cultura e salute

Arte che cura, lezione 2
Semir Zeki: «Così funzionano
le aree cerebrali della bellezza»

Domenica 13 ottobre 2024 circa 5 minuti di lettura
Semir Zeki, neurobiologo e docente all’University College London (foto di Lisa Glauer)
Semir Zeki, neurobiologo e docente all’University College London (foto di Lisa Glauer)

di Valeria Camia

Cosa accade nel nostro cervello quando ammiriamo un’opera d’arte, ascoltiamo un brano musicale che ci commuove, guardiamo il volto di una persona che troviamo bella? E sopratutto, è possibile misurare la bellezza che vediamo? Saranno questi i temi, affascinanti, di cui parlerà il 14 ottobre alle 18, nell’aula polivalente del Campus Est di Lugano-Viganello (via La Santa 1), il professor Semir Zeki, neurobiologo, docente all’University College London e fondatore della neuroestetica, un filone di ricerca nell’ambito delle neuroscienze che indaga le basi neurali e cognitive dell’esperienza estetica. Zeki sarà il relatore della seconda lezione del corso "Arte che cura" organizzato dall’Università della Svizzera italiana, con la Divisione cultura della Città di Lugano e la IBSA Foundation per la ricerca scientifica.

«Ogni volta che vediamo qualche cosa di bello - spiega Zeki - c’è una parte del cervello che si attiva. Questa attivazione, visibile grazie alla risonanza magnetica funzionale, è misurabile. Pertanto, se consideriamo la scienza come misurazione, allora lo studio della bellezza può essere inserito pienamente nel campo scientifico. Anzi, l’esperienza della bellezza in alcuni casi può essere utilizzata proprio per tracciare connessioni anatomiche, inedite, nel cervello». Prendiamo il caso dei volti: «Quando osserviamo un viso, sia esso bello o brutto - spiega Zeki - si attivano aree specifiche del cervello deputate alla percezione facciale. Tuttavia, nel caso di un volto bello si attiva in modo particolare anche un’area specifica della corteccia mediale orbitofrontale».

Ma c’è di più. Le innovative tecniche di imaging biomedico dimostrano come esista un elemento comune che collega entità molto diverse tra loro, ma associate alla parola "bellezza", da un’opera d’arte, al volto di una persona o a un brano musicale. La scienza ci dimostra che ogni tipo di esperienza della bellezza (visiva, uditiva o musicale, oppure matematica, o derivata dalla gioia, oppure scatenata da una scena di dolore, come può essere la Pietà di Michelangelo; o, ancora, una bellezza morale) è sempre correlata a un’attività nella stessa parte del cervello. «Questa area cerebrale - precisa il professore - viene chiamata campo A1 della corteccia mediale orbitofrontale, e fa anche parte dei centri del piacere e della ricompensa. In questo senso, la bellezza non è limitata a una sola forma o espressione. Inoltre, l’attività nella parte del cervello che è correlata all’esperienza di qualsiasi tipo di bellezza, è proporzionale all’intensità della bellezza che sperimentiamo. Dunque tanto più troviamo un volto bello, tanto più cambia e aumenta il flusso del sangue nella corteccia mediale orbitofrontale».

C’è però una distinzione importante da fare, che riguarda l’esperienza della bellezza biologica e di quella "artificiale": la prima (propria dei corpi umani e non di un panorama o di un qualsiasi manufatto) non è così soggettiva come si potrebbe pensare. Torniamo di nuovo al caso dei volti: «Gli studi ci dimostrano - chiarisce Zeki - che il viso di una persona considerata bella in Giappone risulta bello anche in Italia o in America. Dunque esistono alcuni canoni universali di bellezza, che, nel caso dei visi considerati belli, hanno a che fare con proporzioni esatte. È importante notare che, invece, la bellezza artificiale (si pensi a quella architettonica) non ha basi da tutti condivise e può avere un impatto molto diverso sulle persone». Qui entra in gioco anche il contesto culturale, dal momento che una persona potrebbe essere più colpita dal design di una chiesa se è cresciuta in una cultura cristiana, o da una moschea se proviene da un background musulmano, o da un tempio buddista se segue questo ambito di pensiero.

Ci si può a questo punto domandare se ci sia spazio per il giudizio sul bello: per l’aspetto morale dell’esperienza della bellezza, insomma. Dopotutto, i filosofi si sono occupati per secoli della definizione di cosa sia la bellezza morale, spesso in relazione alla bellezza fisica. Gli antichi greci dicevano kalos kagathos, cioè "bello e buono” , riferendosi all’ideale greco dell’uomo perfetto, che è bello nel corpo e virtuoso nell’animo (un concetto che unisce, appunto, l’estetica alla moralità). «Questi riferimenti - dice Zeki - costituiscono una parte importante delle discussioni filosofiche sull’estetica, che però non è ciò di cui si occupa la neuroestetica, il mio campo di ricerca. Sia l’estetica che la neuroestetica indagano la natura della bellezza, ma da prospettive complementari: l’una approfondisce l’esperienza soggettiva, l’altra i meccanismi cerebrali sottostanti. Io e i miei colleghi non ci chiediamo "che cos’è la bellezza” o quale sia il suo valore. Invece, indaghiamo questioni scientificamente gestibili: quali sono i meccanismi neurali che si attivano quando si sperimenta la bellezza? Detto ciò, unire le conoscenze filosofiche e scientifiche ci permetterebbe di ottenere una comprensione più completa e sfaccettata del fenomeno estetico. Anche perché, tornando agli antichi greci, ci sono studi che dimostrano come la bellezza morale sia correlata all’attività nella stessa parte del cervello della bellezza fisica».

Insomma, le evidenze dimostrano che c’è molta logica e neurobiologia nella genesi delle emozioni - e non solo per la bellezza. Ad esempio, «oggi sappiamo che l’attività generale del cervello quando guardiamo il volto di colei o colui che amiamo è differente dall’attività cerebrale di quando osserviamo un quadro che reputiamo bello - aggiunge Zeki. - C’è una forte relazione fra queste due esperienze, bellezza e amore, ma nel caso dell’amore abbiamo anche notato come si attiva un insieme separato di aree e, soprattuto, come ci sia un gruppo di aree del cervello che si disattivano (cosa che non avviene con la bellezza). Nello specifico, non si attiva la corteccia pre-frontale, che utilizziamo per formulare giudizi. Questo significa che, quando siamo innamorati, non siamo in grado di essere molto critici nei confronti della persona amata. E, a meno che io non stia guardando la persona che amo profondamente e la trovi anche molto bella, si attiverà un numero limitato di aree nel cervello».