BIOS+

Così cambia la ricerca biomedica
con un microscopio che "vede"
fino a 0,2 miliardesimi di metro

Venerdì 14 giugno 2024 circa 7 minuti di lettura
Andrea Raimondi nella sala di microscopia elettronica di Bios+ a Bellinzona (Foto Ti-Press)
Andrea Raimondi nella sala di microscopia elettronica di Bios+ a Bellinzona (Foto Ti-Press)

Incontro di esperti sulle potenzialità di un’avanzata attrezzatura presente nel palazzo dell’IRB. Possibile un ulteriore potenziamento che permetterà di esaminare i "vetrini" a 200 gradi sotto zero
di Simone Pengue

Le immagini della biologia, che è lo studio degli esseri viventi, si sono fatte nei decenni sempre più raffinate e nel corso dell’Ottocento lo sviluppo della microscopia ha rivelato le forme strabilianti del mondo cellulare, spesso riportate con stupendi disegni fatti a mano. Le domande scientifiche sorte con le nuove osservazioni hanno spinto la ricerca verso dimensioni sempre minori, e la luce dei microscopi ottici, a causa di limiti fisici, a un certo punto non è più bastata. Così, attorno alla metà del Novecento, i biologi si sono affacciati alla microscopia elettronica a trasmissione, dove l’immagine è formata da un fascio di elettroni che attraversano il campione da esaminare. Strumenti sofisticatissimi che sono stati perfezionati nel tempo e, pur non sostituendo, ma affiancando, i microscopici ottici, consentono di guardare dentro le cellule con una risoluzione di 0.2 miliardesimi di metro, cioè 0.2 nanometri. Dal 2022, Bios+, associazione costituita dall’Istituto di Ricerca in Biomedicina (IRB) e dall’Istituto Oncologico di Ricerca (IOR), può vantare questa tecnologia nella propria sede di via Francesco Chiesa 5 a Bellinzona, e nei giorni scorsi (per la precisione, il 6 giugno) ha presentato le sue possibili applicazioni più avanzate durante un seminario organizzato in collaborazione con il colosso di prodotti e strumenti scientifici Thermo Fisher.

L’incontro, che ha accolto ricercatori specializzati da tutta la Svizzera e dal nord Italia, è stato l’occasione per illustrare le potenzialità applicative, in particolare, della microscopia elettronica criogenica, una tecnica (un ulteriore passo avanti, non ancora presente a Bellinzona) che è valsa allo svizzero Jacques Dubochet il premio Nobel per la chimica nel 2017, assieme a Joachim Frank e a Richard Henderson. Pur mantenendo lo stesso principio di base della microscopia elettronica, la criogenia, ovvero la lavorazione a circa 200 gradi sottozero, permette di evitare le invasive procedure chimiche necessarie quando si prepara il campione per le immagini a temperatura ambiente. Le cellule, il pezzo di tessuto o le singole proteine da visualizzare vengono vetrificate attraverso un congelamento rapidissimo e possono essere osservate praticamente intatte.
«Il problema della microscopia elettronica a temperatura ambiente - spiega il gestore del microscopio elettronico di Bios+, Andrea Raimondi - è che i solventi utilizzati per fissare i campioni possono talvolta creare artefatti. Dunque non c’è la certezza assoluta che quello che guardiamo sia la realtà. La microscopia elettronica criogenica permette, invece, sempre di osservare il campione nello stato nativo in cui si trovava subito prima che venisse congelato» . Nella Svizzera tedesca e romanda, dove i numeri e le risorse della ricerca biomedica sono decisamente più elevati, i microscopi elettronici, anche per l’utilizzo criogenico, non mancano. «Questo workshop - commenta Raimondi - ha permesso di far conoscere la ricerca ticinese, scambiarsi idee, confrontarsi e instaurare collaborazioni. In futuro potremo magari andare noi oltre Gottardo a fare misure, o magari accogliere nelle nostre strutture ricercatori esterni». 

Attraverso questo appuntamento Bios+ ha cercato di capire quali potrebbero essere le applicazioni della criogenia utili per i propri ricercatori. In più, si è parlato di come iniziare a muoversi verso un ulteriore potenziamento (l’attrezzatura per la criogenia, appunto) dello strumento esistente, con una spesa di circa duecentomila franchi, o verso l’acquisto di un macchinario dedicato. «Bisognerà valutare negli anni futuri quanto investire sulle tecnologie di microscopia, ottica ed elettronica, a Bellinzona - commenta il professore EPFL Maurizio Molinari, che dirige un gruppo di ricerca all’IRB e che si è speso molto in prima persona per l’ottenimento dello strumento. La microscopia elettronica criogenica potrebbe essere problematica per via dei costi, si parla di svariati milioni di franchi se si vuole arrivare alla risoluzione atomica, ovvero a distinguere i singoli atomi all’interno di una proteina». Molinari è riuscito a coinvolgere la Fondazione Gelu, un’istituzione dedita al sostegno della ricerca svizzera sulla malattia di Alzheimer e sulle patologie pediatriche rare, che negli ultimi dieci anni ha finanziato la ricerca biomedica ticinese per quasi sei milioni di franchi.

Nel 2021 una cordata di ben dieci gruppi di ricerca di IRB, IOR, Università della Svizzera italiana e EOC (Ente ospedaliero cantonale) guidata da Maurizio Molinari è riuscita a ottenere dalla Fondazione Gelu i circa seicentomila franchi necessari per l’acquisto del microscopio elettronico. Se prima i ricercatori di IRB, IOR e EOC per "processare" i propri campioni dovevano spostarsi oltre i confini ticinesi, ad esempio oltre Gottardo o all’Università San Raffaele di Milano, ora hanno un accesso diretto al microscopio. «L’impatto sulla nostra ricerca è enorme, da non immaginarsi - commenta Molinari. - Avere lo strumento in casa accorcia sensibilmente i tempi necessari affinché i nostri campioni vengano analizzati. Ci dà inoltre la possibilità di sviluppare nuovi approcci metodologici per preparare e osservare i campioni biologici, una cosa molto difficile se non impossibile quando si deve utilizzare un servizio di microscopia esterno». 

SI STUDIANO DIVERSE PATOLOGIE - Da quando lo strumento è approdato al piano terra dell’edificio di Bios+, dove ha sede l’IRB, le applicazioni di certo non mancano e si stanno già producendo risultati scientifici in una grande varietà di ambiti, dalla medicina alla biologia di base. Ad esempio, grazie al microscopio elettronico, il gruppo di Giorgia Melli dell’EOC ha sviluppato un metodo innovativo per diagnosticare l’amiloidosi, un insieme di circa trenta diverse malattie genetiche rare caratterizzate dall’accumulo di aggregati proteici in tessuti come cuore, reni e cervello. Invece di ricorrere a invasive biopsie di questi delicati organi, la strategia adottata da Giorgia Melli prevede il prelievo di un semplice campione di pelle per cercare gli accumuli di proteine dentro le cellule.  «L’EOC fa una prima visione con il microscopio ottico - spiega Andrea Raimondi - e ci indica le zone dove potrebbero esserci aggregati. Noi esaminiamo le stesse zone con il microscopio elettronico e diamo conferma della presenza o meno dell’aggregato».
Un altro progetto - portato avanti da Santiago Gonzalez dell’IRB - che era stato avviato con la strumentazione del San Raffaele prima che questo microscopio fosse disponibile a Bellinzona, studia, invece, l’accumulo dell’inchiostro dei tatuaggi nei linfonodi, e le potenziali conseguenze per il sistema immunitario, utilizzando delle cavie.
Dal canto suo, il gruppo di Carlo Catapano (IOR) sfrutta l’alta risoluzione del microscopio elettronico per capire come le forme di alcune parti interne della cellula siano collegate alla proliferazione dei tumori del fegato.

Maurizio Molinari, il cui gruppo usa estensivamente il microscopio sia per lo studio delle malattie rare che per lo sviluppo di nuove tecniche, spiega che «il suo arrivo ci ha veramente cambiato il modo di lavorare. Adesso abbiamo la possibilità non solo di "prendere" le immagini delle nostre cellule, ma anche di sviluppare nuova tecnologia per migliorarne la qualità. Ad esempio, di norma il microscopio elettronico può darti un’immagine tridimensionale dell’oggetto osservato, ma noi vogliamo aggiungere una quarta dimensione, il tempo, per poterne seguire, in diretta, i cambiamenti». Una sfida non facile, considerando che in questi dispositivi bisogna necessariamente "fissare" le cellule e, diversamente dalla microscopia ottica, non si possono visualizzare cellule vive (ma così diventa impossibile osservare l’evoluzione temporale dei processi). Molinari sta quindi cercando di mettere a punto dei marcatori che possano tenere traccia del tempo, come se i componenti della cellula, sebbene bloccati, fossero in grado di lasciare dietro di sé una scia.

Il microscopio elettronico è a disposizione non solo di IRB, IOR e EOC, ma anche di tutti coloro che ne hanno bisogno, sia istituti pubblici di altre nazioni, che aziende private. L’inserimento di uno strumento d’avanguardia così versatile in un ecosistema di ricerca relativamente piccolo come quello ticinese può, sul lungo periodo, giocare un ruolo molto importante, sostengono gli esperti, per lo sviluppo di un polo scientifico e tecnologico.