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Nuovi orizzonti per identificare precocemente (già nell’infanzia)
i "segni" dei disturbi psichiatrici

Lunedì 11 novembre 2024 circa 6 minuti di lettura
Il parco della Clinica psichiatrica cantonale di Mendrisio (foto di Chiara Micci / Garbani)
Il parco della Clinica psichiatrica cantonale di Mendrisio (foto di Chiara Micci / Garbani)

Sul British Journal of Psychiatry il professor Andrea Raballo (USI) rilancia la psichiatria preventiva. «Va ripensata l’impostazione dei servizi dedicati alla salute mentale, in particolare per i giovani da 0 a 25 anni»
di Elisa Buson

A volte basta un sassolino per generare una valanga. E così può capitare che un disagio apparentemente insignificante in famiglia, nell’infanzia o nell’adolescenza, possa innescare un disturbo psichiatrico anche grave in età adulta. È per questo che la prevenzione deve cominciare fin dalla nascita, se non addirittura prima. Ne è convinto il medico psichiatra Andrea Raballo, professore della facoltà di scienze biomediche dell’Università della Svizzera italiana (USI) e direttore della ricerca e della formazione accademica dell’Organizzazione Sociopsichiatrica Cantonale (OSC).

A due anni dal suo insediamento in Ticino, Raballo sta provando a far germogliare il “seme” della psichiatria preventiva nella comunità scientifica, così come nelle istituzioni e nella società civile. «Per farlo non basta un semplice copia-incolla di programmi e strutture: bisogna creare una cultura, una mentalità condivisa», afferma lo specialista. «Avviare la ricerca in questo ambito non è come allestire un nuovo laboratorio con macchinari e personale: è un processo che richiede tempo, ma come risultato può portare a una forte accelerazione in termini di innovazione e sviluppo».

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Per dare impulso al dibattito, Raballo ha dedicato al tema un editoriale, recentemente pubblicato sulla rivista The British Journal of Psychiatry (edita dalla Cambridge University Press), in collaborazione con Michele Poletti dell’Azienda USL-IRCCS di Reggio Emilia e Antonio Preti dell’Università di Torino. L’articolo propone di ripensare l’architettura generale dei servizi dedicati alla salute mentale, focalizzandosi non solo sulla ricerca di indici biologici e di marcatori genetici, e sulla gestione delle crisi conclamate dei pazienti, ma anche sull’identificazione dei campanelli d’allarme che possono preannunciare la malattia con anni di anticipo. «La psichiatria preventiva deve diventare la stella polare per riorganizzare l’assistenza», ammonisce Raballo. «Dobbiamo prestare maggiore attenzione a quello che accade nell’età che va da zero a venticinque anni. Le malattie psichiatriche dell’adulto non sono sempre delle tempeste imprevedibili: spesso sono preannunciate da lampi che non notiamo o che sottovalutiamo». Anche perché talvolta compaiono in tempi non sospetti o addirittura prima della nascita, all’interno della coppia genitoriale.

Lo dimostra il progetto di ricerca europeo “Running in the family -Understanding and predicting the intergenerational transmission of mental illness”, avviato nel 2022 da un consorzio internazionale a cui partecipa anche Raballo insieme all’USI. L’indagine multidisciplinare, volta a chiarire i meccanismi di trasmissione delle malattie mentali da una generazione all’altra, sta già dimostrando come la genetica non sia l’unico fattore in gioco. Spesso ne subentrano altri, di tipo ambientale e relazionale, in grado di scatenare un vero e proprio effetto domino.

«A volte sono sufficienti degli aspetti subclinici per innescare la valanga», rileva lo psichiatra. «Se ad esempio entrambi i genitori presentano dei tratti di instabilità emotiva, come una spiccata irritabilità o una minore accoglienza empatica, può aumentare il rischio che i figli sviluppino sintomi depressivi già all’età di 4-6 anni, risultando più apatici, marginalizzati dai coetanei e meno gratificati dalle esperienze scolastiche. Una situazione che può trascinarsi negli anni se non addirittura peggiorare».

Per bloccare questa spirale «non servono interventi farmacologici: bastano piccoli interventi psicoeducativi sulla coppia genitoriale a rischio, una sorta di “airbag” per evitare che la nascita del figlio possa far esplodere le criticità della coppia», sottolinea l’esperto. «Per questo sono molto utili progetti come “Bebè a bordo” dell’Organizzazione Sociopsichiatrica Cantonale, che mira a prevenire e riconoscere gli eventuali disagi nel periodo antecedente e successivo alla nascita di un bambino, in modo da intervenire tempestivamente sia sui genitori che sulla relazione col neonato, nell’ottica di evitare disagi psichici futuri».

L’attenzione deve rimanere alta anche durante l’infanzia e l’adolescenza, età difficili in cui bisogna saper distinguere il normale travaglio legato alla crescita dal vero malessere psichico. La questione è diventata di grande attualità dopo la pandemia, ma secondo Raballo non bisogna pensare che i giovani siano diventati più vulnerabili alle malattie mentali rispetto al passato. «Casomai oggi è più facile che la loro domanda di aiuto sia riconosciuta in modo tempestivo», afferma. «La sofferenza giovanile c’è sempre stata: ora, però, abbiamo strumenti di comunicazione come i social che aumentano l’accessibilità a questi vissuti, un tempo confinati solo all’ambito familiare e amicale. Si parla più frequentemente di disagio psicologico non perché sia una moda, ma perché si è ridotta l’autocensura e allo stesso tempo si sono liberate risorse intellettuali e culturali per accogliere questo malessere in modo più sistemico e meno episodico. La sensibilità sta cambiando a livello globale».

Per affrontare il problema in modo concreto, però, non bastano interventi spot come la presenza dello psicologo a scuola, che per quanto utile non è sufficiente. «Bisogna mettere a sistema i contesti dove emerge la sofferenza giovanile, ovvero la scuola e gli altri ambienti di aggregazione come per esempio l’oratorio o il calcio», continua Raballo. «Inoltre si deve far crescere una cultura preventiva tra gli insegnanti, che talvolta scambiano situazioni di rilievo psicopatologico con problematicità comportamentali o apparente sottoperformatività scolastica».

Ovviamente anche i servizi di salute mentale devono essere organizzati diversamente per abbracciare tutto il percorso da zero a 25 anni, eliminando quella discontinuità tra la psichiatria infantile e quella dell’età adulta che cade proprio al compimento dei 18 anni, cioè nella fase più cruciale in cui «le malattie mentali sono nel momento più esplosivo», ricorda lo psichiatra.

Il Ticino, e la Svizzera più in generale, «presentano un grande vantaggio rispetto ad altre realtà come quella italiana: hanno già un percorso formativo dedicato alla psichiatria dell’età evolutiva, la cosiddetta pedopsichiatria, che facilita lo sviluppo di un’attenzione istituzionale al tema della salute mentale giovanile». Il futuro, conclude lo specialista, andrà costruito facendo rete, attraverso «le sinergie tra le istituzioni accademiche cantonali, il dialogo aperto con la società civile e le collaborazioni con le scuole e i reparti di pediatria, ginecologia e ostetricia».

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