Privacy

Così il mondo cambia (ma
resta uguale) grazie al “tocco” dell’intelligenza artificiale

Sabato 20 luglio 2024 circa 7 minuti di lettura
Un esempio di foto resa anonima (a destra), pur mantenendo intatte le espressioni del viso e le ambientazioni. Le immagini che verranno esposte in novembre nell’ambito della mostra “Doppio sguardo” saranno di qualità ancora superiore
Un esempio di foto resa anonima (a destra), pur mantenendo intatte le espressioni del viso e le ambientazioni. Le immagini che verranno esposte in novembre nell’ambito della mostra “Doppio sguardo” saranno di qualità ancora superiore

Il gruppo di Katharina Lobinger, docente in comunicazione online all’USI, ha creato una tecnica per rendere anonime le foto raccolte a scopo scientifico. In novembre diventeranno una mostra ("Doppio sguardo")
di Federico Lucchesi

Una donna avvolge un neonato tra le sue braccia, cullandolo dolcemente. Lo sguardo segue il movimento ondulatorio del gesto. Il bambino le afferra una manica, arricciando un poco le dita. Le labbra della donna s’increspano. Sorride. Sullo sfondo una stanza poco riconoscibile. Un tavolo, un armadio, qualche sedia e un quadro di un prato fiorito che si staglia sulla parete. Nella fotografia che ritrae questa scena l’emozione è tangibile, reale. Peccato che non si tratti di una vera fotografia. Dietro questa immagine apparentemente autentica, si cela infatti un’idea molto innovativa: utilizzare l’intelligenza artificiale per proteggere la privacy dei soggetti ritratti all’interno di immagini raccolte nell’ambito della ricerca scientifica. Ma facciamo un passo indietro.

L’immagine in questione è nata a partire da una delle tante fotografie raccolte dal gruppo di ricerca guidato da Katharina Lobinger, professoressa associata in comunicazione online all’Università della Svizzera italiana (USI). All’interno di un progetto finanziato dal Fondo nazionale svizzero, alcuni ricercatori si sono recati nelle case di coppie di partner e amici, parlando a lungo di come le fotografie, i video e altri elementi visivi vengono usati e scambiati durante la loro vita quotidiana. Lo scopo della ricerca? Capire le funzioni che le immagini possono avere per il mantenimento delle relazioni. Per questo motivo, durante le interviste, i partecipanti hanno mostrato ai ricercatori centinaia di fotografie di ogni genere, fornendo il consenso per il loro utilizzo.

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Ma c’è un problema. Divulgare queste fotografie così personali, anche previo consenso, non sarebbe eticamente corretto. Katharina Lobinger ha allora un’idea innovativa. Usare l’intelligenza artificiale. Non per creare una fotografia, come è possibile fare tramite i tanti strumenti di IA facilmente accessibili online, ma per ricrearla. Il risultato è strabiliante. Le immagini rimangono le stesse, ma i soggetti ritratti cambiano. L’immagine della donna col bambino è in realtà solo una riproduzione generata con l’IA, ma è impossibile accorgersene. Nella fotografia originale, la direzione dello sguardo, le dita afferrate alla manica e persino l’increspatura delle labbra sono le stesse. Ma non è la stessa donna. Non è lo stesso neonato. Cambiano anche altri dettagli che potrebbero “tradire” le procedure per rendere anonime le immagini. Nella fotografia originale, il motivo del quadro non era un prato fiorito. Eppure, il quadro è lì, sulla parete, alla stessa identica distanza dall’armadio e dalla sedia. La fedeltà all’originale è notevolissima. Katharina Lobinger e il suo gruppo di ricerca ne faranno una mostra, “Doppio Sguardo” (in scena a Lugano e Bellinzona tra novembre e dicembre), incentrata sul contrasto tra lo stigma negativo associato ad alcune pratiche visive e le funzioni positive che queste hanno all’interno delle relazioni. Nel frattempo, noi abbiamo raggiunto Katharina Lobinger per farci spiegare come funziona l’uso dell’IA per anonimizzare le immagini e perché si tratti di una soluzione così innovativa.

«La ricerca sulla comunicazione visiva - esordisce Lobinger - affronta da tempo la spinosa questione dell’anonimizzazione delle immagini. Esistono diverse tecniche, che hanno però delle limitazioni. Per esempio, le tecniche di distorsione arricchiscono un’immagine con elementi di disturbo. Questo evita che l’immagine originale possa essere ritrovata online tramite una ricerca inversa. È importante, perché da ricercatori dobbiamo garantire che un processo di “de-anonimizzazione” non sia possibile. Tuttavia, la fotografia ne esce rovinata. Alcuni elementi sarebbero distorti». Un’alternativa prevede lo scatto di nuove fotografie che riproducano a tavolino la situazione originale. «Però questo approccio richiede di pagare modelli o collaboratori di ricerca, e comporta un elevato dispendio di tempo, competenze e risorse. Inoltre, dovrebbero essere usati sempre gli stessi volti per diverse fotografie». Altre opzioni molto diffuse includono il rendere irriconoscibili i volti delle persone ritratte ingrandendo i pixel dell’immagine o coprendo la zona degli occhi con delle barre nere. «Ma in questi casi l’immagine può perdere il suo valore scientifico», spiega Lobinger. Elementi di comunicazione non verbale quali espressioni del viso o direzione dello sguardo andrebbero infatti persi. «Inoltre, coprire il volto non basta. Le persone possono ancora essere identificate in base agli elementi presenti sullo sfondo di un’immagine». 

L’uso dell’IA promette di risolvere molte di queste limitazioni. «Possiamo ricreare immagini con persone generate dall’IA, mantenendo però gli elementi centrali dell’immagine originale», spiega Lobinger. Ma nella pratica, come funziona? «Per prima cosa, dobbiamo operare solo su computer personali e con strumenti che non sono connessi a Internet. In questo modo abbiamo un’infrastruttura sicura per proteggere i dati. Poi, usiamo uno strumento di IA come Stable Diffusion per ricreare l’immagine. La fotografia originale diventa una sorta di rete di controllo (una specie di linea guida, ndr). Il sistema rileva i contorni e la struttura degli elementi presenti nell’immagine, sostituendoli con contenuti generati artificialmente che riproducono fedelmente l’originale». 

Il processo sembra semplice, ma presenta diverse insidie. «Ciò che mi preoccupa - spiega Lobinger - è che non sappiamo esattamente con quali dati vengono addestrati i modelli di intelligenza artificiale generativa. In quanto ricercatrice, è qualcosa che posso accettare solo con qualche riserva». Nel ricreare le immagini, i dati utilizzati possono infatti avere un ruolo fondamentale. Per esempio, quando chiedi all’IA di ricreare una persona, il primo risultato è quasi sempre l’immagine di un modello, sorridente e "perfetto", probabilmente giovane. Il motivo? I modelli di IA vengono addestrati in larga parte con immagini di archivio e fotografie professionali, come quelle raccolte in banche dati come Shutterstock. «L’estetica delle immagini è fortemente influenzata da questo stile - dice Lobinger. - Per ottenere fotografie più realistiche, è necessario rendere le immagini meno perfette, più "brutte" e "amatoriali"». Serviranno quindi diversi tentativi per raggiungere il risultato sperato. «È fondamentale fornire una descrizione testuale di cosa si vuole che venga cambiato - aggiunge Lobinger. - L’esito finale è un’immagine che, dal punto di vista strutturale, compositivo ed estetico, è molto simile a quella originale, ma le persone, essendo generate artificialmente, non possono essere identificate». 

Nel complesso, l’approccio è incoraggiante. «Dato che un’immagine viene ricreata interamente - continua Lobinger - secondo gli standard tecnici attuali non è possibile una ricerca inversa delle immagini. E dettagli che prima non potevano essere mostrati, come espressioni facciali e gesti, in questo modo vengono rappresentati fedelmente». Tuttavia, ci sono anche alcuni ostacoli che potrebbero renderne difficile la diffusione in ambito scientifico. Per esempio, ricreare le fotografie è dispendioso in termini di tempo e non può essere automatizzato. «Ogni immagine - dice la docente dell’USI - deve essere elaborata individualmente, perché ha bisogno di impostazioni e correzioni specifiche. Anche dal punto di vista etico, ogni fotografia può avere esigenze diverse che devono essere affrontate. Inoltre, perché funzioni, è necessario avviare una sinergia interdisciplinare tra profili con diverse competenze. Se non si dispone delle conoscenze necessarie in ambito informatico, ricreare le immagini è tecnicamente molto complesso. Molti ricercatori avranno bisogno di supporto da parte di esperti nel campo dell’intelligenza artificiale generativa». Ma questa potrebbe in realtà essere una preziosa occasione per favorire collaborazioni tra diverse facoltà all’interno degli atenei. 

Le sfide tecniche ed etiche da affrontare sono ancora numerose, ma l’uso dell’IA per l’anonimizzazione delle immagini potrebbe rivoluzionare la divulgazione scientifica della comunicazione visiva, rendendo accessibili al pubblico immagini che sarebbero altrimenti dovute rimanere confidenziali. In attesa di capire se questo approccio sperimentato per la prima volta in Ticino possa effettivamente diventare uno standard per la ricerca scientifica, non ci resta che attendere la mostra “Doppio Sguardo” per osservare da vicino alcune delle fotografie ricreate con l’intelligenza artificiale generativa.