cultura e salute

Musica come cura, lezione 2
Enzo Grossi: nel cervello c’è
un "centro della bellezza"

Lunedì 24 ottobre 2022 circa 6 minuti di lettura In deutscher Sprache
Enzo Grossi, medico, docente e ricercatore
Enzo Grossi, medico, docente e ricercatore

di Valeria Camia

«L’educazione decisiva, Glaucone, è quella musicale, perché il ritmo e l’armonia penetrano fino in fondo all’animo, e lo toccano nel modo più vigoroso infondendogli eleganza, e rendono bello chi abbia ricevuto una educazione corretta». Così scriveva il filosofo greco Platone ne La Repubblica [401d5-402a3], sottolineando la funzione estetica e istruttivo-formativa della musica, capace, insomma, di plasmare l’animo.
Questa riflessione sul rapporto musica-corpo rimane attuale e trova un fondamento scientifico. Certamente non è solo la musica a suscitare o modificare emozioni e stato d’animo, ma l’arte e il bello in genere - il trovarsi di fronte a un panorama “mozzafiato” o a un affresco del Medioevo, giusto per citare esempi molto diversi tra loro. Tuttavia, per la praticità con la quale può essere inserita e controllata in contesti e in percorsi di cura, è stata proprio la musica ad aver interessato più recentemente gli scienziati e i clinici che, di concerto con i colleghi musicologhi e musicisti, hanno approfondito le potenzialità terapeutiche dell’ascolto o della produzione di melodie.
In questo contesto, è nata la musicoterapia, che si rivolge a ogni singolo utente con interventi utili al raggiungimento di specifici obiettivi, quali ad esempio la riabilitazione o la gestione della condizione patologica. E ciò è possibile perché ora conosciamo in modo più approfondito i meccanismi fisiologici sui quali interviene la musica, e perché potremo contare, nel futuro prossimo, sempre più sull’aiuto dell’intelligenza artificiale per l’elaborazione di melodie individualizzate, come ci spiega Enzo Grossi, medico chirurgo, docente e ricercatore, nonché relatore della seconda serata intitolata "Music medicine per contrastare dolore, ansia e stress" del corso Musica come cura, promosso dalla Facoltà di scienze biomediche dell’Università della Svizzera italiana (USI) in collaborazione con la Divisione Cultura della Città di Lugano e con la IBSA Foundation per la ricerca scientifica, e - quest’anno - anche con il Conservatorio della Svizzera italiana. L’appuntamento è per il 24 ottobre alle 18, nell’aula Polivalente del Campus Est di Lugano, in via La Santa 1.

Professore Grossi, dal punto di vista medico-scientifico che cosa ci accade quando ascoltiamo una bella musica?

«In generale, ogni qual volta ci si trova a fare un’esperienza estetica che riguardi qualsiasi forma artistica e che dà un senso di piacevolezza, il cortisolo, l’ormone dello stress, “crolla” così come si riduce l’ansia. Nel caso specifico della musica, nell’atto dell’ascolto di una melodia o di suoni, le vibrazioni del timpano si trasmettono alla coclea, l’organo dell’udito, nell’orecchio interno, e da lì i nervi acustici portano questi stimoli nell’area della corteccia deputata a recepirli, la corteccia uditiva, nel lobo temporale. Qui già avviene un’integrazione di molti diversi tipi di elementi, che fanno parte della musica in senso lato: dalle note alla loro sequenza, all’armonia – noi sentiamo “strisce di note”, le armoniche – al timbro, che è legato allo strumento o mezzo che produce la nota, al ritmo. Quando il mix di queste caratteristiche raggiunge una complessità tale da rendere il tutto gradevole, bello, ecco che istintivamente proviamo un senso di appagamento. A livello fisiologico, a essere stimolato è un centro del cervello della corteccia centrale, che si è evoluto con la specie umana e che probabilmente non esisteva ai tempi dell’Homo heidelbergensis, un ominide vissuto centinaia di migliaia di anni fa, e nemmeno con l’Uomo di Neanderthal. Questo centro è detto anche centro della bellezza, in quanto integra le sensazioni che la nostra specie giudica belle, di varia natura – visiva, olfattiva, gustativa e, anche appunto uditiva». 

E a questo punto, che cosa succede nel nostro cervello?

«La stimolazione del centro della bellezza si riverbera in altri centri del cervello, e in particolare nei nuclei della base, centri ancestrali (quindi antichi a livello evolutivo) che attivandosi mettono in gioco dei neuromediatori, sostanze chimiche alle quali dobbiamo le varie sensazioni (come la pace, l’appagamento e la piacevolezza) che proviamo apprezzando una bella musica. Nel cervello prima, e poi in tutto l’organismo, vengono infatti messe in circolo molecole come la dopamina, la ossitocina, la serotonina e le endorfine, ciascuna delle quali ha una predisposizione a provocare certi effetti ad esempio sull’ansia, sullo stress, sulla depressione. Sono proprio mediatori ai quali si attribuiscono gli effetti salutogenici dell’ascolto musicale e gli effetti di contrasto a situazioni patologiche, come essere depressi, essere ansiosi, essere sotto stress».

A fronte di queste evidenze scientifiche che riguardano la fisiologia del cervello umano, rimane il fatto che il piacere musicale, la preferenza per certe canzoni o melodie, è soggettiva. Come si sta muovendo la medicina per assicurarsi di offrire a ogni individuo il "cocktail" musicale di cui ha bisogno nella terapia di certe patologie? 

«Si tratta di una ricerca ambiziosa, che vede coinvolta la clinica, la ricerca medica e anche i musicisti. Da una parte, oggi disponiamo di accurati strumenti per decodificare  quello che succede nel cervello, grazie a tecniche di neuroimaging come l’elettroencefalogramma, la stimolazione magnetica transcranica, la risonanza magnetica funzionale e più recentemente la Near-infrared spectroscopy (NIRS), una sorta di cerchietto da portare sulla fronte che rende possibile effettuare misurazioni in situazioni di vita comune, e non in laboratorio. D’altra parte, e dopo aver fatto una vera e propria biografia musicale del paziente, già possiamo contare su innovative tecniche di intelligenza artificiale in grado di “costruire”, tramite algoritmi, brani o sequenze musicali specificatamente pensati per i singoli individui. A tal proposito, mi permetto di citare il progetto Melomics, di cui il professor Alfredo Raglio parlerà proprio dopo il mio intervento alla lezione di "Musica come cura". Ecco, per concludere, il futuro potrebbe proprio essere questo: dimostrato l’impatto della musica sul cervello, potremo intensificare l’efficacia di questo potente farmaco naturale contando sulla professionalità del musicoterapeuta, che si avvarrà della propria esperienza e sensibilità ma anche dell’intelligenza artificiale».