Longevità

Malattia, o elemento
fondamentale della vita?
Le sfide sulla vecchiaia

Venerdì 5 aprile 2024 circa 6 minuti di lettura
(Foto dell’agenzia Shutterstock)
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Intervista a Vittorio Sebastiano, docente all’Università di Stanford, che ha partecipato al Lugano Longevity Summit. Studi per evitare che l’allungamento della vita si trasformi in un aumento della sofferenza
di Simone Pengue

Vivere a lungo, magari oltre i cent’anni. Avere le energie di uscire, uscire a camminare, incontrare gli amici, ridere con la famiglia e giocare coi nipotini. Insomma, invecchiare giovani. Infine, morire giovani, o meglio, morire in salute.  Un obiettivo quasi ossimorico, un’apparente contraddizione. Invece è possibile, sia pure a certe condizioni, come è emerso dal Lugano Longevity Summit, organizzato il 25  marzo a Lugano dall’associazione BrainCircle, con la partecipazione di esperti di respiro internazionale.
Non è facile, in verità, dare una definizione univoca di invecchiamento: un processo graduale e molto complesso, che riguarda il deterioramente dell’organismo a ogni scala, coinvolgendo tanto la singola cellula quanto il tessuto e l’individuo. Le nostre cellule, è vero, si rinnovano continuamente per tutta la vita nella maggior parte degli organi, ma con il passare degli anni diminuisce l’accuratezza dei meccanismi biologici che portano alla loro divisone, con una progressiva perdita di vitalità. In più, nel codice genetico si accumulano danni legati a quello che mangiamo e respiriamo, o ai campi magnetici, ai raggi ultravioletti, a sostanze inquinanti, anche al gas radioattivo (radon) presente in certi terreni. E gli effetti negativi dipendono dai punti del DNA che vengono danneggiati, e non riparati, dalle cellule.
I tessuti cominciano così a svolgere le proprie funzioni con minore efficienza, e il corpo mostra i segnali di invecchiamento che tutti conosciamo. «Si crea un circolo vizioso tra cellula, tessuto e organismo - spiega a Ticino Scienza Vittorio Sebastiano, uno dei relatori al Lugano Longevity Summit. - La vecchiaia biologica, in questo senso, è vista da molti scienziati come qualcosa da limitare e idealmente persino eliminare, non molto diversamente da come si farebbe, ad esempio, con una polmonite. Ma non è una malattia: possiamo definirla una sindrome» - intrecciata, aggiungiamo noi, alle patologie correlate all’età, come quelle neurodegenerative (Alzheimer e Parkinson), o come molte forme di tumore. 

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Vittorio Sebastiano è un biologo che studia l’invecchiamento nel Dipartimento di ostetricia e ginecologia dell’Università di Stanford (Stati Uniti). Un abbinamento (riproduzione e invecchiamento) che appare, a una prima occhiata, non così immediato. Invece, Sebastiano spiega che «nella biologia della riproduzione esistono i segreti per sviluppare alcune delle strategie anti-invecchiamento». Semplificando molto, possiamo dire che i meccanismi epigentici (cioè quelli, interni ed esterni all’organismo, che portano il DNA a esprimersi in modi diversi), se vengono decifrati nel cammino di una cellula embrionale verso la sua “specializzazione” (e successivo invecchiamento), possono essere utilizzati in laboratorio anche per innescare il cammino contrario. Mimando questi meccanismi naturali, Vittorio Sebastiano e la sua squadra sono così riusciti a ringiovanire con successo delle cellule umane in provetta e si sono spinti fino a esperimenti con il tessuto muscolare dei topi. Nel 2022 Sebastiano ha fondato la startup Turn Biotechnologies, decisa ad applicare questa tecnologia alle terapie per gli esseri umani. «La nostra - spiega - non è una soluzione per non invecchiare in generale, ma va utilizzata organo per organo. L’invecchiamento è molto eterogeneo». Per ora, il primo obiettivo della startup è la dermatologia. Il secondo sarà l’oftalmologia, ovvero gli occhi, «per questioni molto pratiche di accessibilità», specifica il fondatore.

Turn Biotechnologies - conferma il sito della startup - "si dedica alla riprogrammazione dell’epigenoma (una rete di composti chimici e proteine ​​che controllano le funzioni cellulari influenzando l’attività dei geni) per ripristinare capacità che spesso vengono perse con l’età”.

«Vogliamo occuparci della qualità degli ultimi anni di vita - continua  Sebastiano - per evitare che non si trasformino in un semplice allungamento della sofferenza, legata a una o più patologie che vengono cronicizzate dalla Medicina. Il punto cruciale, insomma, è fare in modo che quei venti o trent’anni di vita in più (rispetto alle medie dei primi del ‘900, quando l’aspettativa di vita era di appena 50 anni in Europa) siano tali che la salute fisica del corpo sia ancora buona». 

UNA QUESTIONE ANCHE ECONOMICA - Il problema di una popolazione che invecchia investe anche la sfera socioeconomica, considerati gli altissimi costi delle cure negli ultimi anni di vita. Senza dimenticare la preoccupante questione delle pensioni: se l’età media si alzerà ulteriormente, chi ne pagherà gli oneri? Una possibile risposta risiede proprio nel coinvolgimento sociale delle persone ultrasettantenni, una circostanza che verrà favorita dalle terapie di nuova concezione.
«Dare forza agli anziani - dice Sebastiano - significa aprire nuove possibilità per loro e per la collettività». Infatti, se in buona salute, anche le persone più mature sono in grado di contribuire, ad esempio estendendo la propria età lavorativa o svolgendo utili attività di volontariato nella comunità locale.

LE CITTÀ DELLA LONGEVITÀ - Il Municipio di Lugano si è preso l’impegno di promuovere stili di vita salutari, costituendosi parte delle “Cities of Longevities”. Il progetto, presentato al Longevity Summit dal direttore del National Innovation Center for Ageing (Regno Unito) Nic Palmarini, è una rete di collegamento tra diverse città di tutto il mondo per sperimentare attivamente politiche sociali volte a far "invecchiare in salute" la popolazione. 

I FILONI DELLA RICERCA - Altre ricerche illustrate durante il Summit si pongono l’obiettivo di rallentare o persino invertire l’intero processo di invecchiamento. Ad esempio, il professor Shai Egfrati studia come frenare l’orologio biologico delle persone attraverso l’utilizzo di camere iperbariche, mentre il professor Nir Barzilai sta mettendo a punto dei farmaci per la longevità ispirati alla genetica degli ultracentenari. 

Queste proposte sono sostenute dal paradigma di senilità come malattia, ovvero un avversario dell’essere umano che si oppone allo scorrere della vita. Una prospettiva certamente utile ai fini della ricerca biologica, ma - per certi aspetti - in contrasto con quella della nostra intuizione e percezione. Opponendosi con esplicita fermezza a queste investigazioni scientifiche, la filosofa Francesca Rigotti ha spiegato che «la vecchiaia non è sabbia nell’ingranaggio della vita, è vita stessa!». 

Opinioni così distanti sui farmaci anti-invecchiamento rendono difficile prevedere quanto le persone saranno disposte a prenderli. Di certo, come già emerso nel forum Cultura e Longevità organizzato dalla IBSA Foundation per la ricerca scientifica e dal Poltecnico federale di Zurigo il 1° settembre 2023, uno stile di vita attivo, una dieta sana e rapporti sociali ricchi restano elementi fondamentali per invecchiare in salute.