In Ticino la più importante conferenza internazionale
sulla filosofia del tempo
Sarà co-organizzata, per conto della International Association for the Philosophy of Time, da Damiano Costa, nell’ambito del progetto "Temporal Existence" finanziato con 1.8 milioni dal Fondo Nazionaledi Cesare Alfieri
È (troppo?) spesso il denaro ad attivare la nostra attenzione; i suoi flussi incuriosiscono, suscitano plauso o biasimo, invidia o entusiasmo; le ricostruzioni dei percorsi dalle tasche di chi dà a quelle di chi prende captano magneticamente l’interesse fra noi, platea nel flusso ininterrotto dell’informazione.
Non può allora passare inosservato l’assegno da quasi 1.8 milioni di franchi che il Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica (SNF) ha staccato per i prossimi cinque anni a beneficio di Damiano Costa, professore di filosofia all’Università della Svizzera italiana, nonché vicedirettore dell’Istituto di Studi Filosofici della Facoltà di Teologia di Lugano.
"Temporal Existence": questo il titolo del progetto che ha meritato il finanziamento e di cui vogliamo sapere di più, intervistando il suo promotore e coordinatore.
Damiano Costa Ingrandisci la foto
Professor Costa, innanzitutto congratulazioni: un grant simile non è avvenimento di ogni giorno.
«No, assolutamente - risponde Costa. - Specialmente da quando la Svizzera è stata esclusa dai programmi europei Horizon, molti hanno temuto un cosiddetto “inverno dei finanziamenti”. Tuttavia, la Confederazione ha prontamente reagito, aumentando i fondi a disposizione dell’SNF».
Ciononostante, immagino non sarà stato facile aggiudicarsi una cifra simile. È un evento raro per la ricerca in filosofia?
«Il processo di selezione si basa sulla divisione in tre aree: quella comprendente le cosiddette MINT (mathematics, informatics, natural sciences, and technology), le scienze biologiche e infine quelle umane e sociali. I progetti proposti sono disparati e diversissimi, la competizione è serrata e non ci sono fondi destinati espressamente alla filosofia: fra le quasi 450 candidature globali, solo una sessantina sono state infine accettate. Insomma, il finanziamento era tutt’altro che scontato e, se visto nel panorama USI, è la prima volta che una cifra simile è destinata a progetti nel campo delle scienze umane e sociali».
A questo punto viene naturale chiedere dove verranno impiegati questi fondi. In un mondo ansioso di misurare tutto, cosa produrrete e come verrete valutati?
«In filosofia, diversamente da quanto accade per le scienze empiriche, non abbiamo costi legati all’acquisto di apparecchiature, o investimenti per la creazione di laboratori tecnologici. I fondi ci daranno il lusso di essere pagati per pensare (è edificante sapere che la nostra società, continuando una tradizione millenaria, scelga ancora di mantenere persone perché possano pensare, ndr). Espanderemo il gruppo di ricerca assumendo ricercatori e dottorandi: siamo al momento nella fase di selezione dei collaboratori. Per quanto riguarda la misurabilità del nostro lavoro, il criterio d’elezione al giorno d’oggi per valutare il successo della produzione accademica, nonché nostro obiettivo primario, rimane la pubblicazione di articoli su riviste specializzate. Seguono la stesura di libri di testo e di monografie (queste ultime forse un po’ demodées)».
Condividerete i risultati intervenendo a conferenze internazionali?
«La partecipazione a convegni e la loro organizzazione avrà un ruolo centrale. Grazie allo Starting Grant del Fondo nazionale, tra il 24 e il 28 giugno prossimi ospiteremo a Lugano il massimo evento scientifico mondiale su questi temi, che organizzerò insieme a Cristian Mariani: si tratta della conferenza della International Association for the Philosophy of Time (IAPT), giunta alla nona edizione. Sbarca in Europa solo una volta ogni tre anni, richiamando relatori di alto profilo da tutto il globo: nel 2024 possiamo dire che Lugano sarà la città più importante al mondo per la filosofia del tempo».
Se i fondi SNF sono stati la miccia del nostro interesse, fortunatamente non ne esauriscono la curiosità. Vorremmo sapere di più sui temi specifici che occuperanno le vostre riflessioni.
«Il filone da scavare porta alle conseguenze filosofiche della relatività di Einstein, la teoria che ci ha obbligato a ridefinire e ripensare il concetto di tempo. Se prima di Einstein vedevamo il passato come il ricettacolo di ciò che non esiste più, il futuro come l’orizzonte di ciò che non esiste ancora e il presente come l’attimo fuggente in cui l’esistenza ci sguscia via dalle mani, la relatività con la forza di una teoria scientifica ci suggerisce di scardinare l’equazione fra presenza ed esistenza. Passato, presente e futuro dipendono dai punti di vista, sono relativi: perché dunque uno dovrebbe esistere più dell’altro? Il concetto stesso di esistenza ne esce trasfigurato».
La Relatività ha dunque dato un fondamento più stabile all’esistenza delle cose. Tuttavia, se declino diversamente il titolo del progetto “Temporal Existence”, devo ora dubitare dell’esistenza del tempo?
«Un tempo assoluto e a sé stante non fa effettivamente parte degli ingredienti della Relatività. Esso è indissolubilmente unito alle tre dimensioni dello spazio in un unico amalgama quadridimensionale. Nemmeno Einstein aveva inizialmente afferrato la profondità di questo concetto, ma l’interpretazione del matematico Minkowski lo convinse».
Dunque spazio e tempo sono un’entità sola?
«Questo è il concetto alla base della teoria filosofica dell’Unitismo, che trae forza dalla Relatività. E le conseguenze, se uno ci riflette (come faremo nei prossimi cinque anni), sono sbalorditive. Faccio un esempio, prendendo spunto da un mio articolo di qualche tempo fa. In quella ricerca, sfruttando la Relatività, dimostrammo nel senso forte e matematico del termine che se una qualunque entità esiste nello spazio, allora deve esistere anche nel tempo. E vale il viceversa: se qualcosa è nel tempo, deve trovare il suo posto anche nello spazio. Filosoficamente è uno stravolgimento. Pensiamo a Cartesio, che in un rigido dualismo a tenuta stagna divideva le cose del mondo (la res extensa, che cioè ha estensione spaziale) dalla mente (la res cogitans, fuori dal mondo); oppure riprendiamo Sant’Agostino, il quale sosteneva che l’anima esistesse nel tempo ma non fosse in nessun luogo. Tutte tesi confutate, prendendo per valido l’Unitismo!
Se i più recenti sondaggi riportano come la maggioranza dei filosofi non creda a una vita dell’anima individuale dopo la morte, forse è anche a causa delle conseguenze della Relatività.
«Detta così, sembra che la partita sia già stata giocata: cosa rimane da pensare a “Temporal Existence”?»
«In realtà moltissimo: personalmente, ho la sensazione che la Relatività non giustifichi l’Unitismo, ma al contrario su di esso si basi e lo assuma come presupposto. Se così fosse, dovremmo ancora trovare un fondamento logico, razionale e filosofico per l’Unitismo; se invece mi sbagliassi, non sarebbe ancora finita, perché dovremmo sondare la profondità delle conseguenze a cui ci porta l’Unitismo, che è un tema ancora tutto da esplorare».
Vi farete aiutare dai fisici in questo compito?
«Anche se il terreno è comune, non sempre è facile comunicare, anche perché per farlo è necessario che entrambe le parti capiscano il lessico, le domande e la metodologia della controparte. La maggior parte dei fisici è assorbita dalle conseguenze pratiche della materia e non legge più i filosofi come invece facevano Newton, Bohr, Eisenberg e lo stesso Einstein (avido di Schopenhauer, Kant, Spinoza, eccetera). La meta ideale sarebbe poter escogitare con i fisici dei test empirici per verificare tesi filosofiche».
Pensate di poter tradurre in insegnamento accademico le conclusioni che tratterete grazie a “Temporal Existence”?
«Non è tra gli scopi del progetto e sarebbe realisticamente impossibile nell’arco dei cinque anni. Tuttavia in futuro certamente, una volta che le conoscenze acquisite saranno vagliate e sedimentate».
Saranno conoscenze accessibili anche ai non specialisti?
«Quello che è accessibile all’uomo comune rimane per me un mistero di natura più sociologica che filosofica. La Relatività non è una teoria giovane: dalla sua prima formulazione sono passati quasi 120 anni, abbiamo avuto tutto il tempo di assimilarla. Afferma cose controintuitive, d’accordo. Ma è intuitivo pensare che una forza indefinita che agisce a distanza infinita senza agenti mediatori faccia cadere le cose qui sulla Terra e tenga insieme il sistema solare? Assolutamente no, eppure l’uomo comune accetta aproblematico la gravità di Newton, mentre sgrana incredulo gli occhi davanti a Einstein».
Forse perché almeno il tempo in Newton era semplice: assoluto, scorreva uguale per tutti, su di lui si costruiva tutta la teoria. Cos’è alla fine il tempo per Damiano Costa?
«Mi prendo ancora cinque anni di riflessione prima di rispondere a questa domanda».