Tecniche avanzate

La biologia? È una questione
di fisica, matematica
e intelligenza artificiale...

Venerdì 11 novembre 2022 circa 7 minuti di lettura In deutscher Sprache

Intervista ad Andrea Cavalli, group leader all’IRB di Bellinzona. Con sistemi innovativi è possibile identificare anche minime variazioni della forma delle proteine, che possono provocare tumori e altre malattie
di Agnese Codignola

Che cos’è la biologia strutturale computazionale? Che cosa studia questa disciplina, e a quale scopo? Bisogna partire da qui, dalle domande di base, per comprendere un tipo di attività di ricerca che negli ultimi anni è diventata imprescindibile, che ha avuto un enorme sviluppo, ma la cui denominazione può suonare misteriosa. E invece il laboratorio di Computational Structural Biology dell’Istituto di ricerca in biomedicina (IRB) di Bellinzona diretto da Andrea Cavalli - una laurea in fisica e poi un dottorato in matematica presso l’Università di Zurigo, seguiti da anni di perfezionamento al dipartimento di chimica teorica dell’Università di Cambridge, in Gran Bretagna - di misterioso non ha nulla, ed è sempre più parte integrante di ricerche traslazionali svolte in collaborazione con vari gruppi dell’associazione Bios+ e di altre realtà ticinesi che arrivano fino al paziente, così come di studi di base che aiutano a capire i meccanismi fisiologici e quelli patologici.

Spiega Cavalli: «Ogni essere vivente è costituito da biomolecole, ciascuna delle quali ha una forma specifica nello spazio tridimensionale. Questa forma, o per meglio dire struttura, è sensibile a tutte le variazioni che normalmente si determinano nell’ambiente, per esempio agli agenti chimici o fisici esterni (alla temperatura, al pH, agli agenti chimici e così via) e, in base a essi, cambia. A volte si tratta di mutamenti evidenti: per esempio, quando l’orientamento, che può essere verso destra o verso sinistra, si inverte. Ma molto spesso si tratta di variazioni estremamente piccole, per esempio su singoli atomi, su legami chimici, o su minuscole frazioni della molecola. Ma anche un cambiamento che può sembrare insignificante, nella realtà di un organismo complesso come il corpo umano, può provocare conseguenze catastrofiche: noi studiamo questi eventi».

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Fino a qualche anno fa, per capire esattamente la struttura per esempio di una proteina, si procedeva alla cristallizzazione, cioè si isolava e purificava la stessa fino ad averne quantità sufficienti a formarne dei cristalli: un procedimento spesso impossibile, e sempre lungo, indaginoso e costoso. Poi il cristallo si sottoponeva ai raggi X e l’immagine ottenuta consentiva di dedurre le caratteristiche strutturali (si pensi, per esempio, all’immagine forse più famosa di tutte: quella del cristallo di DNA chiamata 51, ottenuta da Rosalind Franklin nel 1952, che portò poi alla comprensione della struttura a doppia elica). In alternativa si usavano forme avanzate di microscopia, per ricerche sempre complesse e indaginose da portare a termine. Ora tutto questo è superato, grazie a competenze come quella di Cavalli e all’aiuto di programmi di intelligenza artificiale di sequenziamento rapido dei geni che riescono a svolgere parti cruciali di questo tipo di lavoro.
Ancora Cavalli: «I nostri studi si avvalgono di programmi (per questo la disciplina è definita computazionale) che riescono a fornire una prima struttura ipotetica della biomolecola di interesse partendo da poche informazioni quali, per esempio, una certa sequenza di aminoacidi in una proteina. Non occorre quindi più avere fisicamente la stessa, e questo rappresenta un enorme passo in avanti. Si tratta solo, si fa per dire, di un primo passo. Una volta dedotta la struttura, si passa alla parte di biologia più classica, in laboratorio, e si cerca di studiarne tutte le possibili variazioni». Quando è nota la struttura di una certa biomolecola, chiarisce l’esperto, è possibile studiarne le anomalie, come quelle causate da una mutazione nel gene che contiene l’informazione per codificarla, o quelle provocate da una perturbazione esterna. E a quel punto si possono anche mettere a punto i modi per correggerla, cercando di farla tornare alla normalità. Ancora Cavalli: «Quando conosciamo con esattezza il punto alterato, possiamo progettare farmaci che la blocchino, oppure che cerchino di contrastare gli effetti di quella “sbagliata” o, ancora, provare a somministrare, quando possibile, la molecola corretta. In altri casi tutto ciò può servire per una diagnosi precoce di una malattia che non ha ancora dato segni di sé, ma che potrebbe essere rallentata, contrastata o fermata per tempo, o per una conferma diagnostica». 

OCCHI PUNTATI SUL CORONAVIRUS - Negli ultimi mesi anche il grande pubblico ha imparato a comprendere che cosa significhi il cambiamento di zone anche molto piccole di una certa proteina, perché lo ha visto accadere molte volte in quella chiamata spike del coronavirus SARS-CoV-2. Quelle minuscole modifiche hanno dato vita a nuove varianti, e reso meno efficienti vaccini e anticorpi monoclonali. Anche Cavalli ha lavorato su SARS-CoV-2, anche grazie a un finanziamento del Fondo Nazionale Svizzero per la ricerca scientifica, come racconta lui stesso: «Abbiamo studiato la dinamica dell’evoluzione di un virus che si trovava a infettare per la prima volta un nuovo ospite, l’uomo, e cercato di anticiparne le mosse in base alla sua struttura e alle sue alterazioni, nel tentativo di scoprirne i punti più stabili, meno soggetti a variazioni. Il risultato sono stati anticorpi monoclonali diretti non contro un solo bersaglio, come accade di solito, ma contro due target della spike, entrambi in posizioni meno inclini alle mutazioni perché fondamentali per la struttura del virus. Studi di questo tipo aiutano anche a capire il comportamento generale del virus, i meccanismi dell’infezione e quelli attraverso i quali esso riesce a fare danni così estesi, e sono possibili perché tutto parte dal legame con i recettori delle cellule dell’ospite, fenomeno che provoca cambiamenti di struttura e innesca sulla la cascata di eventi successivi. La struttura, in altre parole, dice quasi tutto ciò che si deve sapere sulla funzione». Gli anticorpi bispecifici sono al momento in studio come terapie, da soli o in "cocktail" con altri farmaci, ma le ricerche del gruppo proseguono anche in altre direzioni, quelle percorse prima della pandemia.

LE APPLICAZIONI IN ONCOLOGIA - Uno degli ambiti nei quali ci sono state le collaborazioni più proficue è quello oncologico, grazie al lavoro fatto con il gruppo di Andrea Alimonti e di Carlo Catapano dello IOR. «Gli studi di struttura ci hanno aiutato a capire meglio il ruolo di un gene la cui versione alterata è presente in moltissime forme tumorali, chiamato PTEN - spiega Cavalli.  - Quando non presenta mutazioni, PTEN svolge il ruolo di oncosoppressore, cioè tiene a bada l’eventuale proliferazione anomala. Ma quando è modificato, non ci riesce, e lascia grande spazio alla crescita del tumore. Per questo, capire esattamente quali sono le alterazioni della struttura che lo portano a perdere la sua funzione è fondamentale tanto per la comprensione generale dell’evoluzione tumorale quanto per trovare farmaci specifici che blocchino la forma mutata».

GLI STUDI SULLE MALATTIE RARE - Un altro settore nel quale questi studi stanno dando un contributo impensabile fino a qualche anno fa è quello delle malattie rare, molto spesso supportate da anomalie nella struttura anche di una sola proteina e chiamate anche da “misfolding” cioè, appunto, da “cattiva ripiegatura” della proteina. È il caso, per esempio, dell’amiloidosi da catene leggere (delle immunoglobuline), una patologia che provoca l’accumulo, in diversi organi e tessuti, di fibrille di proteine, che può essere molto grave, e trae origine dalla ripiegatura sbagliata di una o più proteine dette amiloidogeniche (ne sono note più di 35). Cavalli sta studiando le forme che colpiscono il cuore in collaborazione con Lucio Barile, group leader del Laboratory for Cardiovascular Theranostics dell’Istituto Cardiocentro Ticino dell’Ente Ospedaliero Cantonale: una partnership che illustra, nei fatti, quanto gli studi relativi alla struttura possano essere vicini anche alla clinica, in un’ottica traslazionale. «Con Barile - sottolinea Cavalli - stiamo verificando alcune possibili molecole terapeutiche su colture di cardiomiociti (cellule del cuore) provenienti dai pazienti». 

LE PATOLOGIE NEURODEGENERATIVE - Infine, anomalie strutturali sono anche alla base di quasi tutte le patologie neurodegenerative come il Parkinson, l’Alzheimer e le malattie da prioni, nelle quali si formano proteine che non riescono più a essere degradate, e tendono perciò ad accumularsi, a precipitare e a formare placche.

Per quanto possa sembrare strano, c’è ancora tantissimo da scoprire nell’universo tridimensionale delle proteine e di ciò che le perturba. La fisica, la matematica e la chimica insieme all’informatica sono le chiavi di accesso a quel mondo, chiavi che completano e integrano quella più tradizionale della biologia.