Lugano Happiness Forum:
ricercatori a confronto
sui misteri della felicità
Il 17 e 18 giugno al LAC si discuterà dei numerosi aspetti (psicologici, ma anche economici e sociali) collegati a quell’esperienza umana complessa che definiamo felicità. Presenti 20 relatori internazionalidi Valeria Camia
La felicità è un’esperienza umana complessa che ha affascinato filosofi e scienziati per secoli. Negli ultimi decenni, la ricerca sulla felicità è diventata un campo di studio a sé stante, con l’obiettivo di comprendere i fattori che contribuiscono al benessere mentale.
Viviamo in un’epoca di contrasti: da un lato, abbiamo raggiunto livelli di progresso tecnologico e scientifico inauditi; dall’altro, ci troviamo ad affrontare una serie di problemi sociali e psicologici (tra cui depressione e suicidio) che sono in aumento. Si potrebbe dire che siamo come prigionieri in un ambiente che stride con la nostra essenza più profonda, il voler essere felici. Ma possiamo fare qualcosa? È possibile sfruttare la nostra conoscenza della natura umana per creare condizioni di vita più adatte e, di conseguenza, un mondo dove gli individui siano (più) “felici”? O forse la felicità è solo una questione di genetica? E in che modo i progressi scientifici, in campo biologico e tecnologico, contribuiscono alla felicità individuale e collettiva? Se ne discute nel Canton Ticino in occasione del Lugano Happiness Forum organizzato dalla IBSA Foundation per la ricerca scientifica, dalla Città di Lugano e dal Lee Kum Sheung Center for Health and Happiness dell’Università di Harvard. L’evento, a cui parteciperanno 20 relatori internazionali, prende il via lunedì 17 giugno e si conclude il 18 giugno, con diverse sessioni aperte al pubblico, gratuitamente (presso la Sala 1 del LAC Lugano Arte Cultura, in piazza Bernardino Luini). I temi legati alla felicità verranno affrontati dal punto di vista biologico/psicologico, ma anche sociale, economico, politico.
Foto di Eugenio Celesti Guarda la gallery (9 foto)
«Capire il modo in cui funzioniamo come esseri umani può aiutarci a fare scelte migliori, sia a livello individuale sia collettivo» - dice Bjørn Grinde, professore emerito dell’Università di Oslo e uno dei relatori della sessione del Forum dal titolo “Felicità e scienza: Navigare verso nuove frontiere”. Il cervello - spiega Grinde - si può pensare come un insieme di funzioni o moduli. Alcuni moduli, compresi quelli responsabili del piacere e del dolore, inviano informazioni alla parte del cervello che genera le esperienze coscienti di felicità o infelicità. L’effetto che questi moduli hanno sulle esperienze coscienti decide quanto ci si sente bene o male. Se prevale l’attività dei moduli del piacere, ci sentiamo felici. Al contrario, se prevalgono i moduli del dolore, ci sentiamo infelici».
Diverse evidenze scientifiche suggeriscono che i moduli dell’umore, legati alla capacità - negli esseri umani - di provare sentimenti, si siano evoluti per la prima volta negli antenati comuni degli attuali rettili, uccelli e mammiferi circa 300 milioni di anni fa. Questa “invenzione” dei sentimenti potrebbe avere poi innescato, nel cervello umano, l’evoluzione della coscienza.
COME MISURARE? - Rimane però difficile la misurazione di questa felicità. Il metodo “tipico”, che consiste nel chiedere alle persone di rispondere a domande come “Su una scala da 0 a 10, quanto sei soddisfatto della tua vita oggi?”, è problematico, in quanto le risposte potrebbero essere distorte per vari motivi. Diversi fattori, incluse le esperienze che facciamo, l’ambiente in cui viviamo e i geni possono infatti avere un profondo impatto sulla nostra felicità. Anche se il cervello umano è, probabilmente, l’organo più adattivo della Terra, alcuni ambienti sono meno produttivi in termini di aumento della felicità e la prevalenza dei disturbi mentali anche nelle società più felici, come i Paesi scandinavi, suggerisce che ci sono delle discordanze in gioco.
«Il benessere e la felicità - chiarisce Christian Montag, professore di psicologia molecolare presso l’Università di Ulm (Germania) e relatore al Lugano Happiness Forum - sono influenzati non solo da come pensiamo (aspetto cognitivo), ma anche da come ci sentiamo (aspetto affettivo). A ciò si aggiunge che, come diversi studi stanno mostrando, caratteri della personalità e la genetica svolgono un ruolo, e devono essere tenuti in conto assieme all’ambiente in cui viviamo».
IL CERVELLO DEI MAMMIFERI - Secondo Bjørn Grinde, «la ricerca della felicità può essere descritta come un modo per aumentare l’impatto dei sentimenti positivi e diminuire quelli negativi ingiustificati. Il compito è dunque duplice: da un lato, creare un ambiente adatto; dall’altro, trovare modi pertinenti per migliorare la capacità del cervello di produrre felicità». Si tratta, però, di una sfida. Tanto più che, come sottolinea Montag, stiamo andando verso l’Internet delle Cose: la tecnologia pervade tutti gli aspetti della nostra vita ed esercita un impatto continuo sul pensiero, sulle sensazioni e sull’interazione sociale. Pensiamo ai social media o allo smartphone: il loro uso è effettivamente in linea con i nostri primari bisogni emotivi e psicologici? Come cambia la natura umana a causa delle costanti interazioni con le realtà virtuali?
«Oggi - conclude Christian Montag - ci troviamo a dover progettare mondi digitali “che ci facciano stare bene” in base alla nostra eredità emotiva di mammiferi, profondamente ancorata nelle aree sottocorticali del cervello umano. Mi ricollego alla teoria delle neuroscienze affettive (ANT): nel cervello dei mammiferi si sono conservati in modo omologo sette sistemi emozionali primari che rappresentano strumenti per la sopravvivenza. Tra queste emozioni primarie, c’è anche il gioco (o gioia) sociale (in inglese, play). Ecco dunque che è necessario assicurarsi che gli spazi di lavoro digitali, le piattaforme online e i futuri sviluppi dell’intelligenza artificiale siano progettati proprio in modo da tenere seriamente in considerazione il nostro patrimonio evolutivo, per il nostro benessere e non per sfruttare i nostri bisogni».