e geografo. - Questa scelta ha permesso non solo di riscoprire e promuovere i saperi tradizionali legati alla medicina naturale, ma anche di creare opportunità professionali altamente qualificate. Oggi quel laboratorio non c’è più, ma il progetto si è allargato per abbracciare tutta la sfera del vivente».
E vista la volontà di dimostrare che è possibile rallentare la fuga di cervelli dalle zone di montagna, e anzi restituire quella conoscenza alle comunità locali, era inevitabile per la Fondazione Alpina avvicinarsi ad altri centri di ricerca localizzati sull’arco alpino, come il Centro Biologia Alpina di Piora (CBA) e il futuro Osservatorio Astronomico di Gorda, in via di costruzione. Con questi sono già in piedi collaborazioni su installazioni espositive, sentieri tematici e mostre itineranti che coinvolgono anche la Scuola Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI). «Come altre realtà sparse sull’arco alpino - continua Azzalini - anche la FASV dimostra concretamente che è importante ridare un tipo di rilevanza culturale, economica e sociale al retroterra montano. Lavorare in rete con altri centri situati in quota è di certo uno degli obiettivi strategici. Prima la conoscenza veniva portata in città: perché, invece, non diffonderla direttamente sul territorio, valorizzando anche la cultura locale?».
La conoscenza e la curiosità per l’ecosistema in cui viviamo sono appunto al centro della missione di mediazione scientifica della Scuola Alpina, che vuole promuovere il dialogo tra scienza, natura e cultura. «Trasmettere queste esperienze ai più giovani è di particolare urgenza, perché oggi l’accesso alla natura non è per nulla scontato – sottolinea Azzalini – bensì influenzato da importanti fattori socioeconomici. In linea generale, si dovrebbe fare di più per garantire un libero ed equo accesso agli ambienti naturali, nell’ottica di garantire alle nuove generazioni l’opportunità di sviluppare una relazione più sensibile e consapevole con il vivente».
L’offerta proposta dalla Scuola è molto ricca: da laboratori didattici e soggiorni “scientifici” per i ragazzi, ai corsi per adulti, dagli eventi di team-building (costruzione dello spirito di squadra) per le aziende, alle attività per i più piccoli. La filosofia per tutti è mettere i partecipanti a diretto contatto con l’ecosistema alpino, un vero e proprio laboratorio naturale e culturale. «Le Alpi, infatti, sono ricchissime di habitat e specie – sottolinea il ricercatore. – Sono autentiche sentinelle del cambiamento climatico, nonché riserve fondamentali di risorse idriche».
La FASV riceve un contributo pubblico dal Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (DECS) per il ruolo di mediazione nella politica accademica cantonale, più altri contributi a progetto. «Per anni - aggiunge Azzalini - è stato il laboratorio di tossicologia a sostenere economicamente il progetto didattico».
Le peculiarità della Valle di Blenio non possono che favorire l’incontro con la natura: è soprannominata Valle del Sole e qui anche la viticoltura vanta una lunga tradizione. La sua posizione consente infatti alle correnti meridionali di risalire in profondità, e la stretta vicinanza con il clima più tipicamente alpino ha plasmato un ambiente molto particolare, caratterizzato da una grande varietà di specie, a partire da quelle vegetali: fino ai 1.000 metri circa troviamo, oltre alla vite, le latifoglie come il castagno. Più su arrivano faggio, betulla e abete bianco, mentre sopra i 1.700 metri dominano i più resistenti peccio, larice e cembro. Il limite superiore del bosco arriva intorno ai 2.100 metri: al di sopra si estendono le praterie alpine, con i pascoli che si spingono sino a 2.600 metri, il limite della vegetazione.
A queste si aggiungono le tantissime specie erbacee, molte delle quali hanno interessanti proprietà: l’elenco è lunghissimo, dall’Achillea millefolium, all’Arnica montana, dalla camomilla alla genziana. «Le vallate alpine sono come gigantesche farmacie» - commenta Azzalini. - L’ambiente, però, non è solo natura: è un ecosistema complesso e interconnesso, di cui l’uomo fa parte e in cui gioca un ruolo fondamentale in virtù delle sue capacità sia distruttive che costruttive. La sfida sta quindi nel riconnettere le scienze naturali con quelle umane e sociali: «Tutto sta – dice il ricercatore – in come misuriamo il benessere».
L’ASSOCIAZIONE ALLA SUPSI - Sulla conoscenza e la consapevolezza della natura si basa anche l’associazione alla SUPSI, iniziata nel 2023. Lo scopo è infatti collaborare su progetti congiunti legati all’educazione ambientale, allo studio e alla divulgazione scientifica, spaziando dal cambiamento climatico alla sostenibilità, dalle scienze della vita a quelle forensi, fino ad arrivare a progetti di citizen science: la scienza, cioè, che si realizza grazie al contributo dei cittadini. Le collaborazioni stanno coinvolgendo soprattutto il Dipartimento Formazione e Apprendimento (DFA), che si occupa della formazione degli insegnanti e della ricerca in ambito educativo, e il Dipartimento Ambiente, Costruzioni e Design (DACD), anch’esso impegnato in attività sia formative che di ricerca.
«Queste sinergie iniziali - spiega Azzalini - vertono su diverse tematiche di mutuo interesse. Con questi gruppi di lavoro vengono pianificati progetti di mediazione scientifica, tramite installazioni didattiche, mostre itineranti, percorsi inclusivi per le scuole in quota. Ad esempio uno dei progetti riguarda il nostro rapporto con la geologia, guardando ai minerali in una prospettiva evolutiva. Ritengo preziosi gli scambi di conoscenza tra i vari dipartimenti e, in più, l’associazione ci permette anche di sottoporre candidature congiunte ai bandi, ai quali la Fondazione Alpina da sola non potrebbe aspirare».
Scambi di conoscenza, dialogo e integrazione, fra le discipline e fra gli specialisti che vi lavorano, costituiscono dunque il nodo centrale sul quale converge la Fondazione Alpina per le Scienze della Vita. «In particolare – conclude Azzalini – se l’intento è quello di lavorare su alcune sfide epocali del nostro tempo, come il collasso della biodiversità, la crisi climatica, le crescenti ingiustizie sociali, economiche e ambientali, diventa fondamentale sforzarsi per provare a risanare, a rigenerare il nostro rapporto con la diversità».