L’arte fa bene alla salute.
Da Lugano a Boston
le idee per un “mix” vincente
di Valeria Camia
Numerose ricerche scientifiche hanno mostrato negli ultimi anni che l’arte “conta” e può influire molto sulla qualità della salute: ma come è possibile poi dare seguito, concretamente, a queste evidenze? Se n’è parlato a Boston, negli Stati Uniti, il 1° giugno, in occasione di Arts as Medicine: Where Do We Go From Here? (Arte come medicina: dove andare da qui?). Si è trattato di un evento pubblico promosso da IBSA Foundation per la ricerca scientifica di Lugano e organizzato con il supporto di Swissnex, una rete globale svizzera nata come iniziativa della Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI), al fine di connettere e sostenere lo scambio di conoscenze, idee e talenti tra i suoi partner. Hanno collaborato al progetto anche il Lee Kum Sheung Center for Health and Happiness presso la Harvard TH Chan School of Public Health, e gli East Boston Social Centers.
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Duplice l’obiettivo dell’evento: fare il punto sul presente e progettare prossimi scenari che facciano incontrare arte, cultura umanistica e medicina. «A Boston - spiega Silvia Misiti, direttrice di IBSA Foundation - abbiamo presentato evidenze e progetti che dimostrano come la partecipazione attiva o passiva a diverse attività artistico-culturali sia in grado di aiutare a prevenire e curare le malattie. Allo stesso tempo si è potuto discutere “informalmente” sulle direzioni future della ricerca e su possibili collaborazioni».
Tra le best practice, ovvero gli esempi importanti, di esperienze artistiche condivise in contesti medicali, è stato presentato anche il progetto Cultura e Salute organizzato dalla Città di Lugano e da IBSA Foundation, che insieme, da alcuni anni, promuovono iniziative e sinergie tra il mondo della cultura e quello della salute. Della città ticinese «quale luogo che, oltre a ospitare una scena culturale indipendente molto viva e attiva, cerca di rendere possibile una visione che pone al centro la sostenibilità e tiene in considerazione l’impatto sociale della cultura, favorendo l’inclusività e le diversità», ha parlato, durante il meeting di Boston, Luigi Di Corato, direttore della Divisione cultura della Città di Lugano.
«Poter raccontare e presentare quanto di “grande” viene fatto in Ticino, è motivo di orgoglio nel panorama elvetico e internazionale» - conferma Silvia Misiti, che sottolinea anche un altro aspetto significativo dell’evento organizzato con Swissnex: la possibilità di fare networking con professionisti del settore medico e culturale all’estero, per lavorare a innovativi studi congiunti. A Boston è stato presentato, per esempio, un progetto in un settore non ancora molto sviluppato in Ticino: è coordinato da Krina Patel, direttrice del Community Joy, East Boston Social Centers, e riguarda l’impatto sulla salute di attività culturali in contesti disagiati. Un progetto, questo, che sottolinea «come la cultura sia un’alleata non solo per la salute individuale ma anche per la coesione sociale» - continua Silvia Misiti.
Sull’importanza del benessere sociale promosso in contesti comunitari si è espresso anche il professor Kasisomayajula “Vish” Viswanath, uno dei relatori dell’evento di Boston, direttore del Lee Kum Sheung Center for Health and Happiness: «Le arti e gli spettacoli - ha dichiarato a Ticino Scienza - sono un modo per riunire i membri della comunità, promuovere il senso di appartenenza e di coesione, quindi non solo il benessere individuale. Ce l’ha insegnato la pandemia di COVID-19 e lo possiamo vedere ancora oggi nell’attuale stato di crisi a livello globale: è più urgente che mai continuare a fare ricerca sul modo in cui gli individui interagiscono con gli altri nella comunità e su come lo sviluppo di legami e vincoli sociali possa ridurre la solitudine, per poi mettere queste conoscenze a disposizione anche di chi è chiamato a orientare le scelte politiche».
Chissà se è anche in nome di questa centralità delle relazioni umane che "Arts as Medicine: Where Do We Go From Here?" ha scelto un format “in presenza”, senza registrazione video dell’evento e, per certi versi, inusuale. Insomma, non si è trattato di una classica conferenza - la partecipazione è stata numericamente e volutamente contenuta (nella sede di Swissnex, a pochi passi dall’Università di Harvard, si sono riunite circa 100 persone, tra esperti, alti profili accademici ma anche stakeholders e persone interessate, dato che l’evento era aperto a tutti, seppur con posti limitati). L’incontro è da inserirsi piuttosto in un ciclo di “conversazioni” organizzate da Swissnex per mettere in contatto quanti sono a favore dell’intersezione tra arte, educazione, ricerca e tecnologia. Un format, in definitiva, dinamico e, anche per questo, «auspicabilmente ripetibile in altre sedi», conclude Silvia Misiti.