Parole che curano, lezione 4
James Pennebaker: «Scrivere
per 15 minuti contro lo stress»
di Valeria Camia
Sarà a Lugano lunedì 13 novembre lo psicologo sociale James W. Pennebaker, padre della scrittura espressiva (in inglese, espressive writing). Il professore (insegna all’Università del Texas), che ha dedicato gran parte della sua attività di studio alla ricerca degli effetti terapeutici della scrittura non solo sul piano psicologico ma anche fisiologico e organico, parlerà in occasione della quarta lezione del corso “Parole che curano”, promosso dalla Facoltà di scienze biomediche dell’Università della Svizzera italiana (USI) con la Divisione Cultura della Città di Lugano e con IBSA Foundation per la ricerca scientifica, e con la collaborazione artistica del LAC (Lugano Arte e Cultura). L’appuntamento è nella sala polivalente del Campus est, in via La Santa 1, con inizio alle 18 e ingresso libero.
Professore, di che cosa parliamo quando ci riferiamo alla scrittura espressiva?
«La scrittura espressiva - spiega Pennebaker - è una forma di scrittura a cui ciascuno di noi può ricorrere nel momento in cui si trova confrontato con un’esperienza difficile, stressante. Si tratta di scrivere ciò che ci preoccupa, e di farlo per un periodo piuttosto breve, 15 o 20 minuti al giorno (anche se la durata può essere maggiore), per tre o quattro giorni. La scrittura espressiva ha la capacità di fermare la propria vita per un po’, iniziando a mettere "nero su bianco" quanto, talvolta, non siamo pronti ad ammettere a noi stessi e tanto meno pubblicamente, perchè fonte di imbarazzo o dolore».
Non basta pensare a un’esperienza dolorosa, quindi, per gestire le nostre emozioni al riguardo? In che modo descriverle con carta e penna, per così dire, ci aiuta?
«Fermare con le parole un’esperienza dolorosa offre una nuova prospettiva, utile a trovare un significato proprio in ciò che ci disturba. La scrittura espressiva aiuta ad avere una visione più chiara delle esperienze vissute, liberando la mente dal pensiero fisso che girerebbe, diversamente, attorno a esse in modo costante. Varie ricerche hanno dimostrato, fra l’altro, che coloro che ricorrono alla scrittura espressiva hanno una migliore "igiene del sonno". con effetti benefici sulla risposta immunitaria, e sono capaci di fronteggiare con maggiore efficacia i sintomi depressivi.
Inoltre, scrivere di quanto ci affligge per un breve, ma costante, periodo riduce lo stress, e quindi migliora la memoria, la quale è negativamente correlata all’indice dello stress, appunto. Sappiamo che quando le persone sono stressate, hanno maggiori difficoltà a mantenere nuove informazioni, in quanto la loro mente sta elaborando altre cose. La scrittura espressiva consente di esprimere la parte più profonda di sé e di osservarla con maggiore distacco emotivo. Essa quindi ci permette di concentrarci sulle attività quotidiane e sulle relazioni con gli altri. Nei miei studi ho verificato, ad esempio, che scrivere (per un breve periodo) di un segreto tenuto per giorni, settimane, mesi, persino a volte anni, aiuta poi ad aprirsi agli altri. La scrittura espressiva, in questo senso, cambia le relazioni che si hanno con quanti ci circondano».
Possiamo quindi affermare che la scrittura espressiva ha un potere curativo?
«Direi che la scrittura espressiva può essere uno strumento di adattamento: essa è particolarmente utile per coloro che stanno attraversando una sorta di transizione, in particolare per le persone ospedalizzate, che stanno vivendo una transizione, direi, “gigantesca”. Ci sono studi scientifici che mostrano come i malati che si dedicano alla scrittura espressiva prima del ricovero in ospedale vengono dimessi in media un giorno prima, rispetto a chi non ha l’abitudine di scrivere. Altre ricerche indicano che la scrittura espressiva aiuta a rimarginare le ferite in modo più veloce. Ma non dobbiamo limitare la scrittura espressiva solo a contesti ospedalieri e di ricovero.Pensiamo a chi ha appena intrapreso un nuovo corso di studi: anche queste persone stanno vivendo una transizione enorme per le loro vite. Oppure, se si viene umiliati a scuola per un qualsiasi motivo, anche questo genera uno sconvolgimento interiore che porta a interrogarsi su se stessi e sulle proprie emozioni. In tutti questi casi la scrittura espressiva serve a gestire quanto ci sconvolge o preoccupa».
Scrivere per 15 minuti ininterrotti focalizzandosi sulle emozioni stressanti a cui si desidera dare voce non deve essere facile dal punto di vista emotivo, anche per quanto riguarda i contenuti da formulare…
«Certo, spesso le persone notano che alla fine dei 15 minuti si sentono un po’ tristi o più ansiose. Questo avviene soprattutto nel primo giorno di scrittura espressiva. D’altra parte non è forse normale? Probabilmente queste persone erano tristi e ansiose anche prima di iniziare a scrivere. Tuttavia, nei giorni successivi sono visibili benefici a livello psichico e fisico. Per quanto riguarda la scrittura ininterrotta: dico sempre, a chi voglia praticare la scrittura espressiva e pensi di aver esaurito l’argomento prima del previsto, di ripetere quanto ha già scritto».
C’è una regola da seguire quando iniziamo a scrivere delle nostre emozioni e di quanto ci fanno stare male?
«Non c’è uno schema fisso. Ognuno è libero di scrivere come preferisce, seguendo stili che gli sono consoni. Non ci sono nemmeno convenzioni da seguire per quanto riguarda la struttura del testo. L’unica regola, come dicevo, è scrivere per almeno 15 minuti consecutivi dell’evento o dell’esperienza sconvolgente che disturba, quindi senza andare “fuori tema". Naturalmente è richiesta una profonda onestà con se stessi e sincerità nell’ammettere i propri pensieri più profondi, così come i sentimenti più intimi. Quando scriviamo ricorrendo alla scrittura espressiva, chiediamoci: perché mi sento in un certo modo? Che cosa mi preoccupa o mi provoca fastidio? Questo sentimento è collegato ad altre esperienze della mia vita? Come e che cosa pensano altre persone che potrebbero essere coinvolte nell’esperienza triste che vivo?»
A proposito di relazioni con gli altri, spesso ne parliamo nei “nostri diari segreti”, riempiendo pagine che poi andiamo a rileggere negli anni a venire. Che cosa ha in comune la scrittura espressiva con un diario?
«Poco o nulla! Tenere un diario, giornalmente, può essere deprimente: accade che ci si ritrovi a scrivere e riscrivere, nelle pagine del diario, gli stessi pensieri, i quali diventano circolari e non permettono di “andare avanti”. La scrittura espressiva non è un diario, perché non si tratta di rimuginare. Per questo invito a scrivere per pochi giorni! Inoltre, mentre nel diario annotiamo, normalmente, quanto ci accade “subito”, è preferibile lasciare uno spazio temporale tra l’accaduto che ci reca preoccupazione e la scrittura espressiva. Infine, mentre si è soliti tenere un diario “per la vita”, anche una volta che si è smesso di scriverlo, i fogli sui quali pratichiamo la scrittura espressiva possono semplicemente essere gettati; questo perché la scrittura espressiva permette di dare voce, affidabile, alle emozioni, e quindi di gestirle con efficacia, senza che si renda necessario "riviverle" come nelle pagine di un diario».
Per alcune persone può essere difficile mettersi in ascolto delle proprie emozioni. Nella sua esperienza, ha trovato differenze culturali o di genere?
«Abbiamo scoperto che la scrittura espressiva sembra funzionare in modo piuttosto simile tra le diverse culture, le diverse lingue, le diverse classi sociali, i diversi generi, e così via. Non ci sono evidenze che indicano che un gruppo abbia più benefici di un altro, con l’eccezione delle persone bi- o pluri-lingue. Secondo studi recenti, trae particolare beneficio dalla scrittura espressiva chi scrive alternando le diverse lingue che parla. Questo sembra indicare che le persone capaci di cambiare la propria prospettiva “linguistica” nello scrivere siano anche maggiormente capaci di cambiare la propria visione sulle cose».