Ghiacciai svizzeri, occhi puntati
sulla "rete" che misurerà
lo scioglimento primaverile
Monitoraggio dell’ETH, insieme agli enti cantonali e alla SUPSI. «Negli ultimi decenni ci troviamo di fronte a un trend fuori da ogni schema» spiega il ticinese Daniel Farinotti, docente di glaciologia a Zurigodi Valeria Camia
Una rete di "rilevatori" è attiva ad alta quota anche sulle montagne del Ticino per cogliere già nelle prossime settimane, appena comincerà la primavera, eventuali nuovi segnali dello scioglimento incessante dei ghiacciai. Se immaginassimo di scalare, ad esempio, le pareti del ghiacciaio del Griesgletscher, situato nel gruppo del Monte Leone, al confine tra il Vallese, il Ticino e l’Italia, potremmo imbatterci in fori contenenti delle aste di misurazione, dette livelli. Vengono “piantate” a diversi metri di profondità in autunno in modo che in primavera sia possibile calcolare la quantità di neve che si è depositata durante l’inverno. Si tratta, questo, di un monitoraggio che va avanti da oltre sessant’anni e che è oggi uno stabile sforzo di ricerca collaborativo nell’ambito del quale sono coinvolti il Politecnico federale di Zurigo (ETH) e gli enti Cantonali (e la SUPSI per la parte che riguarda il monitoraggio del permafrost, cioè del suolo perennemente gelato in profondità).
Ce ne parla Daniel Farinotti, ticinese, professore di glaciologia proprio all’ETH e all’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio (WSL). «Tra il 2022 e il 2023 - spiega - la massa del ghiacciaio del Griesgletscher ha perso 3,5 metri di equivalente in acqua, e già dal 2001 la lingua del ghiacciaio non raggiunge più il lago artificiale Griessee». Questi dati sono consultabili pubblicamente sul sito web di GLAMOS, la rete di monitoraggio dei ghiacciai svizzeri (Farinotti è membro del comitato direttivo di questa istituzione). I pericoli legati allo scioglimento del ghiacciaio del Griesgletscher sono diversi (dalle colate di detriti alle frane in seguito all’assottigliarsi del ghiaccio e dello strato di permafrost) e ci riguardano da vicino: basta pensare all’impatto sulla produzione idroelettrica, come ricorda Farinotti, con possibili conseguenze per il nostro cantone, dal momento che l’acqua di scioglimento del ghiaccio del Gries viene utilizzata dalle infrastrutture delle Officine Idroelettriche della Maggia, fiume che arriva nelle valli ticinesi.
Ma non ci sono zone della Svizzera esenti da questa emergenza. Ce lo conferma l’inventario dei ghiacci, che si fa nel nostro Paese, a intervalli di 5-10 anni. Se da un lato questi dati ci dicono che i ghiacciai hanno sempre subito variazioni di massa e lunghezza - ad esempio, il volume dei ghiacciai svizzeri si è dimezzato tra il 1931 e il 2016 - «il problema è che negli ultimi decenni ci troviamo di fronte a un trend che è fuori da ogni schema - spiega Farinotti. - Ne abbiamo avuto un assaggio con l’ondata di caldo del 2003, quando si perse circa il 3,5% del volume residuo. Si pensava che quel terribile record sarebbe rimasto imbattuto. Ci sbagliavamo. Nel 2022, con ripetute ondate di calore estive accompagnate da nevicate scarsissime invernali, abbiamo perso quasi il 6% del volume di ghiaccio rimanente. In numeri, si tratta di circa 3 chilometri cubi di ghiaccio, ovvero si è sciolta tanta massa d’acqua quanto regolarmente viene persa in trentasei mesi». Un anno terribile, insomma. Ma il 2023 non è stato affatto rassicurante, perché è scomparso un ulteriore 4,4% del ghiaccio “perenne”.
La causa del costante scioglimento dei ghiacciai è purtroppo nota: «Responsabili - dice Farinotti - sono le concentrazioni di CO2 in rapido aumento, che superano quelle dei cicli naturali. Sarebbe quindi necessaria un’inversione di tendenza nelle temperature a livello globale per salvare i ghiacciai. Si deve agire contro il surriscaldamento globale, perché allo stato attuale delle cose, entro la fine del secolo, l’80% o più dei ghiacciai si sarà sciolto. Un “finale”, questo - continua Farinotti - che si verificherà meno severamente se venissero rispettati gli Accordi di Parigi: dunque se mantenessimo l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2°C in più rispetto ai livelli preindustriali».
E se poco più di settant’anni - il tempo che ci separa dal 2100 - sembrano a qualcuno molti, nemmeno il futuro più prossimo è rassicurante. Perché «nel giro di un decennio - conclude Farinotti - la maggior parte dei piccoli ghiacciai in Svizzera sparirà e non ne rimarranno che minime tracce».