L’ETHZ partner decisivo
per lo sviluppo del polo
della Ricerca in Ticino
di Piero Martinoli
Fisico, già presidente dell’USI
Fisico, già presidente dell’USI
Fine febbraio 2020: il Covid invade anche il Ticino, i più fragili cominciano purtroppo ad andarsene, tira aria di chiusura, il futuro si incupisce. Ciò nonostante, una fondazione, di cui sono membro, lancia un concorso per progetti di ricerca nel campo delle scienze della vita. Il bando è aperto non solo a ricercatori della giovane Facoltà di scienze biomediche (FacBioMed) dell’Università della Svizzera italiana (USI) e degli istituti ad essa affiliati (Istituto di Ricerca in Biomedicina, IRB, e Istituto di Ricerca in Oncologia, IOR), ma anche a ricercatori di istituti dell’Ente Ospedaliero Cantonale. Il call è un successo: alla scadenza di fine ottobre la fondazione riceve oltre trenta progetti preparati secondo gli standard del Fondo Nazionale Svizzero per la ricerca scientifica (FNS). Già un primo esame indica che la stragrande maggioranza si situa nella gamma “buono-molto buono-eccellente”. Di fronte a questa constatazione e ai mezzi limitati, anche se importanti, a disposizione, la fondazione procede a un’approfondita e rigorosa valutazione coinvolgendo numerosi esperti nazionali e internazionali. Finalmente, a inizio aprile 2021 la scelta cade su sei progetti che saranno sostenuti per un periodo di tre anni.
Tutto questo per dire cosa? Che in Ticino esiste, nel settore della ricerca biomedica, una comunità scientifica molto vivace, capace di immaginare e affrontare temi scientifici interessanti e d’attualità, desiderosa di mettersi in gioco e confrontarsi, e che in alcuni istituti raggiunge livelli di qualità notevoli, riconosciuti a livello internazionale.
Credo valga quindi la pena soffermarsi un attimo per alcune considerazioni su quello che chiamerei “Ticino della scienza”. Trent’anni fa il Ticino era un “deserto scientifico”, ma la situazione è decisamente cambiata con la creazione, nel 1996, dell’USI che ha permesso, tra l’altro, di sviluppare preziose collaborazioni con partner prestigiosi, primo fra tutti la Scuola politecnica federale di Zurigo (ETHZ). Alludo all’istituzione dell’Istituto di scienze computazionali all’USI che ha permesso di trattenere in Ticino il Centro svizzero di calcolo scientifico (CSCS) - che sarebbe altrimenti migrato verso altri lidi oltre Gottardo - e più recentemente alla partecipazione attiva dell’ETHZ alla formazione a livello bachelor dei futuri medici sfornati dalla FacBioMed dell’USI: senza il coinvolgimento in prima linea dell’ETHZ oggi difficilmente l’USI potrebbe fregiarsi di questo importante biglietto da visita per la sua immagine e la sua crescita. Last but not least e da non dimenticare: gli accordi di partenariato per doppie cattedre stipulati con l’ETHZ da IRB, IOR e USI.
Dobbiamo perseverare con questo progressivo coinvolgimento dell’ETHZ nel mondo scientifico ticinese: è benefico e abbiamo molto da imparare! Più concretamente, riallacciandomi a quanto detto nell’introduzione, la migliore occasione si presenta oggi nel campo delle scienze della vita dove esiste una comunità di ricercatori – qui penso soprattutto all’IRB e allo IOR riuniti nell’associazione Bios+ che con i loro lavori si impongono sempre più all’attenzione del mondo scientifico – che con il sostegno dell’ETHZ può fare di Bellinzona un polo di ricerca di rilevanza nazionale in campo biomedico. Per raggiungere questo ambizioso obiettivo bisogna saper sfruttare abilmente strumenti per la promozione della ricerca come i National Centres of Competence in Research (NCCR) del FNS che conosco da vicino per aver partecipato, in seno al Consiglio nazionale della ricerca del FNS, alle discussioni inerenti alla loro istituzione e, in seguito, come ricercatore a uno dei primissimi NCCR. Ogni NCCR raccoglie più istituti di ricerca/università attorno a un tema generale di comune interesse che, nel caso in questione, si situerebbe nella vasta galassia dell’immunologia e dell’oncologia. Si tratta di uno strumento molto competitivo, con una forte valenza non solo scientifica, ma anche, a livello politico, per il suo impatto socio-economico. Sono del parere che una “cordata”, sotto l’egida dell’USI come “leading house”, formata da Bios+ e dall’ETHZ (e eventualmente con la partecipazione di altri partner svizzeri) è oggi più che mai matura per competere con apprezzabili probabilità di successo per la conquista di un NCCR. Rammento che la prossima serie di NCCR (tipicamente 5-6 progetti) non sarà lanciata che fra tre anni: c’è dunque tempo per una preparazione accurata di un progetto.
Per concludere ancora una considerazione. Dobbiamo perseverare su questa via di avvicinamento all’ETHZ seguendo una approccio fondato su piccoli passi e sulla reciproca fiducia: finora non abbiamo certo demeritato e ne sono più che mai convinto dopo aver letto la recente intervista concessa al Corriere del Ticino dal presidente dell’ETHZ. A mio avviso, un giorno questa strategia potrebbe (anzi, dovrebbe) sfociare nella creazione, nella Svizzera italiana, di una Scuola universitaria federale, sostenuta dalla Confederazione come lo sono oggi l’ETHZ nella Svizzera tedesca e l’EPFL in quella romanda. È un mio vecchio sogno nel cassetto, svelato al Dies academicus 2016 dell’USI, che raccolse allora qualche timida approvazione, ma anche scetticismo. Sono grato a Franco Cavalli che recentemente ha rilanciato l’idea nella sua recente “Opinione”. Una Scuola universitaria federale imprimerebbe una decisiva accelerazione da un lato come motore di sviluppo e, dall’altro, all’uscita da una situazione economica che, malgrado lodevoli iniziative da parte dell’ente pubblico e del settore privato, resta pur sempre precaria e priva di quei punti di forza che consentirebbero alla Svizzera italiana di diventare pienamente attrattiva per l’insediamento di imprese ad alto valore aggiunto. È la storia a mostrarci questa dinamica virtuosa: le regioni in cui le due Scuole politecniche federali sono nate e cresciute – i cantoni di Zurigo e Vaud e le loro aree limitrofe – hanno conosciuto e conoscono tuttora uno sviluppo scientifico, economico, sociale e culturale di altissimo livello: basti pensare all’Arc Lémanique che deve senza alcun dubbio gran parte del suo successo e della sua attuale prosperità alla trasformazione, nel 1969, dell’allora Ecole polytechnique de l’Université de Lausanne in una Scuola politecnica federale.
Una Scuola universitaria federale, inoltre, segnerebbe un compimento della visione che è all’origine della nostra università anche sotto un altro aspetto. La sfida e la speranza che hanno alimentato e alimentano l’USI sono infatti anche quelle di saper interpretare in modo pieno, attivo e intelligente il proprio destino di frontiera dove le Alpi dialogano con il Mediterraneo, aprendo alla sintesi e alla sperimentazione. Il nostro essere frontiera è una condizione che non si può cambiare e che deve essere vissuta con equilibrio: solo così potremo essere realmente una “Svizzera italiana” che costruisce i ponti culturali tra l’Europa del Nord e il Mediterraneo e arricchisce la pluralità elvetica con il patrimonio della civiltà italiana, e viceversa. In questo contesto, la presenza sul nostro territorio di una Scuola universitaria federale darebbe alla Svizzera italiana, alla sua lingua e alla sua cultura un riconoscimento di grande significato e di portata nazionale che non vuole essere la sterile rivendicazione di una regione periferica, ma al contrario il compimento di quell’“atto d’amore della Svizzera italiana alla Svizzera intera” con cui Giuseppe Buffi descrisse la creazione dell’USI. Certo, si tratta di un traguardo ambizioso e, almeno per quanto mi riguarda, ancora troppo lontano nel tempo per poterlo vivere di persona, ma deve, a mio avviso, essere tenuto presente, sempre: non dimentichiamoci che il domani arriva più velocemente del previsto, senza bussare, ed è il frutto delle idee e delle visioni di oggi! Pensiamoci, e lavoriamo sodo per raggiungerlo!